Gioia nell’Ottocento. L’Orfanotrofio Femminile “Francesco Stasi”
Ancor prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, che portò miseria, perdite umane, soprattutto di giovani, e famiglie orfane di figli e di padri, la situazione economico-sociale delle popolazioni del Sud , e anche quella di Gioia, era particolarmente precaria. L’Ottocento fu caratterizzato, oltre che da periodi di discreta floridezza economica, anche da annate tristissime, […]
Ancor prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, che portò miseria, perdite umane, soprattutto di giovani, e famiglie orfane di figli e di padri, la situazione economico-sociale delle popolazioni del Sud , e anche quella di Gioia, era particolarmente precaria.
L’Ottocento fu caratterizzato, oltre che da periodi di discreta floridezza economica, anche da annate tristissime, come quelle del 1810 e 1811: i bruchi distrussero gran parte dei raccolti e ciò che era stato risparmiato dai bruchi venne distrutto da una grandinata lapidaria. Si aggiunse anche una massiccia invasione di cavallette e locuste; frumento, verdure, frutti, cotone, mandorli, vigneti, olivi, tutto fu danneggiato e corroso dai voracissimi insetti. Ciò portò carestie, siccità, con cattivi raccolti e prezzi enormi dei grani, invasione di cavallette, lupi famelici a torme. Non bisogna sottacere la diffusione della fillossera, che distrusse molti vigneti e la guerra doganale con la Francia.Nel 1811 si ebbero abbondanti nevicate e brine tardive che portarono come conseguenza anche un’estesa disoccupazione dei contadini.
Il sindaco Lorenzo Ceppaglia fece osservare: Gioia trovasi da parecchi anni in stato deplorevole, com’è conosciuto dall’Intendenza stessa, per causa di grandine sterminatrice e bruchi, che hanno immiserito perfettamente il paese, ed anche per la siccità che in questo anno 1815 appena farà raccogliere le semenze, e che perciò i proprietari in generale trovansi nelle più critiche circostanze.
Si verificarono diverse epidemie, tra cui la peste che nel 1815-16 colpì particolarmente Noja (Noicattaro) e l’intera Provincia e il colera nel 1837 e nel 1867.
Nel 1826, come apprendiamo da una deliberazione decurionale del 27 agosto, si riconosce lo stato deplorevole del Comune a causa dell’inclemenza delle stagioni, che colpisce Gioia e anche la Provincia (grandinate con scarsi raccolti di cereali e di uva, moria di animali), e si richiede alle Autorità superiori la sospensione del pagamento delle pubbliche imposte.
Il Decurionato il 13 agosto chiede di fare economie, rimandando a miglior tempo molte spese, riducendo lo stipendio per il maestro e la maestra pubblica, per il regolatore dell’orologio, per il medico chirurgo e il chirurgo dei poveri; chiede altresì la riduzione delle spese per le feste religiose e civili, dello stipendio alla guardia di polizia e rurale, delle spese di fitti per le prigioni e per la casa del giudice, la soppressione delle guardie rurali, la sospensione delle spese per le strade interne e per le opere pubbliche, la sospensione del posto di guardabosco e delibera di non imporre nuovi balzelli, date le tristi condizioni della nostra popolazione.
Sempre nel 1826 furono imposti i dazi sulla cottura del pane, sulla pasta, che dettero scarse entrate perché la popolazione, impoverita nei suoi guadagni, diminuiva l’acquisto di pasta e farina e mangiava fave e farinella di orzo. Alcuni, qualche volta mangiavano poca pasta, cotta sotto le braci.
A causa delle calamità naturali del 1826: grandinate, malattie di piante, morie di animali, il Comune si trovò impossibilitato a pagare i tributi al re.
A questo clima di malessere bisogna aggiungere il brigantaggio (la masseria del Baronaggio, tra Acquaviva e Gioia, divenne uno dei centri del brigantaggio). Nel 1809 i briganti assalirono anche il territorio di Gioia, terrorizzandone la popolazione con violenze di ogni genere. Il 28 luglio 1861 il sergente Pasquale Romano, con i suoi uomini, assalta Gioia dal borgo di San Vito e fino al 1863 imperversa nelle nostre contrade.
Uno dei problemi che affliggevano le nostre contrade era la presenza dei proietti o esposti, cioè i trovatelli, i neonati che venivano abbandonati, perché figli di unioni illegittime o di donne di malaffare.
Le spese di allevamento erano a carico del Comune. Verso quei bimbi, accolti nella Chiesa Madre, l’autorità comunale si assumeva il compito di affidarli alle balie, con una paga mensile.
Nella prima metà dell’800 nell’ organico del Comune troviamo la Pia ricevitrice dei proietti, in genere una suora, che agiva all’ interno della Chiesa, a cui l’Amministrazione comunale pagava le spese per l’allevamento.
Un altro problema che afflisse il Meridione e Gioia nell’ 800 fu l’accattonaggio.
Va ricordato che a tal proposito il re Ferdinando II aveva deciso di costituire, nell’ Italia meridionale peninsulare, quattro grandi depositi di mendicanti e invitava il Decurionato a proporre Gioia quale una di quelle sedi, stanziando per tale scopo la somma di 10 mila ducati; non se ne fece nulla per Gioia. Il venerdì era il giorno dell’elemosina; in quel giorno i mendicanti, spesso in gruppo, andavano di casa in casa e la chiedevano per le anime del purgatorio.
I napoleonidi affrontarono i problemi della mendicità e dell’accattonaggio, accordando la facoltà di elemosinare solo ai veri bisognosi ed inabili, i quali erano muniti di speciali carte di riconoscimento, per distinguerli da coloro che non avevano propensione per la fatica e elemosinavano per mera speculazione.
Il 1848 fu l’anno delle rivoluzioni in Europa e in Italia, detta La primavera dei popoli.
I primi moti si verificarono nel regno delle Due Sicilie, e a seguito di essi il 29 gennaio Ferdinando II di Borbone dovette concedere una Costituzione.
Si verificarono dei terremoti nel 1816 e nel 1857 e Gioia restò illesa perché i padri si posero sotto la protezione del Santo e così furono salvi da quei spaventosi eventi. A seguito del terribile terremoto verificatosi nella notte tra il 16 e il 17 dicembre del 1857 molte case sono lesionate, specie alla strada della Chiesa, attigue al pubblico Orologio.
Nel 1859 Si verifica anche a Gioia un’epidemia di vaiolo.
Nel 1860, con l’entrata di Vittorio Emanuele II in Napoli il sindaco Filippo Taranto propone ai Decurioni la distribuzione ai poveri e alle famiglie bisognose di 20 ducati e quella quantità di pane ed altri esiti che essi avessero voluto concedere.
Viene proposto il sorteggio di due maritaggi, una specie di dote, per due zitelle povere, da corrispondere quando fossero andate spose.
Bisogna aspettare il 18-12 1868 perché nel Consiglio Comunale si parli di costruire una Piazza Coperta, nonostante il mese precedente lo stesso Consiglio avesse preso atto che il Comune aveva un deficit di L. 24.000 per esiti maggiori per la pubblica istruzione e per la Guardia Nazionale e che la cittadinanza fosse stata flagellata a sangue con le tasse.
In tale circostanza viene proposto di sopprimere l’Asilo infantile e di avviare le procedure per la costruzione della Piazza Coverta.
Nel 1875 si decise di istituire per i poveri, nell’ex convento dei Padri Riformati, un ricovero, annesso all’ Ospedale Paradiso.
Gioia da sempre è stato un paese a vocazione fortemente agricola; gran parte del territorio gioiese era in mano di poche famiglie facoltose. Con la legge del 2-8-1806 Giuseppe Napoleone sancì l’abolizione della feudalità.
Con successiva legge del giorno 1-9-1806 si ordinò la ripartizione dei demani.
Con legge del 17-8-1809 veniva decretata la soppressione definitiva e radicale di tutti gli Ordini religiosi possidenti ( a Gioia il provvedimento riguardava il convento dei Domenicani e quello dei Francescani).
Nel 1810 il Comune di Gioia disponeva di 5.712 tomoli di terreni demaniali potenzialmente quotizzabili e da assegnarsi ai contadini poveri.
Vaste terre demaniali, feudali ed ecclesiastiche tenute in colonia dai grandi proprietari terrieri, con le leggi eversive diventarono di loro diretta proprietà.
Nel 1848 alcuni contadini con vibrate proteste reclamano al sindaco Francesco Cassano l’inizio della divisione delle terre demaniali comunali.
Mentre i terreni nell’agro di Gioia furono quotizzati e sorteggiati tra i proletari, quelli nelle vicinanze del paese, circa 800 ha furono messi in vendita.
Ne beneficiarono cinque famiglie della borghesia terriera di Gioia, tra cui i Bonavoglia, i Calabrese, i Soria, i Cassano, che avevano maggiori disponibilità finanziarie.
Alcuni, una quindicina di famiglie, già dal 1807 avevano occupato abusivamente delle terre demaniali, circa 2500/2700 ha, tanto che alcuni proprietari.
Nel 1834 si addivenne ad un accordo: ritenere una discreta porzione di terreni occupati, pagando il canone al Comune e lasciando il resto libero.
Con leggi del 1866 e del 1867 si giunse alla soppressione definitiva di tutti gli Ordini, Corporazioni e Congregazioni religiose, riconosciuti come Enti morali e sopravvissuti alle leggi eversive del 1806 e 1809. Tutti i beni furono devoluti al demanio dello Stato e messi in vendita mediante pubblico incanto.
I diversi lotti furono acquistati da chi aveva maggiori disponibilità liquide nelle aste del 1869 e del 1873.
Sei furono i maggiori beneficiari: tra questi le famiglie: Bellacicco, Cassano, Castellaneta, Eramo, Giove, che consolidarono la posizione economica e il prestigio della borghesia agraria.
Con la vendita dei demani comunali si diede vita alla formazione della grande proprietà terriera.
Dalle documentazioni attinte dalle deliberazioni decurionali a partire dal 1806 si possono trarre notizie, che quei primi anni dell’800, al pari di quelli che noi stiamo vivendo oggi, furono caratterizzati da eccessivo fiscalismo e da grandi miserie.
Nel raggio di un miglio, intorno al centro abitato, vi erano i fondi privati, coltivati a vigneti e a ortaggi, al di là dei quali vi erano i demani, le proprietà del feudatario, degli enti ecclesiastici, della comunità.
I demani erano a carattere universale; tutti i cittadini vi potevano esercitare i diritti civici: raccogliere legna, ghiande, erba, fare carbone, calcinare e vi si poteva passare la notte.
Vi erano terre concesse in colonia, terre che il proprietario, feudatario o ecclesiastico, dava a coltivare o per il pascolo dietro corresponsione di una certa quantità di prodotti, pratica che spesso veniva sostituita con le decime.
Nell’ Ottocento, grazie a numerosi benefattori, a Gioia registriamo la presenza di numerose Opere Pie, che supplivano alle necessità dei più indigenti e ai bisognosi di aiuti. Alcune di queste erano di natura religiosa, legate ad alcune Confraternite o ad associazioni religiose.
Nel 1829 moriva la signora Angela Maria Paradiso che lasciava i suoi beni per la fondazione di un civico Ospedale. Anche la signora Aurelia Palmisano lasciò 800 ducati per l’Ospedale e l’abate Francesco Saverio Indellicati ne lasciò 400 per la stessa Istituzione.
Nel 1843 fu istituito il Monte Frumentario. Con l’istallarsi del Monte Frumentario (che iniziò a funzionare nel 1844) con li quattro generi di principal coltura: grano, fave, orzo ed avena, si affronta anzi si abbatte l’ingordigia e l’usura, conoscendosi da noi tutti a quale tortura vengono messi dagli usurai i coltivatori, che abbisognano di cereali per semina, facendosi fare gli obblighi come di contante mutuate e con un tasso almeno di più del valore del genere di quello che si vende in piazza.
All’ indomani dell’Unità d’Italia, e precisamente nel 1862, le Opere Pie furono raggruppate nella Congregazione di Carità, la quale gestiva non solo di lasciti per maritaggi di donzelle povere e per altre forme di beneficenza, ma anche un Ospedale, un Dispensario oftalmico, un Ricovero di Mendicità, un Asilo infantile, un Orfanotrofio maschile e un Orfanotrofio femminile.
Numerose sono state le Opere Pie in Gioia: Legato Fusco, Purgatorio, San Rocco, San Filippo, Costantinopoli, Gianrizzi, Sacramento, Legato Favale.
L’8 marzo 1882 il Sindaco informa il Consiglio della morte del concittadino Pasqualino Favale, che con testamento del 1880 largiva al Comune tre lasciti: uno per l’Asilo Infantile, un altro di L. 12.000 per tre maritaggi annuali a donzelle povere gioiesi e un terzo di L. 24.000 per mantenere un giovane gioiese in un Istituto Musicale del Regno.
Il relativo Statuto per quest’ultima volontà del testatore, Legato Favale è approvato nel 1887, a causa di lentezze burocratiche.
Il 27 marzo 1886 il Consiglio esprime parere favorevole alla proposta della Congregazione di Carità per la riforma delle Opere Pie: S. Filippo, S. Rocco, Madonna di Costantinopoli, Gianrizzi e SS. Sacramento, nel senso di fondersi e di unirsi all’ Ospedale Paradiso, facendo servire le rendite al maggiore incremento di quest’ultimo, con l’obbligo però di conservare un fondo per elemosine e l’altro per concorso al mantenimento del Ricovero di Mendicità.
Tra le Opere Pie più significative operanti in Gioia è da segnalare l’Orfanotrofio Femminile “Francesco Stasi”.
Alla metà dell’800 in alcuni locali dell’ex Convento dei Francescani Riformati o Palazzo sant’ Antonio, struttura utilizzata come civico Ospedale, venne istituito un Orfanotrofio per bambine orfane. In questo Orfanotrofio furono ammesse anche fanciulle appartenenti a famiglie povere. La struttura era gestita da alcune suore, che utilizzavano donazioni a favore dell’orfanotrofio o anche i frutti delle opere di beneficenza nei confronti delle orfanelle. Queste, infatti, erano obbligate a partecipare ai funerali, vestite con una uniforme che variava a seconda dell’età del defunto, di colore nero con un lungo velo che serviva a coprire i capelli e scendeva sul davanti e sulle spalle, accompagnando i defunti in Chiesa e al Cimitero e recitando preghiere in loro suffragio, quasi a ripagare la loro cura e mantenimento nell’ Orfanotrofio. Le orfanelle erano accompagnate da una suora, che scandiva con loro le preghiere per il defunto. Questo loro servizio era compensato da offerte, anzi da una quota che era stata pattuita precedentemente, che veniva erogata alle suore per i bisogni della comunità. In questo modo le orfanelle svolgevano solo in parte il compito che ancora oggi alcune donne, chiamate “prefiche”, assumono in alcuni paesi del nostro Meridione: quello di compiangere il morto, stringendosi intorno al feretro, alternando preghiere, lamenti, singhiozzi con finti pianti e grida di disperazione, decantando anche le virtù del defunto. Queste donne in genere non piangevano, ma avevano il compito di far piangere le donne della famiglia del morto e di snocciolare delle cantilene funebri che erano tramandate oralmente o che erano adattate alla singola circostanza.
Inoltre le orfanelle era avviate ai lavori manuali, come ricamo, cucito, preparazione di corredi per giovani spose e le loro prestazioni erano remunerate a beneficio sempre delle suore, che utilizzavano quei fondi per la gestione dell’Orfanotrofio.
L’orfanotrofio Stasi cominciò a funzionare dal 1° gennaio 1903, come espressa volontà del benefattore Francesco Stasi, che sottoscrisse un lascito e mise a disposizione una parte dei suoi fondi per il mantenimento in un Istituto di dieci orfanelle.
A questa donazione ne seguirono altre, tra le quali è da sottolineare quella della signora Anna Taranto in Pavone, che dispose a favore dell’Orfanotrofio un lascito di 10 mila lire. Anche il signor Donato Boscia, con due legati testamentari, lasciò a favore dell’Ospedale Paradiso, del Ricovero di Mendicità “Minei-Taranto” e dell’Ofanotrofio femminile “Francesco Stasi”, IPAB di Gioia del Colle, alcune sue proprietà consistenti in terreni e fabbricati siti a Murgia Cervocco. Il Grande Ufficiale Nicola Serino, che era stato presidente della Pia Congregazione, nel 1934 donò all’ Orfanotrofio il suo palazzo sito in Corso Vittorio Emanuele, ancora per poco sede della Biblioteca comunale, lasciandone l’usufrutto fino alla morte alla moglie la signora Anna Losavio.
Con la morte della signora Losavio l’immobile, come da volontà del testatore Nicola Serino, è entrato a far parte delle proprietà dell’Orfanotrofio Stasi. A seguito della pubblicazione del DPR 24 luglio 1977, n. 616, che prevedeva l’abolizione delle II.PP.A.B (Istituti di Pubblica Assistenza e Beneficenza), l’immobile di Corso Vittorio Emanuele è entrato a far parte del patrimonio del Comune di Gioia del Colle.
Il sindaco Piero Longo, come segno di riconoscenza per la donazione effettuata a favore del Comune di Gioia, ha voluto chiamare quell’immobile Palazzo della Cultura Donna Annetta Losavio.
L’Orfanotrofio ricavava proventi da immobili avuti in donazione da alcuni benefattori; molti di questi furono alienati e trasformati in titoli del Debito Pubblico dello Stato, mentre quello relativo al fondo Palmentullo rimase in possesso dell’Orfanotrofio. Su parte di quel fondo è stata costruita la piscina comunale, mentre una porzione di quella proprietà ha una costruzione che è stata restaurata dal Comune per essere utilizzata dai Servizi sociali di Gioia come Centro diurno e a Comunità residenziale per persone diversamente abili “Dopo di noi”.
Con il passare degli anni l’Orfanotrofio Stasi si è preso cura stabilmente di una ventina di fanciulle, che sono state ospitate sempre nei locali appartenuti al Convento dei Francescani Riformati.
Questa istituzione, a differenza del Ricovero di Mendicità con cui condivideva i locali e che era gestito dalle suore della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli, era affidata all’ ordine religioso ‘Suore della Venerabile Capitanio’, con sede centrale a Milano. La Capitanio aveva dato luogo alla Congregazione delle Suore di Maria Bambina, poi trasformata in Suore della Carità di Santa Giovanna Thouret.
La Capitanio, che era legata all’ apostolato specifico praticato da San Vincenzo de’ Paoli, insieme a suor Caterina Gerosa, che prese nome di Vincenza con riferimento a san Vincenzo de’ Paoli, oltre all’ attività educativa alternava l’attività assistenziale con un piccolo ospedale per poveri che avevano istituito, dove dopo la scuola, vi prestavano i più umili servizi, medicando anche i malati più ributtanti e pericolosi.
L’Orfanotrofio disponeva di un laboratorio anche per alunne esterne e di corsi completi di Scuola elementare, nonché di un Asilo prescolastico.
L’Orfanotrofio si è preso cura delle ragazze indigenti fino agli anni ’70 circa.
Gioia ha annoverato un altro Orfanotrofio, quello per gli Orfani di Guerra, come riferisce il fondatore Padre Semeria: Per la Puglia dall’ottobre 1919 abbiamo inaugurato il primo Orfanotrofio maschile a Gioia del Colle (O.N-M.I,). Dopo un anno di vita iniziale in un locale provvisorio, con una ventina di fanciulli, abbiamo nel settembre 1920 posto la prima pietra di un nuovo edifizio capace di 70 alunni con un vasto terreno adiacente da servire per Scuola Agraria Modello.
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28 Maggio 2020