La famiglia De Mari e Gioia
Ironia della sorte! I Romani (l’Italia) dopo aver conquistato gran parte del mondo allora conosciuto ha subito a sua volta continue invasioni da parte di popoli europei. La storia di Gioia è contrassegnata dalla presenza di numerosi popoli che l’hanno governata e da numerosi signori e feudatari che in vari modi ne sono venuti in […]
Ironia della sorte! I Romani (l’Italia) dopo aver conquistato gran parte del mondo allora conosciuto ha subito a sua volta continue invasioni da parte di popoli europei.
La storia di Gioia è contrassegnata dalla presenza di numerosi popoli che l’hanno governata e da numerosi signori e feudatari che in vari modi ne sono venuti in possesso.
A Giosia, l’ultimo degli Acquaviva d’Aragona feudatario di Gioia, feudo caduto sotto sequestro, nel 1612 era succeduto nel possesso del feudo gioiese il marchese Paride Pinnelli.
A costui, a causa dei debiti crediti che aveva contratto per la vita dispendiosa che conduceva a Napoli, subentrarono i suoi creditori. La vendita del feudo gioiese non fu effettata a causa delle contese sorte tra gli eredi e i creditori del marchese, anche dopo la morte del Pinnelli, avvenuta nel 1623.Infatti nel 1623 alla morte del Pinnelli i suoi parenti reclamano l’eredità. Però a causa della richiesta dei creditori del marchese, che per l’acquisto dei feudi aveva contratto debiti con i signori De Mari, Fieschi, Spinola, Grillo e Doria, il suo patrimonio fu sequestrato e messo all’asta.
In mancanza di acquirenti l’asta andò deserta e le Terre del Pinnelli furono sequestrate e rimasero in potere della Regia Camera, che le dette in fitto a diversi baroni.
Successivamente il feudo fu dato in locazione a diversi speculatori finché nel 1660 lo tenne in locazione il marchese di Santeramo Giambattista Caracciolo fino ad agosto del 1663.
Furono rivisti gli apprezzi e l’asta fu aggiudicata con Regio Assenso, dato a Madrid nel 1664, al marchese di Assigliano, Carlo De Mari, famiglia di banchieri, di origine genovese.
In quell’occasione il de Mari, essendo rimasto l’unico concorrente con l’offerta di 216.000 ducati, con il sistema della candela vergine e con la presenza del rappresentante della Regia Corte, il pubblico incantatore Giuseppe Fiore, si aggiudicò il possesso del feudo.
Carlo I verso la fine del 1664 decise di recarsi per la prima volta in Puglia per prendere possesso dei territori acquistati e fissare la sua dimora ad Acquaviva; forse per ingraziarsi il nuovo signore e comunque per rendergli i dovuti onori e porgere il saluto della popolazione locale, i gioiesi mandarono una loro rappresentanza a salutare Carlo I, che si era fermato a Giovinazzo, dove pernottava in attesa di riprendere il suo viaggio per la destinazione finale. La delegazione gioiese era formata dal sindaco Berardino Netta e dal Vassallo, il dott. fisico Vito Barba.
Nel 1665 i De Mari ottennero dai reali spagnoli il titolo di Principi di Acquaviva.
Fu in questo periodo che, grazie alla complicità e al consenso di numerosi signorotti, specialmente i de Mari, alcuni abitanti dei Comuni confinanti con Gioia (Turi, Sammichele, Putignano e Noci) cominciarono a costruire masserie ed altri possedimenti nel territorio a nord e nord est di Gioia sottraendone porzioni di territorio e riducendo il paese alla desolazione.
Numerosi documenti attestano la condizione di degrado di Gioia specialmente dopo che Carlo I De Mari, acquistati all’asta i feudi di Gioia e di Acquaviva, nel 1664 venne a prenderne possesso.
Questo feudatario, vantandosi addirittura della sua prepotenza e malvagità, impose pesanti balzelli ai vassalli e sin dal suo insediamento espresse la sua determinazione di fare di Acquaviva (e conseguentemente anche di Gioia, che rientrava nel suo possesso) abitacolo de’ porci e li cittadini che non abbiano da potersi prestare un tozzo di pane l’un l’altro.
ll De Mari, complici anche rappresentanti del clero locale e di funzionari a lui devoti, dette inizio ad una sistematica usurpazione delle proprietà terriere della Chiesa e dell’Universitas di Gioia e fece mancare al Comune anche la corresponsione della bonatenenza, cioè la tassa che avrebbe dovuto pagare per i beni non feudali che aveva preso in locazione o che aveva acquistato.
Carlo I De Mari morì ad Acquaviva nel 1678 dove fu sepolto; è stato definito il Principe Flagellatore.
Alla lui successe il nipote che portava il nome Carlo II, il quale tenne il feudo fino alla sua morte, avvenuta il 9 febbraio 1740. A Carlo II successe Giambattista De Mari, che morì nel 1780. Entrambi questi signori si dimostrarono buoni governanti e responsabili delle sorti della popolazione che amministravano.
Alla morte di Giambattista divenne feudatario di Gioia Carlo III De Mari, che si era dimostrato un individuo di pochi scrupoli, dispotico e oppressivo come Carlo I, già prima di ottenere il feudo. Tanto vessò il popolo che nel 1776, mentre svolgeva le funzioni di amministratore dei beni paterni, il re Ferdinando II lo obbligò a risiedere a Napoli e gli vietò di recarsi nel feudo paterno senza la sua autorizzazione. Solo dopo tre anni di domicilio coatto il 6 febbraio 1779 ebbe il permesso di recarsi ad Acquaviva, con l’assicurazione che moderasse il suo comportamento poco corretto e si dimostrasse tollerante nei confronti della popolazione.
È evidente che non ottemperò a questa prescrizione, poiché fu ancora malvisto dai sudditi e a seguito di una sollevazione degli abitanti di Acquaviva, che arrivarono a distruggere la tomba della sua famiglia durante il Decennio francese a causa della sua fede sanfedista, fu costretto a fuggire da quel paese, insieme alla moglie Guglielma Russo Scilla e ai due figli, e a trovare riparo nel Convento di San Francesco di Gioia, in attesa che fosse completato il restauro del locale castello, anch’esso di sua proprietà. Fece sistemare all’interno della Chiesa annessa al Convento la lapide del suo avo Carlo I, iscrizione che era riuscito a salvare dalla furia dei cittadini acquavivesi.
La lapide, pregevole opera con intarsi marmorei policromi, apposta davanti all’altare principale della chiesa di San Francesco riporta la seguente iscrizione in latino: Carolus De Mari Aquavivae princeps Genua patritius Beapoli miles fluxam mortalitatem ex genere doctu et loco aede hanc sepulchrale ex ante sibi suisq construi volvit molitu in sacro portu ut nullu extimesceret e morte naufragiu. A. D. MDCLXXVIII.
Il 1800 si apre a Gioia con una svolta importante. Infatti il 2 gennaio la Suprema Giunta di Stato di Napoli ordina al Signor Ufficiale della Residenza doganale di Gioia, con l’assistenza fiscale del Capitano D. Francesco Soria, il sequestro dei beni posseduti dal Principe don Carlo De Mari, accusato da Francesco Soria quale reo di stato.
Carlo III De Mari trascorse il resto della sua vita a Gioia fino alla sua morte, avvenuta il 5 gennaio 1825. Fu sepolto nella Chiesa Madre di Gioia, probabilmente in uno degli ipogei presenti sotto la chiesa, utilizzati come luogo di sepolture di religiosi e di rappresentanti di famiglie nobili.
A ricordo della dominazione dei De Mari a Gioia sull’arco anteriore che sorregge la cupola della Chiesa Madre è stato posizionato lo stemma della famiglia De Mari.
Gli successe il figlio Giambattista, il quale era di indole simile al nonno e fu poeta e letterato e ricoprì delle cariche importanti nella amministrazione del Regno delle Due Sicilie.
Il 10 febbraio 1800 la madre del Principe, Principessa d’Acquaviva Caracciolo, da Napoli reclama l’indebito sequestro di alcuni suoi parchi, non appartenenti a Carlo De Mari.
Il 16 luglio 1800 venivano liberati dal sequestro i beni del Principe d’Acquaviva. Tra le terre usurpate dai De Mari va segnalata la zona di Monte Rotondo, comunemente chiamata Monte Sannace. La proprietà di Monte Rotondo e della chiesa dell’Annunziata, patrimonio dall’XI secolo della Chiesa di San Nicolò di Bari, usurpata precedentemente dai duchi d’Atri, rientrò in possesso della Mensa Arcivescovile di Bari nel 1829 attraverso un atto di transazione tra l’Arcivescovo di Bari, Michele Basilio Clary, e la principessa di casa Acquaviva, la nobildonna Gugliela Ruffo Scilla, nella sua qualità di tutrice del principe Giambattista De Mari, ancora minorene.
I Principi De Mari, padroni di Acquaviva, Gioia e Castellaneta governano dal 1664 fino al 1806, quando vengono espulsi. In nel 1806 Giuseppe Bonaparte dichiara l’abolizione dei feudi. Con legge 1-9- 1806 si imponeva la quotizzazione del demanio: le terre del principe Carlo De Mari, feudatario di Gioia, Acquaviva e Castellaneta, quelle degli ordini religiosi di San Francesco e di San Domenico, quelle del Capitolo della Collegiata di Santa Maria Maggiore, della chiesa di san Nicola di Bari, della mensa arcivescovile di Bari, del Sovrano dell’Ordine dei Cavalieri di Malta e altre terre denominate universali, cioè provenienti da concessioni sovrane, cioè appartenenti all’Università, al Comune.
Nel 1810 si concluse la causa tra il Comune e l’ex feudatario De Mari. Il merito della vittoria del Comune fu non solo dell’avvocato, ma anche dell’abate Francesco Paolo Losapio, il quale pur non essendosi potuto recare a Napoli, fu ugualmente il promotore e il Consigliere di tutta questa causa, che, iniziata dal nonno suo omonimo, nel 1740-41, fu conclusa, almeno di diritto, se non proprio tutta di fatto, dal nipote, l’abate, con le due decisioni feudali del 1810.
Con tale vittoria il Comune recuperò, contro l’ex feudatario, Principe De Mari: circa 1800 tomoli di terreni erbosi-boscosi in Monte Sannace, Terzi di Mezzo ed Amendolamara; circa 300 tomoli in Castiglione; circa 360 tomoli in Gaudella; circa 423 tomoli in Marzagaglia; circa 600 tomoli in Vallata; circa 1680 tomoli in Fragennaro; circa 540 tomoli in Marchesana, per un totale di 5712 tomoli (circa 2300 ettari).
Inoltre il Comune era esonerato dal pagamento, a partire dal 1808, degli annui ducati 275,20, sul preteso credito a favore dell’ex feudatario.
L’Amministrazione comunale di Gioia nel 1826 difese i diritti della comunità gioiese sulle terre del canale di Frassineto contro le pretese del feudatario Carlo De Mari.
Senza voler giustificare la condotta di quei membri della casata De Mari che hanno governato tenendo conto dei loro personali interessi, va ricordato che nel Settecento, sotto il loro governo e durante il Vicereame Spagnolo di Napoli la popolazione subisce la tirannia e l’oppressione fiscale, che sfocia nelle ribellioni nel Regno e specialmente a Napoli con Masaniello nel 1647.
La rivolta contro la pressione fiscale del governo spagnolo si estende anche in Puglia, dove ha fine nel 1648. Era stato risposto dal governatore di Napoli: Vendessero l’onore delle mogli e delle figliuole così soddisfarebbero al loro obbligo.
Nel 1632 il Regno viene funestato da un terremoto. Nel 1631 si verifica una forte eruzione del Vesuvio. Nel 1645 e 1672 si verificano terribili carestie. Nel 1650 si hanno pessimi raccolti. Nel 1656 la peste colpisce anche Gioia. Nel 1663 ci si verifica un’invasione di bruchi. Fino al 1676 abbiamo feroci attacchi dei Turchi. Nel 1691 si verifica un’altra pestilenza.
La tradizione vuole che nel 1656 S. Rocco appare sopra la Torre del Principe Del Balzo con una spada fiammeggiante e fuga la peste. Per ringraziare il Santo i gioiesi costruiscono la cappella di S. Rocco fuori le mura, di fronte alla suddetta torre.
Nel 1731 un terribile terremoto si verifica nel Regno delle Due Sicilie ed è avvertito di forte intensità in Puglia; in tale circostanza i gioiesi ricorsero alla protezione e all’intercessione di San Filippo e Gioia restò illesa e non subì danni.
Sotto il successore Carlo II, meno crudele del primo, si ripetono periodi di siccità che nel 1716 e nel 1724 distruggono i raccolti.
Nei pressi del Monumento ai Caduti, alle spalle della Piazza Cesare Battisti, è ubicata Via dei Mori, sicuramente un errore di trascrizione per indicare Via De Mari, a ricordo di quei signori di Gioia e di Acquaviva che si erano segnalati per i loro meriti e per la cura verso il popolo che amministravano.
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1 Settembre 2022