L’insediamento peuceta di Santo Mola
Il territorio di Gioia del Colle è ricco di reperti archeologici, segno tangibile della presenza dell'uomo nel nostro Comune già in età antica. Il sito archeologico più consistente e più conosciuto è quello di Monte Sannace, uno dei più antichi ed importanti insediamenti dei Peuceti in Puglia, risalente all'Età del Neolitico, che, oltre alle necropoli […]
Il territorio di Gioia del Colle è ricco di reperti archeologici, segno tangibile della presenza dell'uomo nel nostro Comune già in età antica. Il sito archeologico più consistente e più conosciuto è quello di Monte Sannace, uno dei più antichi ed importanti insediamenti dei Peuceti in Puglia, risalente all'Età del Neolitico, che, oltre alle necropoli ha portato alla luce i resti delle dimore degli antichi abitanti.
Altri siti minori, ma tali solo per estensione, per sviluppo cronologico e per scarsità di reperti urbanistici, non per importanza, sono presenti nel nostro territorio comunale, quasi tutti in direzione Sud Ovest e poco distanti tra loro, ulteriore segno della posizione favorevole all'insediamento dell'uomo su un pianoro che domina la fertile zona circostante, ancora oggi attraversata da lame con piccoli torrenti o con presenza di laghetti artificiali.
Essi sono insediamenti risalenti all'Età dei Metalli ( Età del Bronzo Antico, del Bronzo Recente Finale, del Ferro, XIV-IV secolo a. C. ):
- Masseria della Madonna, con i dolmen a galleria e i sepolcri dolmenici a tumulo,
- Masseria del Porto, abitato peuceta con i sepolcreti a tipo dolmenico,
- Murgia San Benedetto, insediamento preistorico,
- Murgia San Francesco con un insediamento preistorico,
- Toppa di Montursi, insediamento preistorico,
- Murgia Giovinazzi, insediamento preistorico
Nella zona Nord Est oltre a Monte Sannace sono presenti:
- Masseria Surico, insediamento preistorico,
- Madonna dell'Annunziata, insediamento preistorico,
- Serra Capece, insediamento preistorico
- Lama Diumo, insediamento preistorico.
Unico sito archeologico, sempre in direzione Sud Ovest di Gioia, a poca distanza dal paese è Santo Mola, sede di un antico insediamento peuceta.
La zona, che in tempi remoti era nota alla popolazione gioiese con il nome di Santa Sofia e di Santo Mola, si trova, infatti, a circa un chilometro ad Ovest dell'abitato, a circa 370 metri s.l.m., su un pianoro dal quale si domina la pianura circostante. E' una zona ricca di formazioni cretacee e di banchi tufacei, che presentano numerosi fossili, ulteriore segno della presenza del mare nel nostro territorio in tempi antichissimi. La fertilità del terreno, favorita dalla presenza di numerose falde acquifere e di banchi tufacei e la baricentricità del luogo, ad uguale distanza da Taranto e dallo Ionio in direzione sud, dall'Adriatico a nord, dalla Lucania ad ovest e da Egnazia e dall'Adriatico ad est, ha favorito in passato la presenza dell'uomo in questo luogo e lo sviluppo di attività commerciali in quelle direzioni.
Il nome della località compare in una donazione del 5 febbraio 1317, in cui si parla della chiesa di San Pietro d'Amùl, sita in quel luogo, lungo la via che porta a Santeramo. In un documento del XVI secolo si parla di un Parco d'Amòla, che il Capitolo di Gioia nel 1513 acquista dal duca di Atri ( TE ). In un documento del 1793 questa località è citata con la denominazione di San Pietro d'Ambòla.
L'ecomista e storico gioiese Giovanni Carano Donvito cita uno scritto di Francesco Paolo Losapio in cui l'abate parla di Santo Mola, che insieme a Monte Sannace costituiva una parte dell'antica città di Gioia, e afferma che lì si scavava già prima dei suoi tempi. La zona oltre ad essere chiamata Santo Mola veniva citata spesso col nome di Santa Sofia e San Lorenzo, che erano i nomi di una vecchia contrada, la quale era sede di cappelle in cui si veneravano i corrispondenti Santi.
Nel 1886 diciassette vasi apuli, venuti alla luce a seguito di scavi clandestini a Santo Mola, finiscono a Ruvo, acquistati probabilmente dal sacerdote Luigi Elicio. Di questi reperti fa menzione lo studioso ed archeologo G. Jatta nella pubblicazione Notizie scavi del 1886.
Michele Gervasio,professore di Storia Antica, Archeologia e Paleontologia alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Ateneo di Bari, nel 1921 parla di una necropoli, probabilmente del V secolo a.C., rinvenuta nei pressi della stazione ferroviaria di Gioia, alludendo al sito di Santo Mola.
Fino al 1940 la zona è stata oggetto di scavi clandestini, che hanno sottratto reperti importanti per una conoscenza più puntuale degli antichi abitanti del sito, della loro storia e della loro cultura.
Nell'aprile del 1940, precisamente dal giorno 2 al 19, grazie all'interessamento del professore Adolfo Celiberti ( più noto con il nome di Armando ), Ispettore Onorario della Soprintendenza ai Beni architettonici e archeologici del Comune di Gioia, viene avviata una breve campagna di scavi, autorizzata dal Ministero dell'Educazione, nei terreni di proprietà delle famiglie Tancorra-Losacco. Le prime ricerche, avviate nei terreni di proprietà delle sorelle Losacco, vengono condotte con l'ausilio dello scavatore clandestino Agostino Capurso che precedentemente e per numerosi anni aveva operato nella zona di Monte Sannace al servizio di collezionisti come i fratelli Ceppaglia e il prof. Angelo Signorelli. Durante gli scavi sono portate alla luce 20 tombe ( 19 a fossa e una a sarcofago monolitico ) con corredo di vasi geometrici monocromi e bicromi, vasi apuli a figure rosse, vari crateri e vasi dello stile di Egnatia, cinturoni, lance, specchi, fibule e vasellame di uso domestico.
Una nuova campagna di scavo viene condotta dal 20 ottobre 1952 al 16-1-1953, a seguito di lavori di aratura per un impianto di vigneti, che mettono alla luce la presenza di resti archeologici. Gli scavi portano alla scoperta un complesso di ben 85 tombe ( 81 a fossa e 4 a sarcofago ); di queste, 52 tombe sono trovate nella proprietà del dott. Vito Carano e 33 nel terreno di proprietà della Chiesa Madre di Gioia.
Un ulteriore rinvenimento di 5 tombe ( 3 a fossa scavata nella roccia e 2 a sarcofago monolitico ) viene effettuato casualmente il 24 luglio 1956, durante i lavori eseguiti per installare depositi di carburante per l'aeroporto dell'Aeronautica Militare di Gioia, in una zona di proprietà demaniale posta a sud dei precedenti scavi effettuati a Santo Mola.
Nel 1953 la Soprintendenza alle Antichità della Puglia e della Lucania affida al Preside del Liceo Classico di Gioia 215 pezzi ( 27 dei quali corredi funerari delle tombe di Santo Mola ) provenienti da diverse parti della Puglia, perché vengano utilizzati come Museo a scopo didattico. Successivamente, nel 1962, questi reperti costituiscono il primo nucleo del Museo Civico che viene istituito nell'ex Convento di San Francesco; una parte di essi dal 1977 viene trasferito nel Museo Archeologico Nazionale di Gioia, istituito presso il Castello Normanno-Svevo. Gran parte dei reperti archeologici, inventariati e non esposti, ancora oggi si trova nel Museo Archeologico di Taranto.
Un dettagliato studio, corredato da numerose fonti e da una ricca documentazione topografica e fotografica, relativi alle scoperte e agli scavi effettuati fino al 1956 è stato pubblicato dal professore Antonio Donvito nel testo " Gioia una città nella storia e civiltà di Puglia ", vol. III, Schena editore, Fasano,1992, pagg. 23-126.
Sempre in seguito a lavori effettuati nell'area destinata a deposito carburanti riservata all'A.M. nell'anno 2001 vengono effettuati tre interventi di scavi, che portano alla luce altre 26 tombe, 10 scavate nella roccia in calcarenite, materiale presente abbondantemente nel sottosuolo, 9 a doppia fossa ( cioè disposte su due piani ), 6 a sarcofago monolitico ed una a enkytrismoi ( cioè con deposizione di morti neonati in vasi di terracotta, come olle o pithoi ). Dalle ossa umane ritrovate e dal corredo funerario rinvenuto, composto di vasi, coppe, bracciali in bronzo, fibule in ferro ed ambra e pendenti in ambra, giavellotti, cinturoni, punte di lance, si può far risalire queste sepolture tra la fine del VII secolo e il IV secolo a.C.
Nel mese di luglio del 2004, sempre casualmente, a seguito degli scavi per le fondazioni di una costruzione di proprietà della famiglia Carbonara, a Santo Mola viene scoperta una nuova necropoli peuceta.
Gli scavi, condotti dalla Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Taranto, hanno portato alla luce, in uno spazio di terra di circa 20 metri quadri, ben 17 tombe a sarcofago.
L'arredo, abbastanza ricco e consistente, che denota una notevole disponibilità economica dei defunti, deposti in posizione rannicchiata, è di estrema importanza per la ricostruzione storica della popolazione che ha vissuto in questo sito del nostro paese nella metà del VI secolo a.C., periodo al quale risalgono gli arredi di quelle tombe. Sono stati rinvenuti, infatti, oltre a materiale fittile perfettamente intatto e materiale ionico di importazione, anche oggetti in metallo, come lance e spiedi.
La necropoli sepolta da circa due metri di terra, probabilmente si è mantenuta intatta grazie ad una alluvione di qualche secolo fa, come è emerso dalla sezione dello scavo.
Il Ministero ha impegnato una somma che garantiva i lavori di scavo solo per 15 giorni, dopo il quale termine sono ripresi i lavori per il completamento della costruzione da parte del proprietario del suolo.
Attraverso questa serie fortuita di ritrovamenti, seguiti da brevi campagne di scavo, la necropoli peuceta di Santo Mola ha portato alla luce un patrimonio archeologico di inestimabile valore culturale, storico e archeologico offrendo agli studiosi non solo arredi, ma anche alcune notizie e dati utili per la conoscenza del luogo e dell'insediamento umano del territorio gioiese.
Dal punto di vista strutturale quasi tutte le tombe rinvenute a Santo Mola sono rettangolari del tipo a fossa, cioè scavate nella roccia tufacea tipica della zona, e situate su un territorio ampio e non riservato eslusivamente a necropoli. Poche sono le tombe a sarcofago, cioè costituite da un blocco monolitico di tufo. Essendo di dimensioni inferiore rispetto alla statura dei defunti, questi venivano deposti in posizione rannicchiata o fetale. Poiché gli abitanti del luogo credevano nel prolungamento della vita nell'aldilà, il corredo funerario, quasi sempre ricco e comunque legato allo stato sociale del defunto, comprendeva anche oggetti ritenuti sacri o scaramantici, quasi a voler perpetuare la continuazione della vita in un mondo ultraterreno.
Il corredo funerario delle tombe di Santo Mola comprende oggetti in ceramica di diversa fattura ed epoca: ceramica greca di importazione con figure nere, ceramica greco-coloniale a vernice nera, ceramica geometrica peuceta, ceramica con decorazione a fasce, linee e motivi fitomorfi, ceramica apula a figure rosse, ceramica a vernice nera, ceramica sovradipinta, ceramica tipo Egnazia, ceramica comune o acroma. Sono presenti anche statuette e oggetti in metallo.
La presenza a Santo Mola di cave di calcarenite o di tufo carparo, come viene comunemente chiamato il materiale lì presente, materiale estratto e utilizzato anche in alcuni elementi costruttivi ( cinte murarie, residenze di nobili e private, grandi tombe nobiliari, capitelli, colonne ed architravi ) che ritroviamo a Monte Sannace, fa pensare all'importanza che questo sito doveva avere nei tempi passati.
Il sito, oltre ad assumere il ruolo di centro commerciale, di sfruttamento delle cave, di produzione di vasi e oggetti di ceramica e oltre ad essere un luogo che fungeva da modello di organizzazione del lavoro per manodopera specializzata nel taglio e nella lavorazione del tufo carparo, si presentava come punto strategico di collegamento viario e di commercio con il vicino abitato di Monte Sannace e con i villaggi viciniori, tra cui gli insediamenti di Masseria del Porto, e con i paesi circostanti dell'area greco-tarantina.
L'importanza del sito come centro di scambi commerciali è attestato anche dalla consistenza e variegata tipologia di ceramica rinvenuta e da alcune iscrizioni in greco su alcuni vasi e di lettere dell'alfabeto greco su blocchi di tufo sia a Monte Sannace che a Santo Mola.
Il rinvenimento, tra il corredo tombale, di cinturoni, punte di lance e giavellotti metallici, strumenti utilizzati dai soldati, fa pensare che la zona oltre ad essere una grande miniera di rocce calcaree e, quindi, una sede di lavoro di artigiani ed operai, era anche un importante centro abitato, come è attestato dalla presenza anche di guerrieri che si preoccupavano di difendere con le armi non solo il loro " oro ", cioè le cave e il loro libero commercio, ma anche gli abitanti.
Dai reperti portati alla luce attraverso gli scavi, seguiti sempre a rinvenimenti casuali, possiamo risalire alla datazione del primo insediamento, che doveva essere di capanne e che risale tra il 2000 e il 1800 a.C.; questo primitivo nucleo poi si amplia con costruzioni in carparo e pietra a partire dal secolo VII-VI a. C. Allo stato attuale dei reperti venuti alla luce non siamo in grado di chiarire né l'estensione della zona urbanizzata né la consistenza del patrimonio architettonico dell'insediamento.
Probabilmente il sito ha subito la stessa sorte dell'insediamento di Monte Sannace; viene distrutto nel III secolo a.C. a seguito della guerra contro Annibale, delle guerre contro i romani e viene conseguentemente abbandonato.
La casualità e la costante ricorrenza dei rinvenimenti fa pensare che il sottosuolo nasconde molti altri tesori e documenti che potrebbero far piena luce sulla storia del sito e su quella dei suoi primi abitanti.
In questi giorni la Soprintendenza per i Beni Archeologici per la Puglia, sempre più certa che ulteriori scavi potranno fornire nuove testimonianze sui peuceti, sta apponendo dei vincoli in una parte della zona di Santo Mola, dal momento che questa è interessata a numerose presenze di antichi insediamenti e di ritrovamenti di reperti archeologici di straordinario interesse e pregio, in attesa che nuovi finanziamenti statali permettano di completare l'esplorazione del sito.
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25 Gennaio 2010