La “Passata al Monte”
Dal libro GIOIA – Una città nella storia e civiltà di Puglia – a cura del Prof. Mario Girardi – Schena Editore, abbiamo estratto le notizie che seguono relative alla cosiddetta “Passata al Monte “. L’ottava di Pasqua si svolge, presso la chiesa campestre dell’Annunziata in agro di Gioia, in località Monte Sannace, un rituale […]
Dal libro GIOIA – Una città nella storia e civiltà di Puglia – a cura del Prof. Mario Girardi – Schena Editore, abbiamo estratto le notizie che seguono relative alla cosiddetta “Passata al Monte “.
L’ottava di Pasqua si svolge, presso la chiesa campestre dell’Annunziata in agro di Gioia, in località Monte Sannace, un rituale magico-religioso legato alla prevenzione e alla cura dell’ernia infantile, la cosiddetta «passata al Monte».
Col termine «passata» si intende, generalmente, il passaggio di un bambino malato di ernia attraverso la fenditura del ramo di un albero per tre volte. Se il ramo, una volta riaccostata e legata la fenditura, tornerà a germogliare il paziente sarà guarito. Il termine è poi passato ad indicare, per analogia, altre forme di passaggio: attraverso un arco di foglie, un arco di pietra, una porta ovvero, nella sua esemplificazione, un percorso circolare intorno ad un luogo sacro.
La «passata» gioiese, che consiste in un triplice percorso processionale intorno alla chiesa dell’Annunziata, costituisce quindi una di queste varianti.
Bernardino da Siena ne fece pubblica condanna in una delle sue prediche sull’idolatria:
Ma nonostante la proscrizione in vari sinodi diocesani il rito continuò ad essere praticato, anzi si arricchi di elementi sacrali, quali speciali formule di benedizione, fino a giungere alla completa cristianizzazione con l’inserimento in feste liturgiche e l’assegnazione del patrocinio della guarigione ad un santo o alla Madonna: S. Giovanni, il Crocifisso, la Madonna Annunziata. Ed è evidente che la scelta di queste divinità, e non altre, ha una sua precisa ragion d’essere, anche se talvolta implicita.
La spiegazione più semplice potrebbe essere che la Madonna, essendo madre di un bambino divino, è genericamente intesa come protettrice di tutti i bambini. Nella liturgia cattolica, peraltro, il 25 marzo è dedicato alla benedizione particolari puerorum et infantium.
Le più antiche testimonianze di <<passata>> pugliese sono quelle di Rutigliano (Bari) e di Noci.
Oltre a questi due centri maggiori l’uso è diffuso in Puglia anche a Cerignola (Foggia), Valenzano, Turi, Noicattaro.
A Gioia la festa dell’ Annunziata si celebra attualmente l’ottava di Pasqua e si ripete il giovedì e la domenica successivi, in ossequio alla triplicità sacra le che caratterizza simili rituali: tre sono i giri da effettuare intorno alla chiesa, per tre volte nell’arco di una settimana e per tre anni consecutivi.
Le origini della festa gioiese, nella quale rituale pagano e festa liturgica si intrecciano strettamente, con l’aggiunta del connotato di sagra campestre offerto sia dal luogo (amena zona collinare appena fuori del paese) che dal giorno, assimilabile ad una pasquetta, ha origini molto antiche.
Nel passato la manifestazione religiosa era molto pio articolata: la statua della Madonna Annunziata, custodita nella Chiesa del Carmine a Gioia, veniva portata in processione a Monte Sannace il 25 marzo secondo alcune fonti, il lunedi in albis secondo altre. La cosa non è poi contraddittoria se si pensa che in molti centri pugliesi la festa dell’Annunziata si celebra il lunedi in albis.
Per le strade del paese la statua era portata dai confratelli del Carmine; appena fuori del paese la gestione della processione passava alle donne, che si davano dei turni di dieci metri per ciascuna coppia di portatrici. La statua rimaneva nella chiesetta di Monte per tre giorni; il terzo giorno, con modalità analoghe, veniva riportata in paese.
Anche la «passata» presentava modalità diverse, come si rileva dalle descrizioni di folkloristi e studiosi dall’800 ad oggi.
La prima è del Karusio é risale al 1899: i bambini erniosi venivano portati a spalle entrando da una porta della chiesa ed uscendo dall’altra per tre volte consecutive, durante la celebrazione delle Messe, tra il Sanctus e l’elevazione.
Del 1926 è la descrizione che ce ne fa il La Sorsa: «I Gioiesi il giorno dell’ Annunciazione di Maria Vergine portano la Madonna dell’Annunziata ad una località del paese, detta Monte Sannace, in un’antica cappella. Là si celebrano le messe e altre cerimonie sacre; dopo ha luogo la processione rustica, portando la Vergine per tre volte attorno alla collina per un sentiero sassoso.
La seguono molti uomini e donne che “passano i bambini” dell’uno e l’altro sesso, a cui fanno da padrino e, se sono piccoli, li portano in braccio.
Questa cerimonia religiosa ha, secondo il popolino, la virtù di preservare il fanciullo dal male di ernia (detto male della Madonna). Dopo la processione e la “passata” si fermano nell’aperta campagna in vicinanza della cappella, e mangiano e bevono, gozzovigliando fino a sera».
Ancora diversa la descrizione che ne fa Anelli nel 1957: «A Gioia del Colle, distante poco più di 15 chilometri da Noci, il popolo accompagna in processione il 25 marzo di ogni anno il simulacro della Madonna nella chiesetta del vicino Monte Sannace dedicata alla S.S. Annunziata. Dopo la celebrazione delle Messe, l’effige della Vergine viene recata in processione per tre volte intorno alla collina. Seguendo la processione, uomini e donne si passano i bambini tenuti a mano o portati in braccio se incapaci di camminare; questo rito del passaggio dei bambini da una persona all’altra li preserverebbe dall’ernia, detta, secondo la tradizione popolare di gran parte della Puglia, la grazia della Madonna».
Da una modalità decisamente più arcaica, il passaggio attraverso la porta della chiesa per tre volte che si riallaccia alla definizione vangennepiana della «passata», il rituale si sarebbe evoluto, semplificandosi, nel triplice percorso intorno al luogo sacro.
Del tutto avulsa dalla funzionalità terapica è la descrizione che del rito viene fatta da Leonardo D’Erasmo in una recente Guida alla città di Gioia: «Nelle due domeniche immediatamente successive alla Pasqua [ “.] e nel giovedì tra le due (circa nelle stesse date che gli Slavi chiamano “druzicole”, giorni dell’amicizia) masse di partecipanti si uniscono secondo schemi predeterminati allo scopo di dare avvio al magico rituale del comparatico: basta girare in coppia, processionalmente, con triplice percorso intorno alla chiesa per essere affratellati».
Benché il rituale abbia perso in parte la funzionalità specifica di terapia per la prevenzione e la cura dell’ernia, esso rimane tuttavia una chiara espressione di dedicatio puerorum,
La maggior parte dei « passati» sono tuttora dei bambini, di età variabile da pochi mesi all’età puberale.
A differenza che in altre località, infatti, dove il «comparatico di macchia» o il «comparatico di monte» è molto sentito e stabilisce profondi e indissolubili legami tra le parti contraenti, quasi al pari di un «S. Giovanni», a Gioia, almeno sulla scorta delle testimonianze orali raccolte, i padrini vengono spesso scelti a caso e il comparatico, pur rispettando gli obblighi che il legame in sé comporta (regalo, assistenza, ecc.), non dura in eterno e non è paragonabile ad un comparatico di battesimo.
La stessa gestualità che accompagna il rituale è assai scarna: non prevede l’alzata dei bambini durante la Messa né l’abbraccio o la mano sulla spalla: il padrino e la madrina si limitano a tenere per mano o in braccio, se è troppo piccolo per camminare, il figlioccio. Anche le poche coppie adulte si tengono per mano.
Grande importanza assumeva invece il mangiare insieme. elemento integrante dei momenti di aggregazione e pertanto elemento essenziale di rituali di questo tipo. Si portavano da casa provviste, teglie di pasta, cibi rituali come frittata, carciofi fritti e soprattutto vino. A qualche centinaio di metri dalla stradina che immette all’area sacra, infatti, era sito il cosiddetto «albero di scolafiasco”, un albero sotto il quale si dava fondo al vino avanzato prima di tornare a casa.
La dimensione odierna della festa è notevolmente pio contenuta.
Per comodità ormai da molti anni la statua dimora per tutto l’anno nella chiesa campestre di Monte Sannace, disadorna anche dei suoi ex voto d’oro, che le vengono apposti solo nel momento della processione insieme ad eventuali offerte in denaro. Il giovedì dopo Pasqua un sacerdote si reca, senza alcun seguito processionale, a celebrare la Messa, che viene detta non più sul sagrato della chiesa bensì nell’ampia area prospiciente la stessa.
La processione ha luogo subito dopo la Messa: i bambini e le bambine, con in mano una candelina a cui è legato un nastrino rosa o celeste (acquistata poco prima sul sagrato della chiesa), accompagnati dal padrino o dalla madrina percorrono processionalmente per tre volte, cantando inni e lodi mariane, un circuito circolare intorno alla chiesa, parte sulla strada parte nella campagna.
L’uso di portare nastrini variamente colorati è comune a molte feste; si tratta, oltre che di un elemento ludico, di un elemento magico che legato alla candela, oggetto chiaramente votivo, si inserisce nella connotazione di sincretismo magico-religioso del rituale.
Analoghi nastrini, ma di carta, vengono apposti, unita mente a immagini dell’Annunziata ricavate da figurine di culto, su giocattoli di legno venduti per l’occasione sulle bancarelle disposte tutte intorno all’area sacra.
Per quanto riguarda la candela che i «passati» reggono nella mano destra mi pare che ad essa si possa dare la specifica valenza di simbolo di rinnovamento e di «rinascita» che ha nella liturgia cristiana del battesimo.
Attualmente non è più sentito l’obbligo di partecipare alla «passata» per tutti e tre i giorni; la data viene generalmente scelta in relazione alle condizioni atmosferiche, anche tenuto conto dell’età dei partecipanti. Similmente non è sentito l’obbligo di parteciparvi per tre anni consecutivi, pena la inefficacia della terapia.
Non tutti dopo la «passata» si fermano a mangiare tra le macchie. Si va anche perdendo l’uso di pranzare, subito dopo la «passata» (un tempo lo si faceva dopo le tre «passate»), in compagnia del padrino o della madrina, a meno che questo/a non appartenga allo stesso nucleo familiare, ma ciò rientra nei complessi rapporti di parentela che vigevano nella «famiglia allargata» di una certa società agricola che va peraltro anch’essa sfumando nei contorni di un apporto più formale e assai più labile.
Si tratta di un momento di festa anche per la comunità della parrocchia S. Maria Maggiore di Gioia del Colle, che si ritrova ogni anno a gestire tale rito religioso in collegamento con la S. Pasqua. Si riscopre la gioia di vivere insieme dei momenti comunitari; infatti a tale comunità è stata affidata la gestione della chiesa dell’Annunziata e del sito annesso, del quale se ne prende cura con molte iniziative e lavori appropriati.
22 Aprile 2007