Un episodio tragicomico verificatosi a Gioia nel 1859
Ferdinando II re di Napoli effettuò quattro viaggi in Puglia durante il suo regno. Lo storico acquavivese Antonio Lucarelli ci riferisce che l’ultima volta in cui i reali borbonici vennero in Puglia si verificò a gennaio del 1859, con uno sfarzoso corteo di principi e ministri, in occasione del ricevimento della Principessa Maria Sofia di […]
Ferdinando II re di Napoli effettuò quattro viaggi in Puglia durante il suo regno.
Lo storico acquavivese Antonio Lucarelli ci riferisce che l’ultima volta in cui i reali borbonici vennero in Puglia si verificò a gennaio del 1859, con uno sfarzoso corteo di principi e ministri, in occasione del ricevimento della Principessa Maria Sofia di Baviera, sposa del Principe Ereditario Francesco. Alle ore cinque e mezzo della notte del 12 gennaio 1859 il corteo arrivò ad Acquaviva delle Fonti e si fermò fino alle undici antimeridiane del dì successivo. Il De Cesare ricorda che il corteo reale proveniva da Andria, dopo aver attraversato gl’ intermedi paesi di Corato, Ruvo, Terlizzi, Bitonto, Palo, Bitetto, S. Nicandro fra le accoglienze più clamorose. L’itinerario, con le relative tappe, fin dall’ inizio era stato prestabilito così: per l’andata, Caserta, Avellino, Ariano, Foggia, Andria, Acquaviva, Lecce, Bari; per il ritorno, Bari, Barletta, Manfredonia, Foggia, Avellino, Casera.
La sposa, imbarcandosi a Trieste sulla nave “Fulminante”, avrebbe dovuto scendere a Manfredonia; ma gli estremi rigori della stagione e l’insanabile morbo del sovrano sconvolsero i preparativi. Ad Acquaviva delle Fonti i reali furono accolti con festose accoglienze e furono ospitati da Monsignor Domenico Falconi, segretario dell’arcivescovo di Bari, Clary, il quale aveva rivendicato la palatinità delle chiese di Acquaviva e di Altamura e ne aveva ottenuto il titolo di arciprete mitrato e giurisdizione episcopale.
Alle ore 11 del 13 gennaio, in mezzo alle acclamazioni del popolo festante, il corteo partì per Gioia. Il Lucarelli riporta che le stesse commoventi manifestazioni si ebbero a Gioia: Tali erano i saluti e gli evviva di tanta gente, che non si udiva più il suono di tutte le campane, e tante grida e tanti applausi erano confusi di tante lagrime, che l’animo dei sovrani e dei Reali Principi si avvedeva chiaramente commosso.
Non era prevista una sosta prolungata a Gioia, perché il nostro paese era una stazione di cambio di posta e di cambio di cavalli. Il responsabile del cambio di posta, un certo Francesco Straziota, preavvertito di questa incombenza, aveva provveduto ad acquistare una quadriglia di cavalli speciali da attaccare alla carrozza reale. Conoscendo che i reali erano molto esigenti per i loro servizi di trasporto e perché i cavalli fossero di loro gradimento, lo Straziota li aveva sottoposti ad una prova, risultandone pienamente soddisfatto.
Con scrupolo lo Straziota presenziò al veloce cambio dei cavalli e volle scortare la carrozza fino a San Basilio, quasi a garantire la bontà del lavoro da lui reso nei confronti dei sovrani e per una maggior sicurezza in quel viaggio.
Durante il tragitto tra Gioia e San Basilio, nella ripida discesa di Serra Amara (Seramàn), si verificò un episodio assurdo e ridicolo, che ci testimonia il clima di sospetti e terrore in cui la monarchia e la popolazione vivevano in quel tempo.
Nel passaggio dal gran trotto, tenuto fino ad allora per la strada rettilinea e pianeggiante del percorso, alla frenata, per la ripida discesa, imposta dai palafrenieri e dai postiglioni, nella sterzata della prima stretta curva a destra, il bilancino urtò nelle anche del cavallo di destra. Questi, probabilmente a causa del doloroso colpo subito e per evitare ulteriori possibili colpi, trovandosi a tiro dello sportello di destra della carrozza reale, sferrò un poderoso calcio che quasi sfondò lo sportello e con lo zoccolo insudiciò il vestito della regina.
Il Re, superstizioso qual era e affetto da mania di persecuzione, e l’Intendente, preposto alla direzione dei servizi di viaggio, per eccesso di zelo nell’adempimento del suo compito, pensarono ad un tentativo di attentato alla sacra persona del Re.
Lo Straziota, che era presente a quell’ incidente, fu accusato di tentato regicidio, fu arrestato e fu rinchiuso nel carcere di Bari. L’Intendente della Provincia di Bari lo interrogò e lo apostrofò come assassino.
Lo Straziota restò ingiustamente in carcere ventiquattro giorni, ma vi sarebbe rimasto più a lungo se non avesse escogitato uno stratagemma. Propose che, se avessero sottoposto ad una prova i cavalli che lui aveva fornito per la carrozza del Re, avrebbe potuto dimostrare che l’episodio verificatosi il 13 gennaio era stato solo un fortuito incidente di percorso.
Il Re nel suo viaggio di ritorno da Lecce si fermò a Bari ed espresse il desiderio di recarsi a Capurso per rendere omaggio al santuario della Madonna del Pozzo.
Fu scelto quel percorso per effettuare la prova richiesta dallo Straziota. I cavalli furono attaccati alla carrozza staffetta del corteo reale, su cui presero posto i personaggi del seguito del corteo. Dopo aver effettuato la visita al santuario di Capurso il corteo fece ritorno a Bari. Ad attenderlo a destinazione c’erano le autorità cittadine e lo stesso Straziota, sotto buona scorta.
Anche questa volta lo Straziota rischiò un infarto. Infatti quando da lontano si accorse dell’arrivo della staffetta con i suoi quattro cavalli, che da essere magnifici morelli erano completamente bianchi, si sentì di morire, al solo pensiero che, i quadrupedi essendosi imbizzarriti anche questa volta, fossero caduti, coprendosi di polvere. Man mano che si avvicinavano si tranquillizzò comprendendo che i cavalli erano diventati bianchi perché completamente ricoperti di schiuma; infatti avevano percorso il tratto Capurso-Bari, di circa dieci chilometri, in meno di un quarto d’ora.
Gli occupanti della carrozza staffetta quando scesero espressero grande soddisfazione non solo per la bravura dei postiglioni, ma anche per i cavalli, che si erano dimostrati validissimi, sicuri ed estremamente veloci durante il viaggio.
Tanto bastò per scarcerare lo Straziota e convincere il Re e l’Intendente che quanto si era verificato qualche giorno prima nella discesa di Serra Amara era dovuto non ad un attentato alla persona dei sovrani, ma ud uno spiacevolissimo incidente.
Nonostante il corteo reale si fosse fermato a Gioia per il solo tempo necessario per il cambio dei cavalli, questo passaggio richiese la spesa di 712,80 ducati per festeggiamenti ed onoranze, oltre a 58,17 ducati per il passaggio dei Dragoni e ducati 40,7 per il passaggio della Cavalleria; di tale somma 583,05 ducati furono a carico delle casse del Comune e la restante parte fu coperta da sottoscrizioni volontarie.
A pochi mesi di distanza da quel tragicomico avvenimento, precisamente il 22 maggio 1859, il re Ferdinando II passava a miglior vita mentre si trovava nella sua reggia a Caserta.
Quell’ episodio del 1859, conclusosi felicemente per lo Straziota, però, fu quasi un funesto presagio, come una premonizione della morte del Re e della caduta della monarchia borbonica, caduta che sarà decretata l’anno seguente, nel 1860, a seguito dell’Impresa dei Mille.
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7 Giugno 2020