Il carbonaio
6 Gennaio 2023 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Prodotti Locali, Storia, Territorio & Ambiente
Il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, la tradizione popolare vuole che la Befana porti doni ai bambini: giocattoli e dolciumi per quelli bravi e pezzi di carbone per quelli che durante l’anno appena trascorso si sono comportati da monelli. Si trattava di carbone vero, cioè quello ottenuto dalla combustione della legna, anche se ai giorni nostri è stato sostituito con carbone dolce, commestibile.
Gioia del Colle in passato faceva parte della Peucezia, un’ampia zona che si estendeva in gran parte della provincia di Bari e sconfinava anche in quelle di Taranto e di Matera. Era una terra ricca di boschi, come la confinante Lucania (da lucus, bosco), regione per eccellenza ricoperta di boschi.
Per gli usi domestici, come cucinare e riscaldare le abitazioni, si utilizzava la legna che i boscaioli tagliavano nei boschi. Anche per le attività artigianali, come costruire case, carri, attrezzi agricoli, utensili, e per l’utilizzo di suppellettili, come ogni specie di mobili, si faceva ricorso al legname.
Per avere continuamente a disposizione la legna per i vari utilizzi era buona prassi piantumare nuovi alberi in zone difficilmente coltivabili a cereali ed ortofrutta, cioè in terreni impervi o montuosi o con abbondante presenza di pietre.
Uno degli scopi principali del taglio dei boschi era anche quello di avere a disposizione maggiori estensioni di terreno da utilizzare per le pratiche agricole e per andare incontro al bisogno di ulteriori quantità di derrate alimentari e di cibo a causa dell’aumento demografico della popolazione.
Il taglio dei boschi e la potatura degli alberi, inoltre, fornivano la materia prima per ottenere il carbone.
Uno dei mestieri ormai scomparsi che un tempo dava lavoro ai nostri conterranei era quello del carbonaio.
Un quintale di carbone equivale, in termini di calorie, a circa dieci quintali di legna. Un viaggio di carbone con un mulo, che era in grado di trasportare anche due quintali di legna, equivaleva al trasporto di 20 quintali di legna, con grande risparmio di tempo e di sforzo. Fu questo uno dei motivi che portò alla produzione del carbone.
Per svolgere il mestiere del carbonaio era indispensabile il lavoro del boscaiolo, che doveva fornirgli la materia prima.
I boschi potevano essere demaniali, e quindi soggetti all’autorizzazione del Comune per essere utilizzati, di uso civico e quindi accessibili a tutti oppure potevano appartenere a privati cittadini, i quali decidevano di tagliarli per avere una quantità di legna anche per ottenere carbone, secondo le norme governative allora vigenti.
La presenza di numerosi boschi nel territorio di Gioia ha favorito da noi l’attività dei carbonai.
Svolgere l’attività di carbonaio era un mestiere che si tramandava di padre in figlio e si svolgeva in prossimità dei boschi, da cui si attingeva la materia prima per produrre il carbone, proprio per evitare la fatica e le spese per il trasporto della legna. Solo in alcuni casi la carbonaia era distante dai boschi, nel qual caso si utilizzavano gli asini, i muli o i cavalli per il trasporto della legna.
Le fasi più importanti erano: la palificazione, l’accatastamento della legna, la copertura e la combustione.
Si sceglieva una radura pianeggiante nel bosco, priva di vegetazione per impedire incendi, dove impiantare la carbonaia. Dopo aver spianato la base, una piazzuola circolare di varie dimensioni, adeguata alla quantità di legna da utilizzare, iniziava l’edificazione della carbonaia.
Intorno ad un’apertura centrale, detta camino, che serviva ad alimentare la combustione, si ponevano, in modo obliquo, sovrapposti e paralleli tra di loro, i pezzi di legna più grossi, fino ad arrivare alla parte esterna, ricoperta con tronchi più piccoli.
Si otteneva la forma di un cono con la punta rivolta verso l’alto, che assumeva la forma di un trullo o, meglio, di un vulcano, per la presenza di un’apertura nella parte superiore.
Una volta terminata la composizione di questa catasta di legna si ricoprivano le pareti laterali con vari strati di rami secchi, paglia e foglie secche delle piante; il tutto poi veniva ricoperto con della terra, per impedire che l’ossigeno, filtrando nell’interno, producesse una combustione a fiamma, con conseguente distruzione ed incenerimento del legname.
Per mettere in funzione la carbonaia si prendeva della brace, precedentemente ottenuta, e si introduceva dalla sommità del vulcano attraverso il camino che era stato preparato, insieme a pezzi di legno.
Si faceva accendere la brace sotto al camino e subito iniziava il lento processo di combustione di tutta la carbonaia. Si chiudeva il foro centrale con rametti, paglia e foglie e si ricopriva il tutto con terra.
Dopo aver acceso la carbonaia dalla parte superiore (alcuni provvedevano ad accenderla da un’apertura inferiore); si praticavano dei piccoli fori laterali nella parte bassa, a seconda della direzione del vento, per fare arrivare un po’ di ossigeno all’interno per alimentare la combustione.
Siccome l’ossigeno è limitato non si ha una vera e propria combustione, ma una disidratazione per cui la legna si cuoce lentamente senza bruciare, con conseguente carbonizzazione della stessa.
A seconda della grandezza della carbonaia la stessa poteva ardere per dieci, venti o addirittura trenta giorni. Osservando come la carbonaia ardeva i fori potevano essere effettuati più in alto o più in basso.
La carbonaia veniva controllata anche di notte perché se la combustione da lenta diventava eccessiva poteva prendere fuoco e andavano sprecati non solo i quintali di legna utilizzata, ma anche il lavoro di un intero anno, oltre il mancato guadagno economico. Per questo motivo i carbonai in genere vivevano in baracche vicino alla carbonaia.
Quando il processo di carbonizzazione era terminato, e ci si accorgeva dal fumo bianco che lentamente si dissolveva, si smontava la carbonaia. Quando il carbone si era raffreddato si raccoglieva in sacchi di tela o di iuta e con carri trainati da animali veniva trasportato nei magazzini per essere venduto oppure alcuni commercianti passavano attraverso le strade dei paesi perché gli abitanti che ne erano sprovvisti ne facessero scorta per l’inverno.
Carbonaio era anche il venditore ambulante di carbone, che girava per i paesi con un carro carico di sacchi di carbone e carbonella che vendeva dopo averne misurato la quantità in stoppelli o mezzetti.
Il carbone e la carbonella, infatti, erano usati per i bracieri per riscaldare gli ambienti domestici e anche per riscaldare i ferri da stiro per la stiratura dell’abbigliamento e di lenzuola ed asciugamani.
Poiché durante le operazioni di pesatura e di travaso la polvere che si sollevava anneriva le mani e il volto dei carbonai, le mamme per far cessare i capricci e azioni cattive cercavano di intimorire i propri figli dicendo loro che se avessero continuato nei loro atteggiamenti sarebbe venuto l’uomo nero.
Tutti i membri della famiglia, anche i più piccini, erano coinvolti durante la preparazione e poi nell’insaccamento del prodotto.
Molti contadini producevano la carbonella per soddisfare le necessità della famiglia; la quantità eccedente la vendevano.
Oggi il carbone, quando serve, si acquista nei grandi magazzini.
Svolgere il lavoro del carbonaio è un’attività molto dura e sporca, da svolgere con qualsiasi clima: pioggia, gelo, afa. Richiede molti sacrifici e si dorme poche ore di notte.
Sembra che la pratica di produzione del carbone risalga ai Fenici.
Anche a Gioia vi erano lavoratori che svolgevano il compito di carbonaio ed altri che andavano in giro per il paese a vendere carbone e carbonella. Un cittadino gioiese, in particolare, per la sua attività di venditore di carbone, veniva soprannominato Luchett u carvenarìjr, cioè Luca, il venditore di carboni.
In contrada Marchesana è ubicata una masseria, la cui costruzione risale al 1820 che oggi è sede di una cantina che produce il famoso vino Primitivo di Gioia del Colle.
La masseria, infatti, è stata acquistata dal signor Filippo Cassano, il quale ha dato al suo vino Primitivo la denominazione di Polvanera. Tale denominazione è dovuta al fatto che la masseria in origine era utilizzata per la produzione di carbone. La famiglia che era proprietaria della masseria veniva indicata con il soprannome dialettale Polvagnor, in italiano Polvere nera, a ricordo dell’antica tradizione di produrre in quella zona i carboni e della polvere nera che si sprigionava durante il processo di combustione e di insacchettamento dei carboni. La pelle, infatti, a contatto con la polvere del carbone, acquisiva una colorazione scura. Alcuni locali della vecchia masseria mostrano ancora i segni del rilascio di quella polvere nera anche sulle pareti di pietra della costruzione.
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Boschi e lupi nel territorio di Gioia del Colle
4 Novembre 2022 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Prodotti Locali, Storia, Territorio & Ambiente
I Romani chiamarono la Basilicata con il nome di Lucania, da lucus, che significa bosco; infatti la Lucania costituiva il luogo da cui essi attingevano il materiale ligneo soprattutto per la costruzione delle navi.
Come riferiscono alcune fonti documentarie, il territorio del Comune di Gioia nei tempi passati era coperto di boschi che erano utilizzati dagli abitanti sia per procurarsi la legna per usi domestici, come mobili o per ottenere carbone sia per cacciare selvaggina e raccogliere frutti ed erbe di cui cibarsi. I boschi, inoltre, offrivano sicuri ed inaccessibili ricoveri ai briganti locali e a quelli provenienti dalla Basilicata.
La vecchia strada lastricata BA-TA passava per Monte Sannace, ma già dalla fine de 1100 non era più percorsa ed era stata abbandonata, per la nascita e lo sviluppo dell’abitato gioiese. Continua la Lettura
Gli scudi e la quattro Porte di Gioia
23 Luglio 2022 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Associazioni, Comunicati, Eventi & Tempo Libero, Prodotti Locali, Territorio & Ambiente
A quasi due anni dalla presentazione, (avvenuta il 27 settembre 2020 nel chiostro comunale), degli scudi e dei vessilli delle quattro Porte di Gioia del Colle, da parte de direttore artistico del “Palio delle botti”, Claudio Santorelli, gli stessi scudi sono stati sistemati nei relativi punti.
Infatti all’angolo tra Piazza Plebiscito e via Carlo III di Borbone, presumibile ubicazione della Porta San Francesco è stato posizionato l’omonimo scudo, opera del pittore gioiese Sergio Gatti; all’incrocio di Piazza Margherita di Savoia con corso Vittorio Emanuele II è stato posizionato lo scudo della Porta Maggiore di Gioia, che probabilmente era ubicata all’imbocco di Corso Vittorio Emanuele II, opera del pittore gioiese Pompeo Colacicco; all’imbocco di Via Bartolomeo Paoli, angolo Corso Garibaldi è stato posizionato lo scudo della Porta San Domenico, opera del pittore gioiese Mario Pugliese; all’angolo tra via Paolo Losito e Piazza XX Settembre è stato posizionato lo scudo Porta del Casale, opera del pittore gioiese Filippo Cazzolla. Continua la Lettura
La farinella
6 Luglio 2022 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Prodotti Locali, Storia
Spicca tra i cibi della tradizione popolare contadina di Gioia e delle famiglie povere l’utilizzo della farinella, ottenuta dalla molitura del granone.
Nel 1826 furono imposti i dazi sulla cottura del pane, sulla pasta, che dettero scarse entrate perché la popolazione, impoverita nei suoi guadagni, diminuiva l’acquisto di pasta e farina e mangiava fave e farinella di orzo. Alcuni, qualche volta mangiavano poca pasta, cotta sotto le braci.
Il Decurionato di Gioia nella seduta del 2 febbraio 1827 così si esprimeva: Vi è l’abitudine del popolo gioiese a mangiar legumi e minestre verdi, stemprate nella così detta farinella di orzo, e grano, e granone, molto più in quest’anno in cui il raccolto è stato pessimo a segno, che non solo si ottenne piccola quantità di derrate, e specialmente di grano, ma anche fu pessima la qualità, sino a non essere atta a seminarsi… questa popolazione, invece di ottenere grano, ne ottenne semplicemente la forma, per cui, macinandosi, appena dà crusca invece di farina. Il popolo in conseguenza si contenta, con maggiore osservanza degli anni scorsi, di mangiar fave con farinella di orzo.
Nel 1843, anno in cui i Decurioni decisero l’installazione di un Monte Frumentario, tra i quattro generi di principal coltura figuravano le fave e l’orzo.
Le farine, la farina di grano e di orzo, nel 1871 furono sottoposte al pagamento del dazio di consumo, insieme al vino, all’uva, all’alcool e liquori, alle carni, al burro, alla frutta e allo zucchero. Continua la Lettura
Ristorante “La Cicerchia”
20 Marzo 2022 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Prodotti Locali, Storia, Territorio & Ambiente, Turismo
C’è un prodotto agricolo, che fa parte della tradizione gastronomica di Gioia del Colle e che molti cittadini e ristoratori stanno valorizzando e riscoprendo, che prende il nome di cicerchia.
Nel dialetto gioiese nnòlche, compare in un proverbio dialettale: Ci se mange cìcere e nnòlche, la sére desciune se colche, chi mangia ceci e cicerchie la sera si corica digiuno, a significare che mangiando a mezzogiorno tali legumi, che sono sufficientemente sostanziosi, la sera si può fare a meno di cenare.
Il suo nome scientifico è Lathyrus sativus, ma la cicerchia è nota anche come pisello d’India o pisello d’erba.
È un legume povero da un lato, perché utilizzato in passato dalla popolazione rurale o quella più economicamente sfavorita, ma nello stesso tempo è particolarmente ricco di proteine, di vitamine del gruppo B, di fibre, di polifenoli, di sali minerali, di calcio e di fosforo.
Oltre a questi elementi positivi la cicerchia presenta un lato negativo in quanto contiene una piccola quantità di una neurotossina rappresentata da acido β-N-Oxalvl-L-α,β- diaminopropionico, detto ODAP, variabile a seconda delle caratteristiche del terreno e delle condizioni ambientali. Per ridurre al minimo la tossicità delle cicerchie occorre dedicare ad esse un ammollo di circa 24 ore prima della cottura in acqua preferibilmente salata e tiepida. Al momento della cottura è consigliabile sostituire l’acqua dell’ammollo con acqua pulita e non salata. Inoltre la cottura in acqua bollente e per un tempo piuttosto lungo contribuisce ad eliminare la potenziale tossicità della cicerchia e a renderla più digeribile. Continua la Lettura
Il testamento di Reone Guarnita, 14 settembre 1292
19 Novembre 2021 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Prodotti Locali, Storia
Presso l’archivio della Biblioteca Provinciale “De Gemmis” di Bari si può prendere visione di un testamento di Reone Guarnita di Gioia, rogato dal notaio Nicola De Capite di Gioia il 14 settembre 1292 (V Indizione di Gioia), che ci porta a conoscenza di un pezzo di storia del nostro Comune.
Di particolare importanza notizie sulla presenza di alcune chiese in Gioia, sulla contemporanea presenza della duplice gerarchia ecclesiastica, quella latina e quella greca, le donazioni alla chiesa di San Francesco, alla Chiesa Matrice e un accenno alla chiesa di San Vito, che attesta già a quella data il culto del Santo Martire nel nostro Comune.
Dal documento apprendiamo anche i nomi di alcune contrade di Gioia, notizie su alcune unità di misura, sulle produzioni agricole, tra cui frumento, orzo, vino e sull’allevamento di animali, come buoi, mucche, muli tori, giovenche.
Il testo che si riporta è la traduzione dell’originale, che presenta alcune lacune, segnalate con puntini sospensivi, di difficile trascrizione, perché mutilo nella piegatura centrale o macchiato dall’umidità.
Reone Guarnita, signore della Terra di Ioa, appressandosi il giorno in cui renderà la sua anima al Signore Dio dell’universo dichiara le sue ultime volontà. Continua la Lettura
Mario Vacca
7 Settembre 2021 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Eventi & Tempo Libero, Prodotti Locali, Territorio & Ambiente
Tra un mese compirà 80 anni, ma è ancora un uomo dall’animo giovanile e forte, nonostante l’età. Mario Vacca, infatti, è nato a Gioia il 7-10-1941 e, seguendo l’attività di famiglia, ha dedicato il suo tempo lavorativo al settore edilizio, insieme ai fratelli. Diventa maestro costruttore e lavora nella costruzione di complessi edilizi soprattutto nel nostro Comune.
Quando decide di ritirarsi dall’attività lavorativa scopre di avere una particolare inclinazione, alla quale dà sfogo: quella di scolpire. Inizia con la scultura maneggiando il materiale ligneo locale e poi alterna lavori in pietra, utilizzando prevalentemente quella leccese a anche materiali più malleabili.
Il suo laboratorio è situato in via Carlo III di Borbone n. 17 a Gioia del Colle, nel quale è possibile incontrarlo durante le fasi di lavorazione delle sue sculture.
Oltre alle sculture di personaggi legati alla storia di Gioia, in particolare immagini di Federico II, di Bianca Lancia, di personaggi della sua corte e di riproduzione di rapaci, lavori che ha donato al Comune di Gioia e che abbelliscono molti punti del Centro storico e sono esposti nel cortile del castello normanno-svevo, si è dedicato alla produzione di immagini sacre, alcune delle quali sono state esposte nel museo diocesano di Bari e in altre mostre provinciali. Continua la Lettura
La Corte dei Sannaci
18 Agosto 2021 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Eventi & Tempo Libero, Prodotti Locali, Storia
Una rustica masseria risalente alla fine del ‘700 immersa nel verde, a circa 5 Km da Gioia sulla ss. n.100, nel 1972 fu acquistata dal cav. Giuseppe Colonna, un noto imprenditore edile barese, innamorato della bellezza della struttura e della sua ubicazione, a metà strada tra Bari e Taranto, precisamente al Km. 34,400.
Il signor Colonna aveva un’azienda denominata COLOMAR (Colonna Marcantonio), una S.a.s., che offriva prodotti e servizi per l’industria turistica ed alberghiera, costruzione, acquisto, locazione ed esercizio di complessi alberghieri turistici con eventuali dipendenze complementari ed accessorie, forniture alloggio di pensioni, alberghi e hotel.
La scelta dell’acquisto della struttura gioiese fu dettata oltre che dalla bellezza della struttura e del paesaggio circostante anche dal fatto che si tratta di un punto nevralgico e baricentrico tra Bari, Taranto e Matera e tra le bellezze pugliesi e non: Castellana Grotte, Alberobello, Castellaneta, Ostuni, Fasano, Cisternino, Altamura, Gravina, Matera, ecc. Continua la Lettura
La Banda delle Fave Bianche
4 Maggio 2021 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Prodotti Locali, Storia
Sopravvive in alcuni paesi del circondario, in questa nostra società sempre più tecnologica e professionalizzata, un piccolo gruppo bandistico che non ha frequentato alcuna scuola musicale.
È la Banda delle Fave Bianche, nome attribuito forse anche perché ricorda l’elezione a Patrono di Gioia del Colle di San Filippo Neri, avvenuta con una votazione che prevedeva l’introduzione, in un’urna, delle fave bianche.
La banda suonava con grancassa, tamburo e ottavino.
Riferiscono fonti orali che la scelta del Patrono di Gioia, San Filippo neri, venne effettuata dai notabili del paese, che presero in considerazione una serie di candidati.
Alcuni di essi, per favorire una rigenerazione morale e religiosa di Gioia, pensarono di sponsorizzare San Filippo Neri, secondo Apostolo e Compatrono di Roma, figura di santità e di coerenza al messaggio evangelico, di nobili origini, per il fatto di essere figura che, avendo contribuito notevolmente a riportare la Chiesa nell’alveo dei precetti cristiani e della fedeltà a Cristo, meglio di altri Santi poteva incarnare il modello di rinnovamento di Gioia e la rinascita morale ed umana della popolazione locale. Continua la Lettura
Il Carnevale e le maschere grottesche di Gioia del Colle
17 Febbraio 2021 Autore: Francesco Giannini
Categorie: Eventi & Tempo Libero, Prodotti Locali, Storia
Per consuetudine nei nostri Comuni il Carnevale si fa iniziare il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio abate, e termina il martedì grasso. Un proverbio locale recita: Sand’Andùne, màsckere e sùne, Sant’Antonio, maschere e suoni.
Nei tempi passati le feste di Carnevale erano molto sentite dalla popolazione gioiese. Era un periodo molto atteso dagli studenti, che potevano usufruire di qualche giorno di riposo, ma era anche un periodo di svago e di riposo dal faticoso lavoro quotidiano della nostra popolazione contadina, per riprenderlo poi con maggior lena.
Proprio per questo nella nostra tradizione paesana le feste di Carnevale vedono la presenza di maschere legate alla nostra tradizione contadina e ai nostri prodotti agricoli, tra le quali primeggia Solmozzavino, che racchiude due eccellenze di Gioia: la mozzarella e il vino primitivo.
A queste espressioni del Carnevale gioiese sin dal passato erano collegate le sfilate di carri allegorici e i ‘festini’, feste da ballo in maschera, spesso motivo oltre che di svago, anche di incontri e di possibili fidanzamenti. Erano in voga anche gruppi mascherati guidati da un ‘conduttore’, che giravano per il paese fermandosi in quelle case dove si organizzavano i festini e invitavano i presenti a ballare con loro e a scambiarsi rime scherzose, in cambio di qualche dolce, taralluccio o un bicchiere di vino. Continua la Lettura