Dichiarazione di decadenza della monarchia borbonica
Sulla strada che conduce a Bari, un tempo corso Vittorio Emanuele II, oggi via Di Vittorio, nell’isolato che è ad angolo con via Manin, è ubicato un grosso complesso abitativo, costruzione originariamente proprietà della famiglia Cassano e oggi condivisa con i discendenti di Vito Nicola Resta, che era coniugato con una donna della famiglia Cassano. […]
Sulla strada che conduce a Bari, un tempo corso Vittorio Emanuele II, oggi via Di Vittorio, nell’isolato che è ad angolo con via Manin, è ubicato un grosso complesso abitativo, costruzione originariamente proprietà della famiglia Cassano e oggi condivisa con i discendenti di Vito Nicola Resta, che era coniugato con una donna della famiglia Cassano.
Quando l’edificio fu costruito era extra moenia, cioè fuori dalle mura cittadine e dal centro abitato. Questa sua particolare ubicazione si prestava a riunioni politiche, poiché permetteva di essere meglio vigilata e offriva più facilmente asilo ai convenuti, anche forestieri.
Fu proprio in questa casa di Gioia del Colle che si riunirono il 20 maggio 1860 i Capi liberali della Provincia e firmarono l’atto che dichiarava decaduta la Dinastia Borbonica, e che il De Cesare chiama “l’atto di maggior coraggio compiutosi nelle Puglie”.
A quella riunione parteciparono non solo cittadini di Gioia, ma anche alcuni liberali del circondario.I Gioiesi presenti furono: Antonio Taranto, Vito Leonardo Taranto, Padre Eugenio Covella, Giovanni Buttiglione e Vito Prisciantelli. Altri cittadini Gioiesi dovettero assolvere al più delicato, difficile, pericoloso incarico di vigilare sui movimenti della Polizia borbonica; tra questi vanno ricordati Filippo Giove, Tommaso Giordano, Vincenzo Castellaneta, Giuseppe Ciquera per cui costoro non presenziarono alla riunione.
Tra i forestieri sono da annoverare: Morea e Lippolis di Putignano, De Laurentis, Serena e Guerrieri di Altamura e Rogadeo di Bitonto.
Nonostante il Sotto Intendente di Altamura paventava persecuzioni verso i Consiglieri Municipali e minacciava di perseguire i Patrioti liberali, il comitato Ordine Provinciale, incurante di tale minacce e deludendo la vigilanza della Polizia, il 17 luglio 1860 tenne una riunione a Gioia, per deliberare sulle proposte del Comitato Lucano e decidere quanto si doveva fare per la insurrezione.
In quella riunione, a cui presero parte 22 Delegati del Barese e rappresentanze della Capitanata e della Terra d’Otranto, fu dichiarata decaduta per sempre la Dinastia Borbonica. A questa assemblea presero parte Padre Eugenio di Gioia della 1^ Sezione, il canonico Vito Leonardo Taranto della 7^ Sezione.
Tali notizie riferisce Giovanni Carano Donvito nella Storia di Gioia dal Colle, Grafiche De Robertis, Putignano, 1966, vol. II, pagg. 85-86.
Ancora una volta, come era accaduto in passato, mentre da una parte si firmava l’atto di decadenza della dinastia borbonica, da un’altra parte si agiva in modo contrario. Infatti a solo due giorni di distanza da quell’atto, precisamente il 22 maggio 1860 il sindaco di Gioia Don Carlo Rosati convocò il Decurionato, composto dai seguenti signori: Pantaleo Oricchio, Beniamino Lippolis, Giovanni Montanaro, Giuseppe Musci, Giovanni Campanella, Michele Indellicati, Francesco Giove, Giannantonio Bruno, Andrea Castellaneta, Donatantonio Losito, Fedele Buttiglione, Sigismondo Romano, Angelo Lopinto, Giuseppe Parisi, Eugenio Buttiglione, Teodorico Iacobellis e Donato Milano. In quella riunione il Sindaco Rosati avanzò il seguente indirizzo: Alla Sacra Real Maestà di Francesco II – Re del Regno delle Due Sicilie. Sire, Iddio che di lassù l’amane cose regola e governa con arcana sapienza, volle disfatte le bande di un pubblico nemico in Calatafimi e Partinico. La storia tramanderà alle future generazioni sì fausto avvenimento, e Vostra Maestà che nulla trascura per rendere felici i suoi Popoli, merita a giusta ragione il titolo di padre amoroso di tutti i suoi sudditi. Ed è a nome di questo titolo che il Municipio, gli Ecclesiastici, i primati e tutti i cittadini di Gioia in Terra di Bari, implorano perché la Maestà Vostra accolga gli attestati della riconoscenza pubblica per un fatto il di cui felice risultato è interamente dovuto alle provvide cure di un Magnanimo Sovrano, secondato dall’energico zelo delle valorose reali truppe, rivolte ad allontanare dai Popoli il flagello della discordia e procurare la pace e la felicità dei suoi sudditi. Per nuova sì prosperevole, mentre il popolo di Gioia nel suo più fervido entusiasmo rende voti all’Altissimo per la conservazione e felicità della Maestà Vostra, si protesta di una facoltà indeclinabile, che umilia ai piedi del Trono di V. M., accompagnato dal più sentito amore e devozione al migliore dei Re, Francesco II.
Dei Decurioni che approvarono tale risoluzione quasi tutti erano patrioti, antiborbonici, liberali, uomini che avevano militato nella Carboneria 40 anni prima. Probabilmente mancò da parte loro il coraggio di votare diversamente e la paura di ritorsioni costrinse i Decurioni, obtorto collo, a comportarsi in quel modo. Infatti si disse che il Sindaco Rosati era stato costretto a leggere quanto gli avevano imposto di dire, se non addirittura scritto, le Superiori Autorità.
Di lì a pochi giorni, pare, che furono proprio loro a riscattarsi tanto da costringere il Sindaco a dimettersi e a far decadere l’Amministrazione di cui facevano parte.
Ad un quarantenno da questo avvenimento abbiamo un richiamo e la conferma di quanto accaduto nel maggio 1860, nella riunione consiliare del 17 gennaio 1901, durante la quale il consigliere Cesare Resta disse: Mio padre contro la tirannide borbonica permise che in casa nostra tutti i più fervidi e distinti patrioti della nostra provincia venissero a segreto convegno e ivi si compì il grande atto, sottoscrivendosi la caduta del governo borbonico.
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13 Gennaio 2024