Via Pignataro
Siamo abituati a pensare che le vie di una città siano intitolate a uomini di cultura o a personaggi di spicco locale o internazionale, che si sono distinti nel settore professionale o lavorativo, tanto da tramandarne il ricordo ai posteri. L’odonomastica, ossia il complesso delle denominazioni delle strade di una città, e quindi anche di […]
Siamo abituati a pensare che le vie di una città siano intitolate a uomini di cultura o a personaggi di spicco locale o internazionale, che si sono distinti nel settore professionale o lavorativo, tanto da tramandarne il ricordo ai posteri.
L’odonomastica, ossia il complesso delle denominazioni delle strade di una città, e quindi anche di Gioia, rispecchia non solo i nomi di cittadini illustri che hanno operato nel paese di origine o nella nazione, ma si rifà anche ad attività lavorative che in passato hanno caratterizzato la vita di una comunità.
Tra queste figurano: via Albergatore, via Cacciatore, via Calzolai, via Contadino, via Giardiniere, via Ortolani, via Spazzacamino e via Tagliapietre.
Una di queste attività artigianali che ha contraddistinto la nostra comunità cittadina, a vocazione essenzialmente agro-pastorale, è quella del pignataro, il laborioso, paziente ed estroso artigiano, che manipolava la creta per produrre stoviglie, soprattutto le pignate o pignatte, che le massaie utilizzavano per la cottura dei cibi.Pignata è una parola che deriva da pigna, per la somiglianza della forma delle antiche pigne; è una pentola in creta utilizzata come contenitore di cibo e soprattutto per la cottura sul fuoco di cibi vari e legumi.
La pignata in uso presso le nostre famiglie è un recipiente di terracotta che ha la forma di una piccola giara e presenta due manici smaltati molto ravvicinati, tecnica costruttiva che consente alla massaia di afferrare il recipiente evitando di scottarsi; infatti la pignata viene posizionata nel camino con il lato dei manici rivolto alla parte opposta al fuoco e quindi non subisce gli effetti del suo calore e si può sollevarla senza pericolo di provocare ustioni.
Le pignate erano di diverse dimensioni a seconda della consistenza dei componenti del nucleo familiare.
Un tempo in tutte le case, sia in campagna che in paese era presente un camino, che era sempre acceso, per la presenza di numerosi boschi che fornivano legname in abbondanza, il quale era utilizzato non solo per riscaldare, ma anche per cucinare.
Uno dei tanti pranzi che si preparava utilizzando la pignata, o pignatello che fosse, era costituito dai legumi, alimento che si produceva in abbondanza nelle nostre campagne da parte dei nostri contadini e spesso, insieme al pane costituiva il loro pranzo principale.
Il fuoco dunque assolveva a una duplice funzione, soprattutto nel periodo invernale.
Per la buona riuscita delle pietanze occorreva procedere con una lenta cottura al fuoco e la massaia, poteva tranquillamente dedicarsi alle altre faccende domestiche e solo di tanto in tanto provvedeva ad alimentare il fuoco, a schiumare i legumi e a rabboccare, al bisogno, la pignata con un po’ di acqua, per evitare che il cibo rimanesse attaccato alle sue pareti e andasse perduto. Spesso nella pignata si aggiungevano anche alcuni odori: alloro, prezzemolo, sedano, cipolla o aglio e carota, che si lasciavano cuocere lentamente insieme ai legumi.
La terracotta, di cui è fatta la pignata, mantiene inalterati i sapori genuini ed originali del cibo ed evita eventuali forme di allergia da contatto come a volte si può verificare con le pentole in metallo. La cottura dei cibi nella pignata è un modo per rinverdire le tradizioni di un tempo nella preparazione di cibi ai nostri giorni ed è anche un voler tornare a mangiare in modo genuino, semplice, naturale e dietetico, senza le manipolazioni e la ricercatezza, spesso scorretta e dannosa, dell’odierna alimentazione.
Il facile reperimento della materia prima dava la possibilità agli artigiani, che utilizzavano la creta o la terracotta, di ottenere vere e proprie opere d’arte, grazie alla sapiente lavorazione manuale degli artigiani che apprendevano l’arte e il mestiere in primo tempo nella bottega di un valente artigiano oppure attraverso la frequenza di un corso presso la Scuola di Arte e Mestieri.
Per diversi anni a Gioia in passato la Scuola organizzava Mostre dei lavori che venivano realizzati da giovani che frequentavano quel tipo di Istituzione.
Oggi per cuocere i cibi non si utilizzano più queste stoviglie di creta, ma quelle in acciaio o in alluminio, anche se negli ultimi anni alcune aziende agrituristiche e alcuni ristoranti alla moda presentano le loro portate in tegami di creta, che essendo fabbricate con un materiale naturale e traspirante non danno allergie, mentre a volte pignate e piatti di creta nelle nostre case fanno bella mostra di sé come complementi d’arredo.
Non in tutti i paesi erano operanti questi artigiani della creta e spesso gli abitanti che ne erano sprovvisti si rifornivano in altre città, spesso frequentando le fiere cittadine o i mercati settimanali in cui si vendevano tali prodotti.
Gioia, che da sempre è stata una città estesa e la più grande e popolata del circondario, non difettava affatto di artigiani che lavoravano la creta e la terracotta, prodotti che esportavano al di fuori delle mura cittadine.
Quella della lavorazione della creta nel nostro territorio risale ai primi anni dell’insediamento umano nell’area di pertinenza del Comune. Infatti in un passato lontano sulla collina di Monte Sannace abitavano abili artigiani che producevano delle vere opere d’arte in creta, terracotta e ceramica, come risulta dai ritrovamenti portati alla luce a seguito di numerose campagne di scavo.
Proprio in una parte ubicata al limite del Centro Storico di Gioia, quello che un tempo costituiva la periferia orientale dell’abitato, a confine con la vecchia circonvallazione della strada statale 100, erano presenti attività artigianali legate alla lavorazione della creta e della terracotta e all’utilizzo del fuoco: quella dei pignatari e dei fornai.
Infatti in via Fontanelle, un tempo via Giordano, era operante un vecchio forno a legna della famiglia Giordano e in una traversa della stessa strada era ubicata un’antica industria artigianale specializzata nella lavorazione della creta, principalmente di pignate.
La stessa denominazione di via Fontanelle, che secondo alcuni studiosi risale al nome di un’antica famiglia gioiese, rinvia anche alla presenza nella zona di grandi quantità di acqua, elemento necessario per quelle lavorazioni artigianali (fornai e produttori di oggetti in creta). Infatti in quel rione, più noto come Borgo di San Vito, sono presenti sorgenti d’acqua e pozzi sorgivi, come si evince anche della sua vicinanza con via Pozzoronco, nome dato in ricordo di un tale Ronco, proprietario di alcuni pozzi d’acqua sorgiva, venditore di acqua, che, in tarda età, con il ricavato della vendita dell’acqua fece aprire una strada che da quel Borgo conduceva agli orti dove erano ubicati i suoi pozzi.
Questo Borgo è anche tristemente noto perché proprio in questa zona si svolsero i tragici avvenimenti dell’assalto a Gioia da parte del brigante Pasquale Romano, che voleva restaurare il regime dei Borboni, evento verificatosi il 28 luglio 1861, a soli quattro mesi dalla proclamazione dell’Unità d’Italia.
Per ricordare la preziosa e faticosa attività artigianale, indispensabile per ogni comunità, quella del pignataro, l’Amministrazione comunale di Gioia, nel luogo in cui in passato questi lavoratori hanno operato con passione e sacrificio, ha voluto dedicare loro una strada cittadina.
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11 Settembre 2024