I Padri Certosini a Gioia del Colle
L’antica piazza di Gioia era Piazza Duomo, quella antistante la Chiesa Madre, che era molto più ampia di quella odierna; infatti la Chiesa primitiva era molto più piccola di quella attuale e le abitazioni erano arretrate rispetto al fronte occupato oggi. La Piazza era anche il luogo dove si svolgevano i mercati e, come ci […]
L’antica piazza di Gioia era Piazza Duomo, quella antistante la Chiesa Madre, che era molto più ampia di quella odierna; infatti la Chiesa primitiva era molto più piccola di quella attuale e le abitazioni erano arretrate rispetto al fronte occupato oggi. La Piazza era anche il luogo dove si svolgevano i mercati e, come ci riferisce l’Apprezzo della Terra di Gioia stilato dall’ architetto e tabulario Honofrio Tangho nel 1640 era di mediocre grandezza. In essa vi sono più poteghe con la Taverna dove si può alloggiare. Indette poteghe si vendono tutte sorte di verdume, et altre robbe; pesci, quali vengono dalla Marina di Taranto.Poco distante dalla Piazza vi era la torre dell’orologio, la Casa comunale e il mulino. Verso il 1816 il Municipio fu trasferito nei locali dell’ex Convento di san Domenico. La Casa Comunale, vecchia e cadente sede, fu acquistata dal dott. Pietro Nicola Favale, che la demolì, costruendovi l’attuale Palazzo Favale, angolo Corso Vittorio Emanuele e Via Duomo. Per costruire il palazzo il dott. Favale acquistò anche un vecchio mulino, che distrusse, risanando e abbellendo quel sito centrale del paese. Sulla facciata della vecchia Casa Comunale esisteva una lapide con tre stemmi, uno dei quali raffigura l’Arma Ioe, scolpita da Giovanni de Rocca, attualmente murata nel Palazzo Municipale.
Nella seduta della Giunta comunale del 23-9-1898 il Sindaco D’Eramo cav. Daniele riferisce alla Giunta che presso gli eredi del fu Pietro Nicola Favale esisteva una lapide antica contenente lo stemma di Gioia. Ricorda: E’ noto che il Comune nel 1820 censì alcuni casamenti alla piazza, che furono acquistati dal dott. Pietro Nicola Favale. ( La Piazza di cui si parla è l’antica Piazza di Gioia cioè Piazza Duomo, di fronte alla Chiesa Madre ). Questi demolì i vecchi casamenti ricostruendone uno nuovo con altri che possedeva in attacco a quelli cedutigli dal Comune. Dalla demolizione dei vecchi casamenti risultò un’antica lapide con la data del 1480 delle dimensioni di circa un metro per 80 centimetri, sulla quale erano incisi uno stemma dell’Università di Gioia, quello della casa d’Aragona e un altro che non si potuto ancora decifrare.
Nel 1997 il bassorilievo è stato murato nel Palazzo comunale.
Nel Largo San Francesco, oggi Piazza Plebiscito, un tempo erano presenti la Chiesa di san Francesco con il relativo Convento dei Padri Francescani, e non molto distante la Chiesa di S. Maria degli Angeli e dei SS. Caterina d’Alessandria e Gregorio Magno, della famiglia D’Andrano, un mulino, due palmenti e uno spazio destinato per la sezione dei cadaveri.
Sull’origine del termine palmento i linguisti sono incerti: forse forse dal latino pavimentum ‘pavimento, selciato’ richiama il pavimento, su cui la macina gira. Con il termine palmento, dunque, si indica una vasca larga e poco profonda, con pareti di mattoni o di calcestruzzo, o anche scavata nella roccia impermeabile usata per la pigiatura dell’uva e la fermentazione dei mosti. Il termine richiama anche le macine dei mulini ad acqua, che schiacciavano le olive per produrre olio, o frantumavano il grano per ricavarne la farina.
Il 25-4-1813 Gioacchino Napoleone, re delle Due Sicilie concede al Comune di Gioia i locali del Monastero dei Conventuali e quello dei Domenicani, concessione rinnovata dal re Ferdinando IV, re delle Due Sicilie il 6-11-1816.
Nell’ Ottocento si registra a Gioia la presenza dei Padri Certosini di Napoli. L’Ordine certosino, uno dei più rigorosi ordini monastici della Chiesa cattolica, è stato fondato da san Bruno nel 1084 nell’ Isère, in Francia, ‘con la creazione del primo monastero, la Grande Chartreuse, da cui deriva il nome Certosini. I fratelli sono chiamati a cercare Dio nella solitudine e nel silenzio, ma non sono rinchiusi nell’interno di una cella, perché devono assicurare lo svolgimento di compiti pratici, necessari per il buon andamento del monastero.
Nella certosa, i fratelli formano un solo gruppo attorno ad un monaco detto “procuratore”. Il procuratore può essere sia un padre sia un fratello converso; egli assegna i vari lavori, coordina l’attività dei conversi e ha anche il compito dell’amministrazione temporale del monastero.
A giugno del 1828 il Procuratore della Venerabile Casa dei PP. Certosini di Napoli invia una memoria al Sig. Intendente della Provincia con la quale domanda che il Mulino e i Palmenti adiacenti al Giardino che apparteneva ai PP. Conventuali di Gioia, il quale era stato assegnato tra gli altri beni per dotazione alla Casa di essi PP. Certosini dagli eccellentissimi esecutori del Concordato sia a loro restituito. L’Intendente invita il sindaco di Gioia a deliberare su tale richiesta. Il sindaco il 9 agosto 1828 riunisce il Decurionato e lo mette al corrente delle missive ricevute. Afferma che il Procuratore della venerabile Casa dei PP. Certosini ha cercato di ingannare il Sig. Intendente con circonduzioni di parte, poicché ha detto, che i due Palmenti ed il Mulino, che si posseggono da questo Comune sono siti nel Giardino, che si apparteneva ai PP. Conventuali di Gioia, e che l’ affittatore gli abbia reclamati: va detto oltre a ciò, che nel 1813 il Governo di allora donò a questo Comune per uso della Giustizia Regia, della Carcere e del locale per i Gendarmi il Convento così detto di S. Francesco, e che abusivamente si fecero comprendere i detti Palmenti ed il Mulino, che sono nell’ intutto separati dal detto Monastero, e che non possono servire all’ uso, che il Governo destinò il locale. All’ opposto essendosi anche assegnati a detta venerabile Casa i detti Palmenti e il Molino li sono necessari: Conchiude dietro queste promesse, che se li debbano restituire i su cennati locali, perché non donati al Comune, perché non necessari al Comune, e perché si trovano annessi al Giardino dato alla loro Casa Religiosa.
Affinché i Decurioni potessero ben deliberare il Sindaco comunica che sin dal 25-10-1813 il Giudice di allora e il Ricevitore della Registratura e dei Demani, incaricati dai rispettivi Superiori, diedero in possesso al Sindaco di allora i due Monisteri di S. Francesco e di S. Domenico, dietro ordini e concessioni del Governo di allora. Di tale concessione si formò un processo verbale nel quale si citavano, tra gli altri locali, i due Palmenti ed il Mulino, fabbriche, che sono contigue con l’intero Monastero di S. Francesco, come i decurioni potevano osservare. Quindi da parte del Comune non vi fu abuso alcuno; al contrario il Procuratore dei Certosini aveva ingannato l’Intendente asserendo che le due fabbriche erano nell’ intutto separati dal Monastero dei Conventuali e che non potevano servire all’ uso cui il Governo aveva destinato il Convento e cioè per solo uso di carcere, della Regia Giustizia e per la Caserma dei Gendarmi. Il Mulino, invece era destinato da molto tempo per la sezione dei cadaveri.
Poiché il Governo aveva assegnato moltissime vigne Alla Casa dei Certosini, questi ritenevano che i Palmenti ed il Mulino erano per loro necessari. Questa illazione non risultava dalla concessione; se il Governo avesse voluto assegnarli ai Certosini avrebbe dovuto nominarli nell’ atto di assegnamento delle vigne, ma non essendo necessari, non li aveva tolti al Comune che ne era in possesso regolare per darli a loro che non erano stai mai in possesso. Quei locali dal Verbale di possesso erano stati dati al Comune. Inoltre il Comune li ritiene necessari perché si stanno eseguendo le Sezioni, che prima si era nella necessità di eseguire nelle Chiese (sito per le sepolture dei defunti).
Il sindaco comunica che con atto del 31-8-1823 D. Onofrio Stucci, amministratore del Patrimonio Regolare della Diocesi di Bari, diede e concesse a titolo di affitto a Giovanni e Francesco De Bellis una col Giardino murato due sottani, uno detto il Mulino e l’altro la Stalluccia con il Palmento per pigiare le Uve, e con tutti gli altri comodi.
Il Decurionato persuaso di quanto è stato esposto dal Sindaco, ritenendo che è ingiusta la pretenzione del Procuratore della Venerabile Casa de’ Certosini di Napoli, e che il Comune debba contrastargliela per tutti i riguardi, autorizzando il Sindaco a sostenere il possesso preso in nome del Comune sin dall’ anno 1813, e provoca l’arresto del sig. Stucci, avendo affittato un Corpo, che mai ha tenuto nei Stati del Patrimonio Regolare, e che è di proprietà del Comune.
Nonostante questa deliberazione il Decurionato si riunisce nuovamente il 21-12-1829. Il Sindaco dà lettura del foglio inviatogli dall’ l’Intendente del Distretto l’1-12-1829, con il quale fa conoscere che da S.E. il Ministro Segretario di Stato degli affari interni sono state date le disposizioni che la Lamia, che un tempo i PP. Conventuali tenevano ad uso di mulino, nonché gli adiacenti palmenti, ch’ esistono nel Convento di S. Francesco e de’ quali il Comune è legittimamente in possesso sin dal 25 ottobre dell’anno 1813 per donazione fattale nel tempo dell’occupazione militare, donazione che è stata confirmata dall’ attuale felicissimo Governo, debbano essere ceduti ai PP. Certosini di Napoli per pretenzioni da essi affacciate, colla clausola però, purché i medesimi fossero inservienti al Giardino, adiacente alli locali pretesi.
Il Sindaco comunica di aver risposto all’ Intendente, facendo presente che i locali pretesi dai PP. Certosini non sono affatto inservienti al giardino, e che non mai lo sono stati neanche in tempo ch’ esistevano i monaci: nel tempo poi che i Ricevitori de’ Demani affittavano detto giardino, lo davano in affitto isolatamente, e senza i detti locali pretesi dai Certosini, perché non appartenevano al giardino. E’ noto a voi e all’ intiera popolazione di Gioia, anzi è notorio nel paese, che la Lamia, la quale una volta serviva per mulino aveva due porte una sporgente nel detto giardino per comodo de’ Monaci, e l’altra nella strada pubblica detta di S. Lucia per essere di comodo al mulinaro, agli animali addetti al mulino, ed all’ uscita ed entrata de’ generi a mulirsi. Il Comune poi dacché principiò a servirsene per locale da far sezione per affari di giustizia fece chiudere la porta sporgente nel giardino, e si servì solamente di quella della strada pubblica su mentovata.
E’ da osservarsi, che il giardino è attaccato all’ abitato, ed è cinto d’altissimo muro a fabrico in modo che il giardiniere affittatore non ha avuto mai né nel tempo de’ Monaci, né in quello de’ Ricevitori de’ Demani, né poi, il bisogno di pernottarvi per assicurare il frutto de’ suoi sudori. Non ha avuto il bisogno di restarvi in permanenza, tanto più, perché l’ estenzione di detto giardino appena è di un tomolo e due stoppelli, né vi sono alberi di frutto, tranne alcuni alberi di fichi ordinarii, cosiche è piuttosto un Orto, che un giardino, nessun obbligo perciò ha potuto obbligarli alla continua dimora, tanto è vero che alcuni fittajoli vi seminano anche del grano.
I Palmenti poi, che hanno una porta sporgente nella strada di S. Lucia non sono stati, né possono essere mai servibili all’ orto, sì perché i pozzi in esso esistenti, ed addetti all’ innaffiamento dell’erba hanno i rispettivi palmenti all’ uopo, come anche quelli de’ quali è quistione sono molto distanti da’ pozzi suddetti, e nel tempo de’ monaci erano destinati ad altro uso. Essendo quindi detti locali, come sapete di niun uso è giusto, che a norma delle saggie disposizioni di S.E. il ministro Segretario di Stato degli affari interni, non siano ceduti ai PP. Certosini dal Comune, tanto più che non gli hanno avuti donati, e che non mai sono stati in possesso. Nel reclamo infatti hanno fatto sempre giocare gli equivoci, a fine di farne un profitto, togliendo al Comune un locale destinato per la sezione dei cadaveri, e ch’è difficile trovarsi in questo Comune per i pregiudizi che vi regnano.
Il Decurionato conoscendo vero quanto dal Sindaco (Pietro Nicola Favale) è stato esposto, conferma unanimemente di non doversi cedere il locale in questione ai PP. Certosini, essendo necessario per l’uso della sezione de’ cadaveri, cui è stato destinato e non essendo di uso di giardino, il quale non ne ha bisogno affatto.
© E’ consentito l’utilizzo del contenuto di questo articolo per soli fini non commerciali, citando la fonte ed il nome dell’autore.
3 Giugno 2020