Novità sul simbolo cristiano per eccellenza
La sera del 12 settembre 2009, nella Chiesa di S. Antonio, ha avuto luogo un interessante “fuori programma” nelle manifestazioni in onore del SS. Crocifisso: la presentazione del libro di Michele Loconsole, “Il segno della croce. Storia e liturgia”, con cui il giovane autore ha illustrato i risultati delle sue indagini sulla devozione per la […]
La sera del 12 settembre 2009, nella Chiesa di S. Antonio, ha avuto luogo un interessante “fuori programma” nelle manifestazioni in onore del SS. Crocifisso: la presentazione del libro di Michele Loconsole, “Il segno della croce. Storia e liturgia”, con cui il giovane autore ha illustrato i risultati delle sue indagini sulla devozione per la S. Croce nei primi secoli dell’era cristiana, sfatando alcuni luoghi comuni. Il pubblico, conquistato dalla semplicità, dall’immediatezza e dal fascino delle sue parole, ha così potuto conoscere un alacre studioso di storia delle maggiori reliquie della Passione di Gesù, come la Sindone, la corona di spine, il cartiglio con il titulus ovvero l’iscrizione identificativa del condannato, fissata sulla sommità della croce – per Gesù, con le lettere dell’acronimo I(esus) N(azarenus) R(ex) I(udeorum).
Studiare la storia delle reliquie ha un senso – ha sottolineato il relatore – in quanto è proprio la storia il fondamento della nostra fede: il Cristianesimo non è semplicemente una religione, ma un fatto, l’incarnazione del Figlio di Dio, che si fa uomo e muore (anzi si fa uccidere) per la nostra salvezza. La venerazione delle reliquie è appunto la naturale conseguenza di questo evento concreto, tanto straordinario quanto unico nel panorama delle religioni e dei culti di ogni epoca e luogo (nessun altro dio, infatti, è mai sceso al livello dell’uomo, condividendone la povertà, la sofferenza e la sorte mortale!), ma i cristiani odierni sembrano non rendersene conto… Da qui l’amarezza dello studioso, insegnante di religione, nel constatare l’ignoranza del fatto evangelico: gli episodi della vita di Gesù e le sue parabole sono pressocchè sconosciuti tra i cattolici, soprattutto tra i ragazzi.
Quando la Croce da simbolo è divenuta oggetto di devozione? Quando al legno si è aggiunta l’immagine di Gesù crocifisso? Cercare una risposta a questi interrogativi era l’obiettivo dell’indagine. Significativo anche il rapporto individuato tra le due maggiori reliquie della Passione, la Croce e la Sindone: la prima accolse Gesù vivo e lo restituì morto, la seconda lo accolse morto e lo restituì vivo, fornendo la prima prova della Resurrezione (le bende di lino, con cui era stato avvolto il corpo, abbandonate a terra, come se chi le portava se le fosse lasciate cadere di dosso alzandosi, e il sudario, piegato a parte, furono infatti le prime cose che videro i discepoli accorsi al sepolcro, alla notizia che il grande masso, che chiudeva l’ingresso, era stato rotolato via).
Circa trecento anni dopo (nel 325-326) furono trovati i chiodi, il cartiglio ed il legno della Croce, ancora con tracce di sangue, in uno scavo archeologico fatto eseguire da Elena, madre dell’imperatore Costantino, la prima pellegrina nei Luoghi Santi. Secondo la tradizione il segno della croce era già apparso in sogno a suo figlio prima della battaglia a Ponte Milvio con Massenzio, preannunciandogli la vittoria (in hoc signo vinces), e per questo era stato riprodotto sulle insegne imperiali. Propaganda? Può darsi. Di certo, però, Costantino, che non era cristiano, ma si convertì, forse, nell’ultimo periodo della sua vita, fu uno dei più grandi, se non il maggiore Imperatore cristiano, e nel riconoscere legittimamente la Chiesa compì un’operazione lungimirante, di spessore politico e sociale senza precedenti, poiché ne comprese le potenzialità in un momento in cui veniva a crearsi in Occidente un pericoloso vuoto istituzionale (politico, sociale, assistenziale) con il trasferimento della capitale dell’Impero a Bisanzio (Nea Rome, la “Nuova Roma”, poi detta dal suo nome “Costantinopoli”, l’attuale Istanbul). Fu così che ebbe inizio il potere temporale della Chiesa, che avrebbe reso il Papa una delle due supreme autorità del Medioevo, accanto all’Imperatore.
Dalle ricerche di Loconsole, fondate su testimonianze letterarie, epigrafiche e monumentali, emerge, però, che, non a partire dall’epoca di Costantino (il IV secolo d.C.), come si credeva finora, bensì già negli anni immediatamente successivi alla morte di Gesù la croce divenne “segno” distintivo dei Cristiani (ad es., nei documenti, sulle tombe), e che anche la devozione per la Terra Santa, ovvero per i luoghi della vita terrena e della morte di Gesù, risale all’epoca degli Apostoli, ben prima dell’indagine sul terreno condotta dall’imperatrice madre. Questi luoghi ed i loro primitivi monumenti, da secoli meta di pellegrinaggi, erano stati intenzionalmente occultati dall’imperatore Adriano (117-138 d.C.) con la sovrapposizione di un tempio dedicato a Venere. Almeno due rivolte giudaiche, nel frattempo, erano state duramente represse dagli imperatori: nel 70 d.C., con la distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito, e nel 132 d.C., con la diaspora, per cui Giudei e Cristiani, che tra l’altro i Romani non distinguevano, furono cacciati dalla loro patria, l’antico Regno di Israele e di Giudea, che allora assunse il nuovo nome di Palestina, cioè Terra Philistaeorum (“Terra dei Filistei”), mentre a Gerusalemme fu attribuito quello di Aelia Capitolina.
Proprio l’insistenza delle strutture del tempio pagano su un sito tradizionalmente riconosciuto come cristiano dovette apparire sospetta ad Elena, che lo fece abbattere e nel corso degli scavi rinvenne le tre croci ed il cartiglio con l’iscrizione, per poi inglobare in un’unica chiesa il Golgota (l’altura della crocifissione) e la tomba vuota di Gesù. Alla dedicazione di questa prima basilica cristiana in Terra Santa, il 14 settembre del 335, fu associata la festa dell’“Esaltazione della S. Croce”, mentre in Occidente una tradizione diversa, la cui fonte è Cirillo, vescovo di Gerusalemme, portava all’istituzione di un’altra festa il 3 maggio. È interessante notare come da noi, a Gioia, si celebrino entrambe le ricorrenze: il 14 settembre nella Chiesa di S. Antonio, detta anche “del Crocifisso”; il 3 maggio nella Cappella della Madonna della Croce nei pressi del Camposanto.
Quanto all’antichità del segno della croce, se ne registra la presenza in tutta la Sacra Scrittura, anche in numerosi episodi e personaggi dell’Antico Testamento. In ambito cristiano una delle rappresentazioni simboliche più antiche risale al II secolo, attestata a Gerusalemme e in Giordania e presente tuttora nei nostri cimiteri: è il cosiddetto chrismòn, ottenuto dalla sovrapposizione delle lettere R e c, spesso interpretato erroneamente come PAX, costituito in realtà dalle due iniziali del nome di Cristo in greco. Il segno della croce compare nei primi testi liturgici del II secolo soprattutto in relazione al Battesimo, ma da fonti coeve del 120 – 125 d.C. si ricava che i Cristiani si segnavano continuamente con la croce, prima di intraprendere ogni attività quotidiana, prima di uscire di casa e al rientro, indicando con la menzione del Padre la testa, del Figlio il cuore, dello Spirito le braccia, ovvero la forza per compiere la volontà di Dio.
Testimonianze archeologiche sulla devozione per la croce sono a Napoli, Ercolano e Pompei già pochi anni dopo la morte di Gesù. Al secolo VIII risalgono i primi crocifissi dipinti, poi scolpiti; è diversa la maniera di rendere Gesù crocifisso: morto nei tipi occidentali, che sottolineano la Passione; vivo e con gli occhi aperti in quelli orientali, che esaltano la Resurrezione.
All’indomani della straordinaria scoperta l’imperatrice Elena trasferì la Croce, alcuni chiodi ed il titulus a Roma in un ambiente del suo Palazzo, destinato a cappella, nucleo dell’attuale Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. La Croce di Gesù fu frammentata in reliquie sparse in tutto il mondo, concesse alle comunità di fedeli che ne avessero fatta richiesta: qualcuno ha ironizzato sulla loro sovrabbondanza, deducendone la falsità; secondo uno studio di Vittorio Messori, invece, se si potessero ricomporre, tutte queste reliquie non formerebbero neanche i tre quarti del patibolo, il braccio orizzontale della croce.
La Croce è sempre attuale, in quanto segno incommensurabile dell’amore di Dio per l’umanità, ed è urgente il suo recupero. Loconsole ci ha fatto notare come papa Benedetto XVI l’abbia ricollocata sull’altare, che simboleggia il sepolcro di Cristo, per richiamare con forza la centralità del Crocifisso nell’operato della Chiesa e nella vita cristiana. Infine una proposta controcorrente: ritornare alla pianta cruciforme nell’edificazione delle nuove chiese. Se, infatti, quelle di un tempo recano l’impronta della croce nella loro stessa forma (la pianta a croce latina o greca), sono orientate, cioè con l’altare maggiore ad Oriente (parola che deriva dall’ebraico “or” = luce), ed il sacerdote stesso nelle celebrazioni liturgiche invita i fedeli ad Oriente, cioè verso la luce di Cristo, le chiese moderne, invece, sono “disorientate” e perlopiù di forma circolare, come se si fosse persa l’importanza del segno.
Spontaneo e caloroso l’applauso del pubblico, incuriosito tra l’altro dalle anticipazioni dei risultati di un’ulteriore indagine condotta in collaborazione con il prof. d. Nicola Bux sugli estremi cronologici della vita di Gesù: dall’analisi comparata di otto calendari dell’epoca risulta che Egli “nacque il 25 dicembre dell’anno “zero” e morì nel 30 d.C.”; perciò festeggiamo il Natale non in una data convenzionale, come si riteneva, ma nel giorno effettivo della nascita di Gesù, che non va neanche collocata alcuni anni prima dell’era volgare, secondo l’opinione corrente per correggere un presunto errore di datazione, mentre l’ora terribile della morte sopraggiunse per Lui prima dei “proverbiali” trentatrè anni.
Al ringraziamento del Sindaco, portavoce di impressioni largamente condivise, sono seguite alcune suggestive osservazioni di d. Domenico, uno dei predicatori della festa, sul seicentesco crocifisso ligneo della Chiesa di S. Antonio, che nel programma originario avrebbe dovuto essere l’argomento della serata. Datato 1696, è opera di frate Angelo (da Pietrafitta), che ne realizzò un altro alcuni anni dopo, agli inizi del ‘700, nella Chiesa di S. Francesco a Castellaneta. È una scultura molto particolare: la bocca socchiusa suggerisce che qui Gesù non è ancora morto, ma nei suoi ultimi istanti di vita, quelli forse in cui si rivolge alla Madonna e a Giovanni, il discepolo più giovane, i quali ai piedi della Croce ne ricevono l’eredità spirituale a nome di tutta l’umanità; l’orecchio grande, teso verso l’alto, sta a significare, invece, che, mentre il capo è reclinato sotto il peso della morte imminente, l’ascolto è sempre rivolto al Cielo, alla volontà del Padre.
12 Ottobre 2009