La “partaggia”
La partaggia, termine utilizzato nei secoli scorsi nel vernacolo dei contadini delle nostre contrade, mutuato dall’italiano partaggio, è un appezzamento di terreno pari a 6554 m², circa un tomolo. Ricaviamo tale dato da testo Misure locali per le superfici agrarie, pubblicato dall’Istituto Centrale di Statistica, A.BE.T.E., Azienda Beneventana Tipografia Meridionale, Roma 1950, nel quale per […]
La partaggia, termine utilizzato nei secoli scorsi nel vernacolo dei contadini delle nostre contrade, mutuato dall’italiano partaggio, è un appezzamento di terreno pari a 6554 m², circa un tomolo. Ricaviamo tale dato da testo Misure locali per le superfici agrarie, pubblicato dall’Istituto Centrale di Statistica, A.BE.T.E., Azienda Beneventana Tipografia Meridionale, Roma 1950, nel quale per Gioia del Colle si riporta la superficie del tomolo = are 65,54.
La parola partaggia/o deriva dal francese partage (a sua volta dal latino partire), termine che significa ripartizione, divisione, spartizione. Il termine fu introdotto in Puglia durante il periodo dei Napoleonidi, passato alla storia come “Il Decennio Francese” (1805-1815).
Fino al 1805, cioè prima dell’abolizione della feudalità del 1806, insieme ai beni feudali ed ecclesistici figurava la proprietà privata, costituita da concessioni o donazioni di terreni in colonìa; il territorio di Gioia del Colle, in definitiva, era fortemente frammentato ed era diviso in sette categorie terriere:
-Terre demaniali feudali, la gran parte delle quali appartenevano al Principe Carlo de Mari, feudatario di Gioia del Colle e di Acquaviva,
-terre demaniali ecclesiastiche, proprietà della Mensa Arcivescovile di Bari, della Chiesa di S. Nicola di Bari, del Sovrano Ordine Militare di Malta, del Rev. Capitolo della Collegiata e Chiesa Matrice di Gioia del Colle e proprietà dei Conventi di S. Francesco e S. Domenico di Gioia del Colle,
-terre demaniali universali, cioè di proprietà del Comune di Gioia del Colle,-terre demaniali promiscue, cioè in comproprietà con i Comuni di Noci, Putignano e Turi,
-terre burgensatiche, cioè terre di piena e libera proprietà del feudatario, del barone,
-terre universali, cioè di proprietà universale, rivenienti da concessioni sovrane,
-terre allodiali, quelle cioè di piena e libera proprietà di privati cittadini.
Con la legge del 2 agosto 1806 Giuseppe Napoleone sancì l’abolizione della feudalità e con successiva legge del 1° settembre 1806 ordinò la ripartizione dei demani, per essere posseduti come proprietà libera di coloro ai quali toccheranno.
Con la legge del 17 agosto 1809 si decretava la soppressione definitiva e completa di tutti gli Ordini religiosi possidenti, tra cui i Conventi dei Domenicani e quello dei Francescani con i loro possedimenti, che passarono al demanio dello Stato.
Lo scopo di queste leggi, che furono definite eversive, era quello di quotizzare i beni demaniali per darli ai cittadini più poveri, a seguito di un apposito sorteggio, e creare una piccola e media proprietà contadina, completamente libera, quindi con cittadini non più asserviti ai capricci di nobili e borghesi.
Nei fatti, però, nonostante a tale scopo si passò alla nomina di apposite Commissioni, il trasferimento dei demani non decollò per una serie di impedimenti e di cavilli giudiziari messi in campo dalla borghesia agraria; il ritorno dei Borboni, poi, alla fine del Decennio francese, portò questi ultimi ad accantonare la proposta di divisione dei beni demaniali.
Non da meno agirono da freno le usurpazioni o le vendite di beni ecclesiastici, che favorirono il rimpinguamento dei patrimoni fondiari dei grandi proprietari terrieri, i quali disponevano del denaro necessario per acquistare quei fondi.
Nel 1848, in pieno clima di rivoluzione italiana ed europea, 97 impossidenti gioiesi chiesero al Delegato dell’Intendenza per i Demani di Gioia del Colle di recuperare quanto precedentemente sancito dalle leggi eversive della feudalità e di occuparsi della divisione dei demani comunali.
Nonostante il Decurionato a settembre del 1848 deliberasse di quotizzare alcuni terreni demaniali, nulla venne messo in atto in tal senso.
Stanchi di questi dinieghi e silenzi, nel 1864 un buon numero di cittadini, precisamente 67, occuparono 878 ettari del demanio comunale e subito dopo in numero di 163 occuparono altri 583 ettari, mentre in contemporanea continuava l’usurpazione di altri possessi demaniali da parte di cittadini facoltosi.
Bisognerà attendere qualche anno dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia per sentire parlare di lottizzazione dei beni demaniali; infatti il Decreto ministeriale del 4 febbraio 1863 autorizzava la quotizzazione del demanio universale di alcune contrade di Gioia del Colle per circa 418.000 ettari, ripartendoli in 585 quote di diversa estensione a seconda del valore redditizio del terreno, la cosiddetta “partaggia”, prevedendo un canone annuo di £ 8,50 da corrispondersi da parte dei beneficiari.
Le quote furono sorteggiate e assegnate nel 1864 e per la prima volta a Gioia del Colle quei fortunati contadini da braccianti dipendenti diventarono agricoltori in proprio. Venne coniato l’appellativo di partagiaiuolo per questi possessori di una partage, termine risalente alla legislazione francese del Decennio.
Nel 1879 furono sorteggiate altre 801 quote e nel 1881 ne furono sorteggiate altre 766, formando altrettante partagge.
Seguirono nel 1885 altri sorteggi di 1418 quote e nel 1948 furono assegnate altre 26 quote, tralasciate dalle precedenti assegnazioni, a causa della scadente qualità del terreno.
Le quotizzazioni non portarono i benefici previsti per i contadini, come sottolineò il prof. Giovanni Carano Donvito, Delegato Tecnico della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei contadini meridionali: Le quotizzazioni in generale sono riuscite di una grande delusione in riguardo ai benefici che se ne speravano e per le classi proletarie, e pei contadini in ispecie, e per l’intera economia sociale…. Molte quote, nonostante il divieto (20 anni dalla data dell’assegnazione) furono subito con mille magagne alienate, molte concentrate in mano di pochi, di abbienti, e non poche perfino abbandonate o per la loro sterilità, o per emigrazione, o addirittura per mancanza di convenienza. Ciò che dimostra per esperienza ormai largamente fatta, che non è la concessione di qualche mezzo ettaro di terreno che possa sollevare la condizione del proletariato rurale, specie nei tempi di facile emigrazione e di alti salari. (I contadini, infatti, trovavano economicamente più vantaggioso lavorare a giornata per altri che lavorare per conto proprio).
Su 3570 quote assegnate ne furono vendute 480 prima del divieto ventennale, che favorirono da una parte il processo di concentrazione delle quote nelle mani della grande proprietà terriera e dall’altra la formazione della piccola proprietà terriera contadina, con conseguente costruzione, da parte di questi ultimi, di abitazioni rurali nelle contrade più distanti da Gioia e con la conduzione diretta da parte della famiglia del proprietario che viveva e lavorava sulla stessa terra.
Questi assegnatari con la loro laboriosità e con grandi sacrifici non sempre riuscirono a trasformare zone boschive, pascoli e terre incolte in vigneti, mandorleti, uliveti, come speravano, non solo perché non avevano i mezzi necessari per ridurle a coltivazione, ma anche perché molti terreni non essendo stati coltivati da tempi immemorabili erano ricoperti da sterpi, siepi ed erbe nocive alla coltivazione e a volte presentavano vaste zone rocciose e quindi scarsamente utilizzabili. D’altra parte i concessionari erano in ogni modo soggetti al pagamento del canone e di altri tributi che gravavano dal fatto di avere una benchè minima proprietà terriera, senza la certezza di poter far fede a questi impegni per gli scarsi proventi ricavati dai raccolti.
Nonostante queste difficoltà i partagiaiuoli gioiesi più attivi e speranzosi, una volta entrati in possesso della propria quota avviarono subito le pratiche per ridurre a coltivo l’appezzamento ricevuto; liberarono il terreno dalle pietre affioranti o da quelle in profondità, utilizzandole per la costruzione di muretti a secco, che ne delimitavano la proprietà, o per una piccola casa campestre, la cosiddetta casedda, che richiamava la tipologia del trullo, utilizzata come deposito, e successivamente per una casa colonica, quando l’appezzamento era distante dal paese e richiedeva molto tempo per recarsi a lavorare dal paese in campagna e per rientrare in città, ragion per cui il partagiaiuolo fu costretto a fissare la sua dimora in campagna.
Si assisté, dunque, a un piccolo spopolamento del paese e a una urbanizzazione, seppure sparsa, delle contrade, con un progressivo disboscamento di quelle zone per ricavarne terre coltivabili seminativi o da adibire a culture arboree, quali vite, mandorlo, ulivo. Tipico è il caso della contrada Murgia ossia di Montursi.
Ai nostri giorni solo gli anziani ricordano queste vicende che hanno interessato il nostro Comune due secoli or sono, mentre i più giovani non hanno affatto contezza non solo del fenomeno partage, ma anche del significato di un termine che racchiude un momento significativo della storia della nostra popolazione contadina, come momento di affrancamento dalla miseria e dalla dipendenza del volere della borghesia agraria.
Da qualche decennio, invece, assistiamo alla vendita di partagge, che vengono acquistate da compaesani che vogliono dilettarsi in campagna sperimentando la coltivazione di alcune colture da utilizzare ad uso strettamente personale e per trascorrere una parte del tempo libero o di ferie, vivendo all’aria aperta e salubre, in quegli appezzamenti che, come partagge, al loro interno avevano anche un piccolo fabbricato abitabile.
Per un maggior approfondimento dell’argomento è possibile consultare lo studio del prof. Vito Antonio Donvito L’abolizione della feudalità e la formazione della piccola e grande proprietà terriera a Gioia del Colle, pubblicato nel volume Gioia Una città nella storia e nella civiltà della Puglia, vol. I, Schena Editore, Fasano 1986, da cui ho attinto diverse informazioni.
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26 Settembre 2024