Boschi e lupi nel territorio di Gioia del Colle
I Romani chiamarono la Basilicata con il nome di Lucania, da lucus, che significa bosco; infatti la Lucania costituiva il luogo da cui essi attingevano il materiale ligneo soprattutto per la costruzione delle navi. Come riferiscono alcune fonti documentarie, il territorio del Comune di Gioia nei tempi passati era coperto di boschi che erano utilizzati […]
I Romani chiamarono la Basilicata con il nome di Lucania, da lucus, che significa bosco; infatti la Lucania costituiva il luogo da cui essi attingevano il materiale ligneo soprattutto per la costruzione delle navi.
Come riferiscono alcune fonti documentarie, il territorio del Comune di Gioia nei tempi passati era coperto di boschi che erano utilizzati dagli abitanti sia per procurarsi la legna per usi domestici, come mobili o per ottenere carbone sia per cacciare selvaggina e raccogliere frutti ed erbe di cui cibarsi. I boschi, inoltre, offrivano sicuri ed inaccessibili ricoveri ai briganti locali e a quelli provenienti dalla Basilicata.
La vecchia strada lastricata BA-TA passava per Monte Sannace, ma già dalla fine de 1100 non era più percorsa ed era stata abbandonata, per la nascita e lo sviluppo dell’abitato gioiese.In un documento del 1196 si dice che nei pressi di Monte Sannace, in un luogo denominato Castaldessa, presso il Canale Frassineto, la via di Bari si divideva in due: quella Occidentale congiungeva l’antica via di Taranto, poi distrutta secoli dopo, con la via per Putignano e questa variante raggiungeva serpeggiando Gioia. Di qui, lasciando a sinistra la chiesuola di San Marco, o ciò che restava, la variante, costeggiando la parte orientale della Palude Magna, proseguendo verso sud dopo alcune miglia si ricongiungeva all’antica via per Taranto, quella orientale, prima che questa si addentrasse nella boscaglia detta di Delitico.
Nel periodo normanno un buon tratto della via consolare BA-TA venne progressivamente abbandonato all’altezza di Monte Sannace, per raggiungere più speditamente il borgo gioiese. Mentre la boscaglia invadeva e distruggeva il tratto in disuso, in meno di un secolo, questa variante gioiese rimase per almeno 9 secoli parte integrante della Bari-Taranto.
In verità per rendere più sicura, a causa dei molti briganti annidati nella fitta boscaglia, la percorrenza della nuova traversa BA-TA, le autorità borboniche disposero l’abbattimento di alberi e cespugli boschivi, fino alla distanza di 50 metri, su ciascun lato del tracciato stradale.
La boscaglia denominata Dilitico, probabilmente dal verbo latino delitisco, che significa ripararsi, nascondersi, ci confermerebbe che la via Orientale che da Bari conduceva a Taranto si innestava sulla vecchia e diruta strada che da Monte Sannace procedeva in direzione Taranto nel punto in cui il territorio di Gioia era ancora ricoperto da un fitto bosco, luogo ideale per cacciare, per raccogliere legna e frutti e anche covo per i briganti.
La prof.ssa Eleonora Francini Corti, in un convegno dedicato alla Conservazione della natura, organizzato dall’Istituto di Zoologia dell’Università di Bari, parlando di floristica e vegetazione pugliese, precisò che alla fine del ‘700 Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti apparivano ambedue circondate da un’ampia foresta di 50 miglia di perimetro, all’incirca 50 mila ettari. Il taglio dei boschi è proceduto inesorabilmente e gli ultimi resti rigogliosi furono abbattuti dopo il 1870.
Come apprendiamo anche dalla lettura della fiaba di Cappuccetto Rosso l’esistenza dei boschi da sempre è stata legata alla presenza di lupi. Questi spesso nei periodi invernali o di scarsità di selvaggina si allontanavano dai boschi e si avvicinavano alle masserie o ai centri abitati in cerca di animali di cui cibarsi.
Per evitare che i lupi sbranassero pecore o altri animali domestici i contadini si organizzavano costruendo dei recinti, in cui lasciar pascolare i loro animali, circondati da alti parieti con presenza di pietre sporgenti chiamate antilupi o paralupi sul lato esterno dei recinti, che avevano la funzione di impedire ai predatori, lupi o volpi, di scavalcare il muro e di proteggere le greggi.
In aggiunta a queste difese i contadini spesso si riunivano ed organizzavano battute per cacciare ed uccidere i lupi. Questa pratica con il tempo ha dato i suoi frutti, tanto che in molte regioni italiane i lupi sono scomparsi.
Negli ultimi decenni, però, anche a seguito di pressioni degli “ambientalisti” si è pensato a proteggere i lupi, evitando la loro estinzione e si sono create “oasi” in cui farli riprodurre. Uno degli esempi di questo ripopolamento in parchi protetti è possibile osservarlo nella “Area faunistica del lupo” di Civitella Alfedena, in provincia dell’Aquila, dove si possono ammirare lupi in semi libertà.
A Civitella Alfedena sono presenti anche il Museo del lupo e le aree faunistiche del lupo e della lince. Il museo, che è ubicato in una ex stalla nei pressi del centro di visita del Parco Nazionale d’Abruzzo, raccoglie una vasta documentazione sul lupo appenninico e sulle sue abitudini di vita. Sono esposti uno scheletro ricostruito e un lupo imbalsamato.
Nell’ultimo decennio, anche a causa del disboscamento e di scarsità di selvaggina sempre più spesso nelle nostre zone sono stati avvistati dei lupi che si sono avvicinati alle masserie e hanno fatto stragi di animali: pecore, galline, mucche, asini e perfino cavalli.
Solo da gennaio a settembre 2019 in Puglia i lupi hanno attaccato, ferito e ucciso agnelli, pecore, vitelli, mucche, asini, cavalli e suini per un totale di 510 capi, tenendo conto delle sole denunce degli allevatori.
Uno di questi ultimi episodi si è verificato il 6 maggio 2022 e ha riguardato la masseria Romano, in territorio di Gioia del Colle alla via Vicinale Oronzini (via Matera, SP 51).
Episodi di razzie da parte di lupi in passato se ne registravano frequentemente anche per la presenza di numerosi boschi che costituivano la dimora naturale dei lupi.
Lo zio di una cara amica, Leangela Svelto, raccontava la sua esperienza di operatore agricolo nelle campagne in cui abitava, a confine tra la Puglia e Basilicata, e in particolare ricordava episodi avvenuti nel 1928, riguardanti i boschi e i lupi, che fotografano abbastanza fedelmente quanto si verificava anche nel territorio di Gioia del Colle in quegli stessi anni.
I boschi di cui parlo erano vergini in quanto la mano dell’uomo non aveva mai avuto modo di intervenire e proprio per questo erano il luogo ideale per tanta selvaggina e per i lupi.
Proprio la presenza dei lupi costringeva le aziende agricole a proteggere gli ovili con alti muri e reti di protezione. Ogni tanto si sentiva gridare nei boschi, si sentiva gridare al lupo al lupo: erano i bambini che si infondevano coraggio e cercavano di entrare nei boschi.
La nostra storia avviene nell’estate del 1928. La nostra azienda contava di un gregge di 400 pecore e proprio l’elevato numero di pecore ci permetteva di realizzare una cospicua raccolta di letame che serviva per concimare i terreni, quando questi erano liberi dalle coltivazioni. Si costruiva un recinto quadrato per le pecore, chiuso da una rete fatta di cordicelle di canapa, alto più di um metro, in cui si portavano le greggi per concimare la terra, facendole permanere per tre notti di seguito. La terra alla fine del terzo giorno risultava ben concimata. Il giorno dopo, lasciando fisso il lato di un quadrato, si spostava la rete degli altri lati, creando un nuovo quadrato. Con questo metodo il campo veniva concimato a strisce dallo sterco delle pecore.
Bisogna dire che per la difesa delle reti di canapa dai lupi ogni sera venivano accesi dei lampari a petrolio.
Una sera il capo operaio trascurò di far rifornimento di petrolio al lamparo e questo dopo poche ore si spense e l’oscurità permise a un lupo di divertirsi.
Devo dire che il lupo fu un tantino sfortunato perché quando le pecore si videro minacciate si spostarono tutte insieme e il loro spostamento fece cadere la staccionata dove era messa la rete di canapa. Il lupo e una cinquantina di pecore rimasero imprigionate nella rete. Immaginate la confusione che si creò e a questa confusione si svegliarono sia i cani che tutto il personale della masseria. L’immagine che si presentò davanti a tutti era raccapricciante: una massa di 50 pecore e un lupo avvolte nella rete di canapa che si dimenavano. Proprio colui che aveva dimenticato di mettere il petrolio nel lamparo si armò di un grosso bastone e bastonò il lupo, mentre gli altri cercavano con i coltelli di liberare le pecore intrappolate.
All’epoca avevo otto anni e devo dire che per me fu uno spettacolo indimenticabile e mi rimase impresso il lupo con la testa fracassata. Il povero lupo morì e il capo pecoraio della sua pelle ne fece un gilet che era molto elegante, e soprattutto caldissimo.
Diffidente e intelligente, il lupo tende a evitare il contatto con l’uomo, anche a seguito della spietata persecuzione a cui è stato sottoposto.
Nei primi anni ’70 i lupi rimasti in Italia ammontavano a 100 unità. Oggi i lupi sono protetti. L’ultima stima ci dice che la popolazione alpina del lupo può essere stimata in circa 950 esemplari, mentre la popolazione appenninica in almeno 2.400 animali con un numero di individui per branchi da 2 a 7 unità.
È in corso un nuovo censimento, a cui partecipa anche il WWF, per arrivare a una stima attuale e più precisa, che ci dia indicazioni non solo delle dinamiche di ripopolamento della specie, ma anche delle aree in cui proliferano.
Oggi il lupo è presente nel nostro Paese dalla Calabria alle Alpi, anche in zone fino a qualche decennio fa ritenute assolutamente non idonee per la specie. Dopo la situazione critica all’inizio degli anni ’70, oggi è in forte ripresa grazie alla maggiore disponibilità di prede selvatiche, all’abbandono delle aree marginali da parte dell’uomo e alla sua maggiore protezione a livello legale. La vista e l’udito sono molto sviluppati. Il fenomenale olfatto gli permette di sentire la presenza di prede o di pericoli, come la presenza dell’uomo, anche a grandi distanze.
Nonostante non rappresenti una minaccia diretta per l’uomo, le predazioni che, in alcune situazioni, avvengono ai danni del bestiame domestico, suscitano reazioni avverse e persecutorie nei confronti del lupo. Ogni anno, si stima che, tra i 200 e i 500 lupi muoiano uccisi da fucilate, veleno e trappole o investiti dalle auto.
Se da una parte il lupo ha rapidamente riconquistato le aree da cui era stato scacciato alla fine del secolo scorso, oggi i rischi sono maggiori e più diffusi, anche nelle aree protette. In molti luoghi dove è tornato, le popolazioni hanno perso la memoria culturale del predatore e la prima reazione è troppo spesso avversa.
Il lupo è il simbolo delle battaglie per la conservazione del WWF nel nostro Paese sin dal 1972, quando con il Parco Nazionale d’Abruzzo fu avviata l’Operazione S. Francesco e, l’allora avveniristico, primo progetto di conservazione del Lupo in Italia.
Il WWF si batte per contrastare il bracconaggio, molto aumentato con la diffusione del lupo in molte aree del Paese in cui da decenni si era estinto. Il suo impegno si rivolge a combattere l’uso del veleno, delle trappole e delle uccisioni con le armi da fuoco, ma anche e soprattutto a promuovere la convivenza tra questo predatore e le attività umane, a ridurre i conflitti e i danni al bestiame unica via per trovare una possibile convivenza.
Il WWF Italia ha anche avviato il progetto “Viva il Lupo”, che si è classificato al primo posto nella graduatoria del bando del Ministero e intende contribuire all’elaborazione del Piano nazionale per l’Educazione Ambientale, fornendo indicazioni sui principi e metodi delle pedagogie attive in natura per le scuole italiane di ogni ordine e grado.
Nel territorio di Gioia, a circa 8 Km. dal centro abitato, in direzione SO sulla provinciale per Laterza, insiste la Masseria Bosco nella omonima contrada denominata Fitto di Bosco. La masseria Bosco, come molte altre masserie presenti nell’agro gioiese, è dotata anche di una chiesetta, che viene identificata con il nome dei proprietari.
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4 Novembre 2022