I Gioiesi ad Altamura
Legami di sangue collegano da secoli gli abitanti dei Comuni di Gioia e di Altamura. Entrambi i Comuni hanno avuto un significativo sviluppo durante il regno di Federico II di Svevia. A lui infatti è dovuta la ristrutturazione e il completamento del vecchio fortilizio bizantino-normanno di Gioia del Colle, che diventerà il castello normanno-svevo. A […]
Legami di sangue collegano da secoli gli abitanti dei Comuni di Gioia e di Altamura.
Entrambi i Comuni hanno avuto un significativo sviluppo durante il regno di Federico II di Svevia.
A lui infatti è dovuta la ristrutturazione e il completamento del vecchio fortilizio bizantino-normanno di Gioia del Colle, che diventerà il castello normanno-svevo. A Federico II si fa anche risalire il ripopolamento della città di Altamura.
Infatti lo stemma della città di Altamura è composto da uno scudo diviso in quattro parti colorate in cui si alternano il rosso e il bianco. Sullo scudo è presente una corona, mentre nella parte inferiore si legge la seguente iscrizione: FEDERICUS ME REPARAVIT, Federico mi ricostruì.
Ad Altamura esisteva un castello, probabilmente fondato da Federico II, del quale alcuni scavi recenti hanno portato alla luce resti delle fondazioni. A ricordo della presenza del castello, nel passato, ci resta un’area rettangolare di m. 67 x m. 55, come si ricava da una pianta degli inizi del XVIII secolo, realizzata dall’architetto Donato Giannuzzi, con uno dei suoi lati maggiori coincidente alla misura del lato più esteso del corpo edificato che si affaccia lungo l’attuale via Santa Teresa.Lo studioso di storia locale, Vito Umberto Celiberti, nei testi Da Monte Sannace a Gioia. Storia di due Città e Storia documentaria di Gioia del Colle. Dalle origini a Roberto D’Angiò afferma: Sappiamo come la popolazione gioiese accolse i bandi e la coscrizione civile per il ripopolamento di Altamura disposto da Federico II nel 1242. “E subito furono nominati dagli Ufficiali che presero alcuni di Gioia e li mandarono ad abitare ad Altamura (così quegli eventi furono descritti in un processo del 1299 dal gioiese Antonio De Syclo) ed io stesso accompagnai là alcuni miei parenti, udii i bandi dell’Imperatore, sia a Gioia che ad Altamura, che chiunque fosse andato colà ad abitare, non avrebbe pagato le tasse per dieci anni, cosicché parecchi andarono spontaneamente ad abitarvi”.
Federico, da abile politico, sapeva bene che ai revocati, cioè a quelli che sarebbero stati costretti ad abbandonare il proprio paese, e a coloro che avrebbero scelto di trasferirsi liberamente per ripopolare Altamura, avrebbe dovuto concedere una forma di risarcimento, consistente in alcuni diritti, immunità, garanzie, franchigie ed esenzioni. E, infatti, allettati dal validissimo incentivo dell’esonero decennale della colletta, i sudditi furono invogliati a ripopolare Altamura anche se, trascorsi i dieci anni, alcuni preferirono tornarsene nei luoghi di provenienza. Tuttavia sembra che la maggior parte rimase definitivamente nella nuova residenza di Altamura, città appartenente al demanio regio, segno che si viveva abbastanza bene.
Sfortunatamente, gli elenchi nominativi compilati dagli Ufficiali imperiali preposti a questi predetti trasferimenti, più o meno coatti, ad Altamura sono andati perduti, così come la laconicità dei documenti superstiti non consente una disamina esauriente sulla quantità e qualità sociale dei Gioiesi che coattivamente o liberamente contribuirono a ripopolare Altamura, oppure si limitarono a frequentarla in quegli anni perché vi avevano dei parenti o amici. Tuttavia, tenendo conto della documentazione successiva, sarà sufficiente dire che non furono pochi e che appartenevano a tutte le categorie sociali.
Dovendo impiantare ex novo una città ed essendoci necessità di dotarla di “quadri dirigenti” e personale amministrativo, tra coloro che da Gioia si trasferirono ad Altamura dovevano esserci sicuramente figure di spicco, come i notai, giustizieri (che curavano la distribuzione e la riscossione delle cedole delle tassazioni), giudici elettivi, i baiuli (magistrati dell’ordine giudiziario, nominati dal re, con funzioni giurisdizionali ed amministrative), scriptores (uno scriptor Iohensis, scrittore di Gioia che operava alla corte del principe Manfredi, è l’ autore dell’opera manoscritta cosiddetta Bibbia di Manfredi, conservata nella Biblioteca Vaticana, e ha firmato una Bibbia presente nella Biblioteca Nazionale di Parigi), figure professionali di cui Gioia non difettava assolutamente, al punto da trasferirne alcune di una certa rilevanza sociale senza creare danno alla nostra comunità cittadina.
Ancora il Celiberti afferma: Per la ricostruzione di Altamura, città che dista da Gioia più di una trentina di chilometri, non si è trovato traccia degli ordini impartiti agli “Ufficiali imperiali” affinché provvedessero a ripopolarla “revocando” coattivamente un discreto numero di abitanti dai paesi viciniori, applicando una apposita normativa emanata al riguardo, ed invogliandone altre con i “bandi” a trasferirsi spontaneamente ad Altamura.
Piuttosto che credere che gli anzidetti documenti, a cominciare dagli “elenchi dei revocati”, siano andati tutti smarriti, il che sembra poco probabile considerata l’entità dell’impresa ed il numero dei funzionari preposti ad attuarla, è assai più verosimile che non ci sia stato il bisogno di redigerli, per la semplice ragione che l’imperatore era nelle immediate vicinanze e che abbia dato a viva voce gli ordini relativi. Infatti, solo l’imperatore Federico II poteva derogare alle norme precise che, nel caso specifico, andavano applicate dai funzionari: “come è stato stabilito per altri revocati trasferiti altrove d’ordine nostro”. Sono parole, queste, di Federico II che fanno esplicito riferimento ad una normativa particolare prevista per questi casi, del resto già applicata altrove.
Soccorrono quest’ultima ipotesi non poche testimonianze, delle quali ne ricorderò qualcuna, estrapolandole da un noto e corposo verbale della controversia esplosa nel 1299 tra il Tesoriere della basilica barese di San Nicola ed Arciprete di Altamura, Pierre d’Angeriac ed il vescovo di Gravina, Giacomo, per le reiterate ed indebite ingerenze di quest’ultimo nelle faccende della regia arcipretura altamurana.
L’ottantenne Nicola di mastro Canio, oriundo di Castellana, era stato “revocato” assieme al padre e costretto a trasferirsi in Altamura per ordine dell’Imperatore. Essi giunsero colà mentre il paese era in costruzione e c’erano una ventina di famiglie, ed a ricevere questi “revocati” ed a disporre quanto fosse necessario per la ricostruzione dell’abitato trovarono degli ufficiali imperiali a ciò delegati.
E che la città di Altamura si ricostruisse per ordine di Federico II era notorio a tutti “nel luogo e per tutto il circondario”.
In seguito, desiderando i revocati costruire una chiesa, inviarono all’Imperatore un certo don Domenico per ottenere il permesso e Nicola di mastro Canio, all’epoca chierico, lo accompagnò.
Tornati ambedue ad Altamura, col benestare imperiale, col consenso dei revocati essi si recarono dal vescovo di Gravina, Samuele, e lo pregarono, in nome dell’Imperatore e dei revocati, di venire ad Altamura per porre la prima pietra della erigenda chiesa, ma il vescovo ricusò la richiesta adducendo che lui “non voleva immischiarsi nelle faccende” di Federico II.
Così, il chierico Nicola e don Domenico fecero di nuovo ricorso all’Imperatore e gli raccontarono l’accaduto, al che i “militi” che erano presenti chiesero loro in quale territorio stesse sorgendo Altamura.
Avendo essi risposto che si stava costruendo nel territorio di Bitetto, Federico II comandò al presule di Bitetto di recarsi ad Altamura per deporre la prima pietra e questi non solo eseguì il comando imperiale, ma pose anche la prima pietra per la erigenda chiesa di San Nicola, di rito greco.
Un altro ottuagenario, il gioiese Leone Arine, disse di essere stato revocato ed inviato ad Altamura per ordine dell’Imperatore, e quando si trasferì colà vide l’ordine imperiale di ricostruire la città.
Angelo de Syclo, un altro ottantenne oriundo gioiese, affermò che essendo passato Federico II nei pressi di Altamura ed avendo egli appreso che essa era stata una antica “terra dei Saraceni”, essendogli sembrato il luogo piacevole a vedersi, “il detto Imperatore aveva comandato, come egli stesso udì, di ripopolare il detto luogo, e subito per ordine suo furono incaricati degli ufficiali, che dovevano prendere degli uomini dei luoghi vicini, e mandarli ad abitare colà”, il che fu eseguito dagli anzidetti ufficiali, perché scelsero alcuni Gioiesi e li fecero trasferire ad Altamura.
Inoltre, lui stesso aveva sentito il bando, sia ad Altamura che a Gioia, nel quale si diceva che chiunque si fosse trasferito ad Altamura, non avrebbe pagato la “colletta” per dieci anni, cosicché molti andarono spontaneamente ad abitare colà.
Il giudice Giorgio di Basilio, anch’egli cittadino gioiese, confermò di aver udito dire le stesse cose da quelli più anziani di lui e di aver visto gli ordini imperiali con cui Federico II attribuiva a sé la ricostruzione di Altamura.
In sostanza, queste testimonianze e quelle che ho tralasciato concordano tutte su questo punto. E cioè che Altamura fu riedificata e ripopolata per espresso volere do Federico II.
Inoltre, da almeno una di queste testimonianze si evince che gli ordini per la riedificazione ed il ripopolamento di Altamura furono dati a viva voce dall’Imperatore, come anche quelli che autorizzavano la costruzione della chiesa con la relativa deposizione e benedizione della prima pietra della stessa. Non solo, ma tutto l’andirivieni a questo proposito di don Domenico e dell’allora chierico Nicola di mastro Canio, dopo il rifiuto del vescovo gravinese e fino a che non subentrò, su invito a nome di Federico II, il vescovo di Bitetto, rischiara un po’ il silenzio dei documenti circa il luogo dove si poteva trovare a quel tempo l’Imperatore.
Tutto quel via vai tra Altamura ed il luogo dove dimorava Federico II lascia intendere, infatti, che quel luogo non poteva essere molto lontano da Altamura e, inoltre, per il motivo stesso di questi viaggi dei predetti don Domenico e Nicola, ritengo che sia evidente escludere, oltre che Altamura, sia Gravina che Bitetto come temporanea residenza dell’Imperatore.
In base a questi documenti non si può escludere che nel momento in cui venivano impartite istruzioni, sicuramente in forma orale, per ripopolare la città di Altamura, Federico II si trovasse a Gioia del Colle.
Il fatto che da Gioia si trasferirono spontaneamente o coattivamente numerosi cittadini di diversa estrazione sociale ci fa ipotizzare che il nostro Comune al tempo di Federico II doveva avere un posto rilevante tra quelli viciniori per le professioni che esercitavano i nostri concittadini, tanto da spingere l’Imperatore a favorire quella scelta.
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6 Febbraio 2021