Via Giuseppe Barba
Nel quartiere bizantino di Gioia, sul prolungamento di via Spada, vicolo che si imbocca tra la sede INPS e piazza Cesare Battisti e che porta al sagrato della chiesa di Sant’Andrea, è ubicata la via che porta il nome dell’arciprete Giuseppe Barba. Nella Galleria in sonetti di ritratti storco-poetici degli Arcipreti della Collegiata insigne di […]
Nel quartiere bizantino di Gioia, sul prolungamento di via Spada, vicolo che si imbocca tra la sede INPS e piazza Cesare Battisti e che porta al sagrato della chiesa di Sant’Andrea, è ubicata la via che porta il nome dell’arciprete Giuseppe Barba.
Nella Galleria in sonetti di ritratti storco-poetici degli Arcipreti della Collegiata insigne di Gioja in Bari pubblicata in Appendice al Quadro istorico-poetico sulle vicende di Gioia in Bari detta anche Livia, al XII Ritratto, che di seguito riporto, l’abate Francesco Paolo Losapio ci notizia dell’Arciprete Dottor D. Giuseppe Barba, un religioso già in vita in odore di santità.
Nutrire i vivi, e seppellire i morti
Eran pregi di Barba, e non di meno
Tutte l’altre virtù dell’alme forti
E di grand’uomo egli annidava in seno.
Or benigno, or severo in modi accorti
Usò lo sprone, oppur la sferza e ‘l freno,
Intrepido or minacce, ora conforti
Di vizi, o di virtù secondo il treno.
Grave nel portamento e nel contegno,
Vestìa con gran decoro, e sempre in fronte
Del sacro minister splendeagli il segno.
Nuovo Sannacherib lasciò le impronte
Di morte sul suo capo: Iddio per pegno
D’amor salvollo, e con maniere conte.Il dottor don Giuseppe Barba nacque a Gioja nel 1665, e vi morì nel 1737.
Il pennello per fare il ritratto di questo arciprete me lo ha messo nelle mani il dottor don Pasquale Gatta, che avventurosamente fu poi successore del medesimo, se pure non voglia dirsi per profectiam, cioè per avere profetato di se stesso. Gatta adunque ci ha lasciato una memoria alla prosperità ne’ libri delle conclusioni capitolari, e propriamente del giorno 5 di agosto del 1736, nella quale si esprime così:
Copia. –Memoria ai posteri. – “Il dottor don Giuseppe Barba figlio del dottor fisico don Nicola Vito Barba nacque ai 14 marzo 1665. Fu fatto arciprete per la morte del dottor don Vitantonio de Jacobellis antecessore, e pigliò il possesso ai 3 febbraro 1697, ed è morto di sfacelo in una gamba alli 28 decembre 1736: cosicchè ha governato questa chiesa per quaranta anni.
Era stato buono ecclesiastico, e poi degnissimo arciprete, dotato di ogni virtù, e molto stimato dagli arcivescovi pro tempore, e loro vicarii generali, e da tutta la diocesi tenuto per un santo, e veramente era tale, pieno di carità verso Dio, e del prossimo, zelante, umile, mansueto, ma severo cogli ostinati nel vizio, e nell’osservanza delle leggi di Dio, e della chiesa; paziente ne’ travagli e mal incontri; inimico dell’ozio, ritirato, studioso, attento nella polizia della chiesa, e precisamente della cappella del Santissimo.
Castissimo, amava, e di cuore abbracciava li nemici, facile al perdono, inimico di liti, odii e rancori, amatissimo della pace; sicchè è morto in opinione di santo arciprete. Seguita la di lui morte il vicario foraneo ne diè notizia al signor vicario generale Vavarelli, e da questo fu destinato vicario curato, suo economo, il signor Pimicerio Gravina, e così si pratica nella morte dei nostri arcipreti. Speriamo dal Signore averne un altro, se non maggiore (locchè è difficile) almeno eguale. Amen”.
Barba fu grande e sublime in tutto, e con un’anima forte, energica, ed attiva abbracciò lo spirituale, ed il temporale della chiesa. Come Tobia alimentava i famelici, vestiva gl’ignudi e seppelliva i morti. Penetrato poi dall’idea, e dal sentimento, che i beni temporali della chiesa sotto il fondamento su di cui è basato, sta eretto, e si mantiene tutto l’edifizio spirituale della medesima, e del divino servizio, come il corpo serve all’anima per formare un sol uomo, come si esprime egli stesso nel conto reso al capitolo de’ suoi travagli sulla platea nuova; perciò sin dal principio del suo governo intese ad assicurare, e consolidare tutto il patrimonio ecclesiastico con una platea nelle forme più solenni, per verificare i fondi urbani e rustici, dritti, canoni e censi coll’intesa di tutto il mondo, e con una pubblicità manifesta.
Prima non vi erano che semplici inventarii come abbiamo veduto dal 1510 al 1665. In questa platea furono circoscritti, misurati, confinati, e drizzate le piante di tutti i fondi, notate tutte le entrate annue, e menzionate tutte le scritture degli acquisti, delle transazioni, de’ legati e delle provenienze. Mancava poi un archivio, e le carte che esistevano rimanevano alla rinfusa. Barba avendo presente la costituzione di Sisto V, le istruzioni Orsine, ed il metodo rapportato da Giuseppe Crispino nella sua visita pastorale, elevò il grande monumento della platea nuova del 1728, e compose l’archivio intiero in molti volumi sino al numero di sedici, ed in grossi fascicoli sino al numero di venti con ordine cronologico, e rispettive epigrafi raccogliendo carte volanti, diplomi, scritture, processi, memorie, stampe, ed allegazioni.
Quest’immenso lavoro occupò quasi tutto il tempo della sua vita arcipretale senza toglierlo un momento alle sue cure pastorali ecclesiastiche e spirituali.
Modello di tutti coll’esempio, coi fatti, e colle parole, anche nell’esterior contegno col portamento dignitoso, e pieno di proprietà, ossia nettezza; si facea riverire da tutti portando sempre sul suo capo non altra covertura che il biretto quadrato. Dalla casa alla chiesa, dalla chiesa sino al tugurio de’ poveri, profondendo consolazioni, e soccorsi, e contenendo, e frenando gl’indocili, ed i contumaci. Animò lo zelo pubblico, e l’amore di patria destò in tutti i cuori. Fu l’antesignano per muover guerra all’oppressione e tirannia baronale, come si legge nel foglio 15 e seguenti della platea nuova, ossia primo volume, e dal foglio 43 e 45 della platea vecchia ossia volume secondo.
Quanto dolce con tutti altrettanto inflessibile e severo coi refrattarii, peccatori impenitenti ed ostinati.
I vecchi, che l’avevano conosciuto mi raccontavano un caso funesto, da cui fu liberato quasi per miracolo. Abitava egli la casa, che or si possiede da don Antonio Losito di Paolo, e la sua stanza usciva fuori le mura del paese. Una gran macerie accumulata si addossava fin sotto la finestra della sua camera, dov’egli si chiudeva per orare e dormire. Era solito di prorogare le sue preghiere sin a notte avanzata in ginocchioni al capezzale del suo letto, dove erano esposte le immagini del Crocifisso, di Maria Santissima, e dei santi. Mentre una notte era assorto in Dio, un vile ribaldo, qual nuovo Sennacherib meditò di assassinarlo. Salì sulla macerie con un archibugio alla mano carico a palle, e prese talmente le sue misure, che adattando il fucile alla finestra già chiusa con debili imposte, diresse il colpo alla sua testa, che fortunatamente portò le palle poche linee sul suo capo. Era egli cotanto immerso nella meditazione, che non intese il fragore, e la detonazione dell’arma a fuoco, e neppure avvertì l’urto del grosso piombo, che si conficcò nel fabbrico. Finito il suo lungo e santo esercizio della preghiera si coricò in pace, e si addormentò nel sonno de’ giusti. Nel mattino seguente svegliandosi fu ferito dal lume insolito, che penetrava per i due buchi della finestra senza poterne indovinare la causa; si alzò, l’aprì, riconobbe i due feritoi e nulla indovinò
Ritornò alle solite orazioni del mattino, ed alzando gli occhi alle sante immagini, si accorse, che due palle parallele penetravano nel muro. Comprese allora il pericolo, che aveva corso, misurando il muro intaccato coll’altezza del suo capo, e ringraziò Iddio di averlo campato miracolosamente. Restò sempre ignoto il malfattore, ma l’arciprete lo argomentò facilmente dai discorsi e dalle minacce di un ribaldo da lui ammonito, e corretto, e non volle mai che si facesse veruna perquisizione giudiziaria contro il reo.
Per ricordare la figura e l’opera instancabile dell’arciprete Barba a favore della popolazione gioiese il Comune di Gioia gli ha intitolato una strada cittadina.
16 Maggio 2023