L”oro rosso’ di Gioia del Colle: il vino “Primativo”
Come chiamiamo il vino nel dialetto gioiese? U mìjre, mmirre. La parola vino viene dal latino vinum. In epoca romana accanto alla parola vinum si utilizzava anche la parola merum per indicare il vino schietto, sincero, puro in contrapposizione al primo che indicava il vino miscelato con acqua, miele, resine ed altri additivi per renderlo […]
Come chiamiamo il vino nel dialetto gioiese? U mìjre, mmirre.
La parola vino viene dal latino vinum.
In epoca romana accanto alla parola vinum si utilizzava anche la parola merum per indicare il vino schietto, sincero, puro in contrapposizione al primo che indicava il vino miscelato con acqua, miele, resine ed altri additivi per renderlo più sciropposo. Ebbene mentre la parola vinum è entrata in tutte le lingue indoeuropee, la parola merum è rimasta invece solo nei dialetti pugliesi, dove ancor oggi il buon vino si chiama mjier o mieru. Il vino che già si faceva in Puglia non era vinum, ma merum nel senso di schietto, puro, vero, cioè vino buono, pregiato. Il lemma mir in illirico ( e ancor oggi in albanese) vuol dire buono, bello, ben fatto, per indicare il loro vino rosso.
Tra le eccellenze di Gioia non si può non annoverare il vino primitivo.
Il Primitivo di Gioia dunque può considerarsi il più diretto erede dell’antico merum, il vino storico per eccellenza della Puglia.
L’orgoglio per un prodotto tipico del nostro territorio ha spinto alcuni gioiesi, coltivatori di vigneti, a trasformare le uve prodotte per ricavarne il prezioso
primitivo, imbottigliarlo ed esportarlo al di fuori dei confini europei. Sull’esempio dei pionieri del settore e grazie alla bontà del prodotto, che sta trovando estimatori e apprezzamento fin oltre oceano, altri produttori stanno proseguendo su questa strada.
Tra questi produttori ne segnaliamo alcuni: Fatalone, Plantamura, Terra Jovia, Nettis, Polvanera, Patruno-Perniola, ScJ’o, Tufara.
LA COLTIVAZIONE DELLA VITE A GIOIA
La tradizione e la coltivazione e produzione viti-vinicola a Gioia è attestata da numerosi documenti.
Dal suo primo impianto il primitivo ha riscosso un enorme successo tanto che la sua coltivazione si è diffusa rapidamente non solo nel territorio di Gioia, ma anche nei paesi limitrofi dopo pochi decenni.
Numerose sono le motivazione del successo e della diffusione del primitivo. Oltre al ritardo del germogliamento che evitava i danni delle gelate primaverili e all’accennata maturazione precoce di tale vitigno, che permetteva di effettuare il raccolto sempre prima delle piogge o delle disastrose brinate e gelature autunnali, che erano in grado di rovinare il raccolto, non trascurabile era anche la possibilità di effettuare due vendemmie, una alla fine di agosto e l’altra alla fine di settembre, riuscendo ad ottenere due tipi di vini, piuttosto diversi: più potente, strutturato e complesso il frutto della prima vendemmia, mentre più fresco, beverino e simile ad un rosato il secondo.
Inoltre un grande impulso alla coltivazione del primitivo è venuto dal fatto che il vitigno, per il suo portamento modesto non richiede grandi quantità di acqua e attecchisce e si adatta a terreni collinari poco profondi e anche rocciosi, adattandosi ottimamente alle condizioni pedo-climatiche del territorio di Gioia e dei paesi limitrofi, la qualcosa fa registrare una produzione di uve che danno origine a vini rossi corposi. Tali vini, poiché raggiungono un elevato grado alcolico, garantiscono una buona remunerazione, la quale è proporzionata alla gradazione raggiunta dal vino.
Il suo elevato grado alcolico ha permesso altresì una buona commercializzazione del primitivo gioiese, che è stato esportato sia nell’Italia settentrionale che in Francia e in altre nazioni per essere utilizzato come vino da taglio di quegli industriali vinicoli per poter alzare il valore alcolico del loro prodotto o per produrre varianti come spumanti e champagne.
In passato, visto che nell’economia dei gioiesi la produzione di uva e la sua trasformazione in vino costituiva una fonte importante di vita e di introiti, le Amministrazioni comunali hanno dato grande importanza alla formazione e preparazione di tecnici nel settore della viticultura e della vinificazione.
Risale infatti al 1876 la proposta del consigliere comunale dott. Candido Minei di impiantare a Gioia una Scuola Enologica tecnico-pratica.
Nel 1883 si decide di procedere all’impianto di una Scuola di Viticultura ed Enologia a Gioia secondo il programma esposto in una densa relazione al Consiglio provinciale di Bari, letta il 1880 dal nostro concittadino, il deputato Daniele Petrera.
Egli aveva avanzato la proposta di fondare a Gioia una Scuola la quale richiami i nostri vini a quell’altezza e a quel prestigio cui hanno buon diritto di pretendere.
Anche il Comitato agrario osservò che dovendo la Puglia puntare più che mai alla cultura della vite per sopperire alle perdute causate negli altri comparti produttivi dalla concorrenza straniera, le scuole pratiche di viticoltura ed enologia erano indispensabili per produrre buoni vitigni con coltivazione razionale … e con poche qualità di uve tra cui, appunto, spiccava il cosiddetto primitivo di Gioia.
Viene approvata l’idea di una scuola consorziale che unisse il Comune, la Provincia e la Camera di Commercio di Bari, il cui statuto, varato nel 1884, stabiliva come scopi del novello istituto istruire i giovani contadini nella pratica della viticultura, insegnare, attuare e rendere popolari i migliori processi di vinificazione e conservazione dei vini, istruire i giovani provenienti dalle scuole tecniche per renderli adatti a condurre e migliorare sia le proprie che le altrui vigne, ridurre gradatamente a tipi commerciali costanti le diverse qualità di vini esistenti nella regione. Il corso, destinato a giovani di età superiore ai 15 anni e dotati di licenza elementare o tecnica, figli di piccoli proprietari, coloni e artigiani che intendono diventare buoni viticultori e cantinieri, avrebbe avuto una durata di 2 anni e un indirizzo eminentemente tecnico-pratico, grazie all’impianto di una cantina sperimentale e di un piccolo podere –modello preso in fitto dal Comune, e grazie alla possibilità di condurre esercitazioni nel grande stabilimento vinicolo del notabile gioiese V. De Bellis, divenuto per altro Presidente del Comitato Consortile responsabile dell’amministrazione dell’Istituto.
Per l’apertura della stessa bisognerà attendere ancora qualche anno. Affidata la direzione al prof. G. Tripodi, diplomato a Conegliano, la scuola inizia a funzionare con 18 alunni nel gennaio 1886, dopo aver atteso invano il sussidio del Maic, negato con la motivazione che il Ministero aveva deciso irrevocabilmente di limitare a sei le scuole enologiche esistenti in Italia e che quella di Gioia per i requisiti (bassi) di ammissione richiesti agli alunni, si discostava assai da quanto si richiede per le scuole enologiche governative e perciò si doveva accontentare di formare un buon personale tecnico subalterno. Ciò nonostante la scuola nei primi anni funziona discretamente, soprattutto grazie alla possibilità offerta agli alunni di prestare lavoro presso i poderi e cantine private. Il fatto, però, che l’enologo Tripodi diventasse poco dopo direttore anche del più importante stabilimento vinicolo locale (quello del citato De Bellis), stava a testimoniare del mancato decollo dell’istituto come scuola agricola e la sua tendenziale trasformazione in un ufficio di collocamento al servizio dei grandi produttori di vino del luogo. Nel 1888 erano state prestate all’esterno 231 ore di lavoro, nel 1889 queste si ridussero a 164.
La Scuola enologica di Gioia, a seguito del repentino tracollo dell’industria vinicola locale, perde qualsiasi giustificazione ed utilità anche agli occhi dello stesso Consiglio comunale gioiese, rivoltatosi contro i paladini politici dell’istituto, dopo un cambio di maggioranza verificatosi alla fine degli anni ’80.
La Scuola Enologica, divenuta Consorzio per la partecipazione nella stessa insieme al Comune di Gioia anche di altri due Enti, la Camera di Commercio e l’Amministrazione Provinciale di Bari, nella riunione del Consiglio comunale del 28-11-1893 viene sciolta perché è una scuola che non ha scopo, una scuola perseguitata dalla pubblica sfiducia, non ha ragione di essere, ed è colpa per chi permette che per essa siano spesa 20 mila lire all’anno, sottraendole ad altri organismi più utili, come ebbe a dire il consigliere Bruno Berardino.
Diverse le cause del fallimento della Scuola; un ruolo importante giocò la gestione antipedagogica della stessa, che prevedeva turni massacranti per gli allievi. Si iniziava con due ore di lezioni scolastiche dalle sei alle otto di mattina; si proseguiva alle nove con lavori manuali in campagna. Si tornava in paese al tramonto del sole e si tenevano altre due ore di lezioni scolastiche. Questi massacranti turni, in contrasto con le più elementari norme pedagogiche, di capacità di attenzione e di controllo dei tempi per una positiva applicazione e per un proficuo lavoro portarono gli allievi a disinteressarsi della Scuola e a non iscriversi alla stessa.
Nel 1920 a Gioia sorge una Colonia Agricola per gli Orfani di guerra, voluta da padre Semeria e da padre Minozzi.
Nei documenti del tempo si legge: L'azienda agricola che già sotto P. Salviato aveva dato visibili frutti è ora quasi completa, colla stalla dove non manca il toro, con il porcile modello dove si potrà fare in grande l'allevamento dei suini inglesi, con i pollai portatili, con l'apiario in costruzione, col caseificio che produce le famose mozzarelle mentre in casa i nostri ragazzi fanno di tutto, pane compreso.
Nel 1934 il Comune partecipa con un suo stand alla V Mostra Nazionale del Vino alla Fiera del Levante.
Nello stesso anno a dicembre si celebra la Festa dell’Uva.
Dal 1936 viene istituita a Gioia una Scuola di Avviamento di tipo agrario e professionale femminile, la quale verrà sostituita dalla Scuola Media Statale Sperimentale II Gruppo nel 1962.
L’anno scolastico 1960-61 viene istituita a Gioia una sede coordinata dell’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura di Bari. Tale Scuola era dotata di aule e laboratori didattici, vigneto sperimentale, frutteto, serra, caseificio, impianto di inscatolamento di alimenti e di un laboratorio di micropropagazione in vitro di piante.
A causa della dislocazione della Scuola, distante circa quattro Km. da Gioia e dalla mancanza di servizi di collegamento automobilistico, la stessa è stata soppressa agli inizi del XXI secolo.
I cartelli segnaletici che indicano l’approssimarsi al Comune di Gioia del Colle la definiscono anche Città del vino Primitivo.
La vocazione di Gioia per la coltivazione di vigneti, per la produzione di vino e in particolare di quello primitivo è attestata anche da numerose fonti storiche.
Tra le ‘Entrate Burgensatiche’ (quelle delle terre di piena e libera proprietà del feudatario, del barone) riportate nell’Apprezzo di Gioia stilato dal tabulario Federico Pinto nel 1611 troviamo quelle provenienti dalle vigne, che ammontavano a 30 ducati.
Nell’Apprezzo di Gioia del 1640 di Honofrio Tangho si dice: In detti territori …. Sono seminatori, pascolatori, vigne, giardini, hortalizi …. In essi si fanno vini bianchi, rossi d’ogni sorta, le quali sono sufficienti per comodità de cittadini … L’Università di detta Terra tiene d’introito docati 4000 incirca. Le quali provengono da …. dazio del vino del minuto…. gabella del vino mosto …
Dal Catasto onciario di Gioia del 1750 apprendiamo che il 68% della popolazione gioiese era composto da braccianti, che possedevano una casa e un piccolo appezzamento di terreno, in genere coltivato a vigneto.
Spetta al canonico gioiese Francesco Filippo Indellicati (1767- 1831) il merito di aver impiantato a Gioia il primo vitigno di primitivo alla fine del ‘700, anche se si suppone che già nei secoli VIII-III a. C. nel territorio nei dintorni di Gioia si producesse vino, come farebbe pensare il ritrovamento di numerosi contenitori in argilla, destinati a contenere vino, ritrovati nell’antico sito peuceta di Monte Sannace a 5 Km. da Gioia.
L’ampelografo (studioso della morfologia esterna, dei differenti vitigni, che classifica secondo determinati criteri sistematici) Francesco Antonio Sannino, indica nel 1799 la data di inizio della coltivazione del primitivo ad opera del sacerdote gioiese Filippo Francesco Indellicati.Dell’Indellicati sappiamo che nacque a Gioia del Colle nel 1767, che era un uomo di grande cultura, un appassionato studioso di botanica e di agronomia e che divenne primicerio del capitolo della Chiesa Madre di Gioia. Morì a Gioia del Colle nel 1831 e fu sepolto nel locale cimitero.
Rientrando nelle sue disponibilità alcuni appezzamenti di terra e in seguito agli studi, osservazioni e ricerche che effettuò su queste sue proprietà si accorse che alcuni vitigni avevano un germogliamento tardivo rispetto agli altri vitigni, la qualcosa permetteva di limitare i danni conseguenti alle gelate primaverili, molto frequenti in queste zone. Poiché l’Indellicati si rese conto che l’uva di quei ceppi maturava con notevole anticipo rispetto agli altri vitigni sembra che abbia lui stesso coniato il termine ‘ primativo ‘ o ‘ primaticcio ‘, derivato dal latino primativus.
Dopo i primi esperimenti l’Indellicati selezionò alcune ‘ marze ‘ mise in coltura a primitivo altri ettari di sue terre.
La prima monocoltura di “Primaticcio”, grazie ai suoi pregi quantitativi e qualitativi, si estese ben presto in tutti gli agri di Gioia del Colle, Altamura e Acquaviva delle Fonti.
Dagli Annali di Viticoltura ed Enologia italiana del 1874 apprendiamo che l’illustre studioso piemontese, conte Ernesto di Sambuy, riferisce che tra i vini italiani presenti all’Esposizione Universale di Vienna del 1873 ottiene una menzione speciale anche un Primaticcio del 1868 prodotto in provincia di Bari.
Una delle prime citazioni bibliografiche del Primitivo è quella di Domenico Froio (1879). Costui diceva: Forma la coltura esclusiva di Gioia del Colle; se ne fa vino, da solo, di ottimo gusto ed alquanto ricercato. Se introdotto in altri luoghi nel Barese con nomi diversi, quali Primativo nero, Primaticcio di Trani, non vi riesce perfetto come a Gioia del Colle.
Non spampana perché soffre molto per i forti calori ed i venti caldi; ama molto il fresco. Il mosto mediamente ha il 27,4% di glucosio e lo 0,47% di acidità. Il vino ha aroma delizioso ed amaro speciale; è ottimo a 3 anni.
L’ampelografo Giuseppe Rovasenda nel 1887 nel suo ‘Essai d’une Ampelographie universelle’ riferiva che il vitigno Primitivo, coltivato in terra di Bari, ‘matura la sua uva molto precocemente e può dare un buon vino anche nell’Italia settentrionale; dà in qualche località un vino liquoroso’.
Nel 1906 Girolamo Molon affermava: il vitigno è conosciuto nel Barese con nomi diversi, quali Primativo nero, Primaticcio (Trani, Altamura), Primitivo (Turi, Gioia del Colle), Zagarese e Zagarese nero’.
Dà un vino di molto colore e buon aroma, assai alcoolico, capace di un ceto affinamento; è vitigno produttivo.
L’ampelografo Giovanni Dalmasso nel 1931 affermava: Il Primativo di Gioia è uno dei più importanti vitigni pugliesi da vino nero è così chiamato – come pure Primitivo o Primaticcio – per la sua precocità; e porta il nome del paese di Gioia del Colle, sugli ultimi scalini delle Murge, dove questo vitigno è più largamente coltivato, in una zona di colline elevantisi fra i 400 e i 500 mt. sul mare. E’ vitigno che preferisce esposizione di levante; è poco resistente alle lunghe siccità. E’ di germogliamento tardivo e perciò poco soggetto ai danni delle brinate. La fioritura è piuttosto delicata, tanto che sovente i grappoli sono in parte impallinati e, non di rado, vanno soggetti a colatura specialmente nei terreni umidi. Resiste discretamente alle malattie crittogamiche. In terreni superficiali, la maturazione dell’uva può essere ostacolata da calori estivi e i grappoli possono avvizzirsi e presentare colatura. E’ caratteristica del primitivo di portare molti grappoli anche sulle femminelle, i quali, grazie al clima meridionale, giungono ancora a maturazione. La vendemmia incomincia nella terza decade d’ agosto lungo il mare e finisce ai primi di ottobre sulle più alte Murge. Il vino che se ne ottiene è di colore rosso-violaceo, ha sapore e profumo speciale, che può anche dispiacere specialmente quando è giovane; resta sovente dolce per incompleta fermentazione. La ricchezza alcolica va dal 12 al 16% e più; l’acidità va dal 5 all’8%; l’estratto da 30 a 42% e più. Può quindi essere, a seconda della località di produzione, un potente vino da taglio o un buon vino da pasto, specialmente se si smescola con un po’ d’altre uve, meglio se bianche. Commercialmente sono molto apprezzati i Primitivi che si ottengono moto per tempo, già ai primi di settembre. E’ perciò un vitigno che gode giustamente notevoli simpatie.
L’ampelografo più importante, quello che nel 1919 pubblicò la approfondita ricerca ‘Il Primativo di Gioia’, è senza dubbio il santermano prof. Giuseppe Musci, Direttore dei Consorzi di Difesa della Viticoltura di Bari.
Egli afferma: E’ nota l’importanza che, per l’affannoso bisogno di vino e di vinacce nuove, ha assunto in queste ultime campagne vinicole il Primativo di Gioia, la prima uva da vino che si presenta sul mercato italiano nella terza decade di agosto.
Questo vitigno, chiamato anche Primitivo o Primaticcio, è tutto proprio della zona collinare dei territori di Gioia del Colle e Santeramo, costituente gli ultimi scaglioni delle Murge leggermente degradanti verso la ricca e vasta pianura alluvionale delle Matine.
Su queste colline, che si elevano da 400 a 500 metri sul livello del mare, trova le migliori condizioni per il suo adattamento, inquantochè il numero delle calorie di cui abbisogna per la maturazione delle uve è sensibilmente inferiore a quello richiesto dalle altre varietà coltivate in Puglia.
Nulla si sa con certezza sulla origine di questo prezioso vitigno, che durante i trattati di commercio con la Francia conquistò il favore dei negozianti della nazione sorella, i quali fecero larghissimo acquisto di uva per averla colà nel periodo in cui maturano le loro, a fine di mischiarla con esse nei tini di fermentazione per ottenere il profumo che trovavano molto somigliante ad alcuni dei loro vini.
Parecchi studiosi supposero che il Primativo fosse un Pinot di Borgogna degenerato ed importato nel secolo XVIII dai Benedettini venuti dalla Francia in uno dei conventi di Gioia del Colle prima della soppressione dei beni religiosi decretata da Napoleone.
E su quelle ricche colline, riparate allora da estesi e folti boschi, sembra che i monaci avessero trovate le condizioni più favorevoli alla sua vegetazione. Altri propendono nel ritenere che il Primativo non sia altro che il Cesanese, coltivato nel Lazio e particolarmente nei Castelli Romani. Il prof. F.A. Sannino, che eseguì parecchi confronti, afferma che le foglie di Primativo differiscono da quelle del Pinot e del Cesanese. Il Pulliat nel suo magnifico volume ‘Mille variétés des vignes’ assicura che il campione inviatogli sotto il nome di Primativo dall’illustre e compianto ampelografo Conte di Rovasenda è assolutamente somigliante al Dolcetto nero di Piemonte. Mi mancano i mezzi di confronto; certo è che i caratteri del Dolcetto descritti dalla ‘Ampelografia italiana’ corrispondono a quelli del nostro Primativo.
Il Molon nella sua ‘Ampelografia’ dà al Primitivo per sinonimo di Zagarese. In effetti quest’ultimo vitigno pugliese non ha nulla a che vedere con il Primativo.
Non ho la pretesa di rintracciare l’origine esatta di questa ottima varietà, che gode tanta viva simpatia e tanta buona reputazione presso i nostri viticoltori. Però dalle ricerche da me fatte in proposito è risultato che verso la fine del secolo XVIII il Primicerio Don Francesco Filippo Indellicati di Gioia del Colle, nell’esaminare i vitigni, che alla rinfusa si coltivano in alcuni vecchi vigneti di quel territorio, notò che un vitigno si adattava – a preferenza degli altri- alle terre rosse e che dava prodotto precoce, abbondante ed ottimo. Eseguì un’accurata selezione e chiamò quel vitigno Primativo appunto per la precocità di maturazione del frutto. Coi tralci avuti dalla selezione piantò nella regione Terzi, contrada Liponti, del territorio gioiese (detta anche via delle Carrare), otto quartieri (un quartiere corrispondeva ad ettari 0,1575 e comprende n. 625 viti, allevate a ceppo basso secondo il sesto di metri 1,50×0,80) di vigna, che fino a qualche anno addietro esistevano e che credo siano in piedi tuttora.
Da Gioia il Primativo si diffuse a Santeramo, Altamura, Gravina, Acquaviva delle Fonti, Cassano Murge, S. Michele di Bari, Turi, Casamassima, Grumo Appula, Toritto, Sannicandro, Bitritto, Modugno, Bitonto, Palo del Colle, Montrone Rutigliano, Conversano, Castellana, Putignano, Noci, Alberobello, ecc. ecc. Poi man mano è stato introdotto anche nel Salento: Lecce, Brindisi, S. Pietro Vernotico, Squinzano, Tuturano, S. Vito dei Normanni, Carovigno, Ostuni, Ceglie Messapica, Francavilla Fontana, Alezio, Casarano, Maglie, Manduria, Grottaglie, Taranto, Castellaneta, Laterza, Ginosa.
Il Primativo si coltiva anche in Capitanata, ma poco intensamente e soltanto nei comuni più prossimi alla provincia di Bari: Cerignola, S. Ferdinando, Trinitapoli ed Ortanova. Notasi alquanto diffuso pure in Basilicata e precisamente nella zona contigua a Terra di Bari: Matera, Montescaglioso e Ferrandina del circondario di Matera ed in qualche comune del Potentino e del Lagronegrese; ma su scala limitata.
Il Musci elenca poi i caratteri ampelografici del Primativo di Gioia e le note pratiche sul vitigno, sull’uva e sul vino. A questo proposito afferma: Il Primativo resiste abbastanza alla clorosi, ha discreta resistenza alle malattie crittogamiche, poca alle lunghe ed ostinate siccità. L’esposizione più favorevole alla sua coltivazione è il levante.
Il germogliamento è tardivo; pochissimi sono i vitigni pugliesi che germogliano più tardi del Primativo … Sulle colline di Gioia e Santeramo il germogliamento avviene tra la fine di aprile ed i primi di maggio … Per conseguenza il nostro vitigno non è così facilmente soggetto ai danni delle gelate… La maturazione dell’uva è precocissima, più degli altri vitigni ad uve da vino coltivati nella regione. Essa si compie sulle colline di Gioia, Santeramo, Altamura, Noci ed Alberobello tra la terza decade di settembre e la prima di ottobre … Questa precocità nella maturazione, accoppiata alla tardività del germogliamento, fa del Primativo un vitigno preziosissimo per le località meno favorite dal clima, inquantocchè viene a sottrarlo dai pericoli delle gelate primaverili ed autunnali e del marciume dell’uva.
Una caratteristica di questo vitigno è quella di portare i grappoli (racemi) anche sui tralci secondari (femminelle), grappoli che molte volte, specialmente quando la pianta è stata colpita dalla grandine, superano per quantità quelli del primo raccolto. Il prodotto dei racemi diventa abbondante quando si ha l’avvertenza di eseguire la cimatura prima della fioritura.
I racemi che si ottengono dalla seconda vendemmia, a differenza dell’uva del primo raccolto, maturano tardivamente e danno un buon vino da pasto (Cerasuolo) di color rosso abbastanza vivo, ricco di acidità.
Musci continua il suo studio con note pratiche sul mosto e sul vino e sulla composizione dell’uva e del vino.
Questa ricerca si completa con una parte dedicata all’affinità con i vitigni americani, tema che e stato ripreso da alcuni studi nel nostro secolo.
In altre regioni d’Italia, e particolarmente in Sicilia, una questione di notevole importanza ha giustamente preoccupato i viticoltori, che si accingevano alla ricostituzione dei vigneti distrutti dalla fillossera: quella delle affinità delle viti americane con e viti nostrali. Questa affinità dipende, come è noto, in massima parte dal grado di parentela che passa tra i due vitigni, che, mediante l’innesto, si costringono a vivere in simbiosi.
Qui in Puglia i quindici anni di prove razionali condotte dai nostri Consorzi Viticoli, a mezzo dei vigneti sperimentali, ci permettono di rassicurare i viticoltori sulla possibilità di innestare con successo il Primativo sui più importanti porta-innesti.
Credo di fare cosa utile e gradita al lettore, passando in rassegna i principali vitigni americani sotto il punto di vista dell’affinità col Primativo.
Il Musci così conclude: L’importanza del Primativo di Gioia è – come abbiamo visto – non poca cosa quando si consideri che esso è uno dei vitigni più diffusi nella regione pugliese. Ove si pensi a tutti i pregi, che offre questo vitigno buono e generoso e che noi abbiamo innanzi rammentati, ed alla reputazione che l’uva ed il vino di esso hanno saputo conquistare sui mercati italiani e stranieri, si comprenderà come questa varietà meritasse una speciale illustrazione. Chi scrive – nel porre termine a queste poche pagine (31) – sente il dovere di esortare i viticoltori pugliesi e particolarmente quelli delle zone collinari di Terra di Bari a tenere in gran conto nella ricostituzione dei loro vigneti questo prezioso vitigno, che – se non da sovrano – ha il diritto di assidersi signorilmente tra le varietà di viti nostrali più rinomate che possiede l’Italia vinicola.
In passato il vitigno, secondo alcuni degli studiosi citati, sarebbe stato conosciuto col nome di Zagarese, come emergerebbe anche dal Catalogo dei vitigni coi nomi vernacoli provinciali riportato dallo studioso di botanica don Vitangelo Bisceglia, in appendice alla sua relazione per la provincia di Terra di Bari sulla Statistica del Reame di Napoli del 1811, voluta dal governo di Gioacchino Murat.
Anche Oronzo Gabriele Costa, zoologo nell’Università di Napoli dal 1837 al 1849 nella relazione redatta per la Terra d’Otranto affermava: La provincia di Terra d’Otranto è nata fatta per la coltivazione delle vigne …I vitigni detti Lacrima e Zagarese vi sono sparsi quasicchè dappertutto.
Da queste citazioni agli inizi del XIX secolo sappiamo che il vitigno Zagarese o il Primitivo di Gioia era diffuso in Terra di Bari (le attuali provincie di Bari e Brindisi), e in Terra d’Otranto (le provincie di Taranto e di Lecce odierne).
La descrizione ampelografica più attenta e minuziosa del primitivo risulta quella fatta da Panzera, che analizza: germoglio, le prime tre foglioline apicali, le foglioline basali, l’asse del germoglio, il tralcio erbaceo, il viticcio, l’infiorescenza, il fiore, la foglia tipicamente pentagonale, il grappolo a maturità, l’acino a maturità, il tralcio legnoso, il germogliamento, la produttività, la posizione del primo germoglio fruttifero, il numero medio di infiorescenze per germoglio, la fertilità delle femminelle, la resistenza alle malattie e alle avversità climatologiche, il comportamento rispetto alla moltiplicazione per innesto.
Dalla letteratura citata emerge che diversi ampelografi hanno sostenuto l’identicità del Primitivo con altri vitigni, in particolare con lo Zagarese, altro vitigno pugliese che, prima dell’invasione fillosserica, era decisamente più diffuso del Primitivo, almeno nel Tarantino.
A tal proposito il Marescalchi, all’inizio del secolo scorso, affermava: Il Zagarese è di scarsa produttività e dà uva poco resistente al sole ed alle intemperie. Ha un caratteristico aroma che passa integro nel vino. Il Fonseca fece dei saggi di vini di lusso con quest’uva; ne ebbe vini eccessivamente dolci ed alcoolici vendemmiando le uve un po’ appassite sulla pianta; colorito rosso intensissimo, aroma eccessivo, quasi nauseante; con l’invecchiamento però il vino migliora, l’aroma si arrotonda, il sapore si fa armonico; dal 4° anno il vino si fa bevibile e sviluppa gradevole profumo, rammentando i vini liquorosi spagnoli, Malaga e Porto. Notava il Fonseca che questo vino, se invecchiato oltre i 4 anni, potrebbe divenire un eccellente vino liquoroso senza concia.
Ulteriori studi hanno smentito questa supposizione, in quanto il vitigno Zagarese ha un portamento più modesto, mentre i tralci tendono a poggiarsi sul terreno se non sono affidati ad un sostegno, all’opposto di quelli del Primitivo che sono eretti; l’uva dello Zagarese, rispetto a quella del Primitivo, matura in epoca più tardiva; la produzione è molto scarsa; il grappolo è piuttosto piccolo; l’acino è piccolo e dà basso rendimento in mosto; il relativo vino, meno colorato del Primitivo, è più alcolico e decisamente aromatico. Il Gaudio e il Nico ne fanno appena un cenno, scrivendo che il Primitivo coltivato a Gioia presenta una vegetazione più raccolta e grappoli più piccoli rispetto a quello allevato a Manduria.
Il Primitivo coltivato nel barese si differenzia sia da quello tarantino che da quello leccese.
Il Primitivo è l’unico vitigno diffusi nel bacino del Mediterraneo che consente una seconda produzione, più tardiva, con la raccolta di racemi; sa reagire ai danni causati dalla grandine aumentando la produzione dei racemi; produce una gamma di vini sia da invecchiamento che da taglio e da pasto difficilmente ottenibile da altre qualità di uve; può essere allevato a ‘ceppo basso’, a ‘spalliera’ e a ‘tendone’ modificando ovviamente la gradazione alcolica e le rese quantitative.
Il Primitivo è caratterizzato da una forte concentrazione di zuccheri che raggiungono gli acini, presupposto, quest’ultimo, per vini che possono arrivare a 15 gradi e anche oltre.
Proprio il suo robusto grado alcolico ne ha fatto per molto tempo un ideale vino da taglio che, in botti e cisterne, prendeva la via delle regioni più settentrionali per rinforzarne gli esili vini.
Tramontata l’epoca dei vini da taglio, il Primitivo sembrava condannato a un lento ma sicuro declino, fino a quando, grazie al lavoro e alla passione di molti viticoltori, ha conosciuto una vera e propria rinascita.
Con l’applicazione nei vigneti e nelle cantine dei metodi agronomici ed enologici moderni, il Primitivo ha cominciato a rivelare tutto il suo potenziale per la produzione di vini di grande qualità.
Il Primitivo non è solo un vino di ‘massa’, come alcuni anche rispettabili studiosi e tecnici hanno voluto etichettarlo. Il Primitivo è ‘un gran’ vino lo hanno detto in tanti, il prof. Garoglio, il prof. Bruno, Veronelli, Hugh Johnson e tanti altri validi estimatori convinti, peraltro, che il vino non si produce soltanto da uve buone, bisogna anche saperlo preparare in cantina, presentare e saper essenzialmente servirlo e bere.
Nella zona di diffusione del Primitivo si riscontrano numerose popolazioni clonali.
L’Amministrazione Comunale di Gioia, a ricordo dell’impianto del primo vigneto primitivo nel nostro territorio, nel luogo in cui ciò avvenne, precisamente in Contrada Liponti, il 19 maggio del 2004 ha posto un cippo commemorativo in pietra, opera dell’artista F. Cotrufo. Sul lato del cippo che guarda verso Gioia del Colle, in posizione centrale, sono scolpite le mani del primicerio gioiese Indellicati, nell’atto di piantare una vite di primitivo. In alto è riportato il seguente brano poetico, tratto da La ballata del vino generoso della prof.ssa Nunzia Sala Bianco: Don Francesco Indellicati / dopo aver selezionato / quello che adatto fosse / alle terre dette ‘rosse’ / in Contrada dei Liponti / fece lesto i suoi conti / e fissò che ottanta are / si dovesser coltivare / per produrre il vino eletto:/ “Primitivo” esso fu detto /“Primativo” lo chiamò/ che precoce gli sembrò.
Da qualche anno il fondo su cui don Francesco Filippo Indellicati impiantò per la prima volta il Primativo è tornato a produrre il Primitivo, grazie al dott. Vincenzo Benagiano, che, dopo aver acquistato quel fondo, ha reimpiantato il famoso vitigno e durante la vendemmia del 2018 ha prodotto e imbottigliato quel prezioso succo da tavola.
(Continua. Vedi: origini del ceppo Primativo e dello Zinfandel).
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7 Aprile 2020