‘ Anapeson ‘ di Francesco Dongiovanni
Dopo: Densamente spopolata è la felicità (Italia, 2011 – 48'), dopo Elegie dall’inizio del mondo – Uomini e alberi (Italia, 2013 – 38') e dopo Giano (Italia, 2014 – 50') il 9 settembre 2016 nel chiostro del Comune di Gioia è stato presentato il quarto film di Francesco Dongiovanni: Anapeson ( sottotitolo: senza sonno ). […]
Dopo: Densamente spopolata è la felicità (Italia, 2011 – 48'), dopo Elegie dall’inizio del mondo – Uomini e alberi (Italia, 2013 – 38') e dopo Giano (Italia, 2014 – 50') il 9 settembre 2016 nel chiostro del Comune di Gioia è stato presentato il quarto film di Francesco Dongiovanni: Anapeson ( sottotitolo: senza sonno ).
Anapeson è un Cristo bambino in stato di sospensione, né seduto né disteso, che guarda alla sua fine con occhi aperti e chiusi.
Lascio ai critici il giudizio sulla bontà delle tecniche utilizzate per il suo lavoro, per soffermarmi sul messaggio che il regista ha voluto esprimere attraverso le immagini che ha proposto.
Lo spunto per questo lavoro è venuto dalla lettura del Viaggio nel Regno di Napoli, scritto dal naturalista svizzero il conte Carlo Ulisse De Salis Marschlins, vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, esperto di agricoltura e botanica. Nel 1789 attraversò il Regno di Napoli, partendo dalla capitale e passando per la varie regioni del sud Italia. Ritornato in patria, colpito dalla bellezza dei luoghi visitati e dall’operosità delle popolazioni residenti, decise di scrivere un resoconto del suo viaggio.
In particolare il regista si sofferma sulla parte in cui il narratore racconta la visita in Puglia, e precisamente a San Basilio, descrivendo la tenuta più importante dei duchi De Sangro-Caracciolo di Martina Franca . E’ il cosiddetto “Casino del Duca”, un antico palazzo-castello-masseria-cappella situato a San Basilio: un sito che è stato per più di due millenni il latifondo più importante della Puglia e del Sud mentre oggi è deturpato distrutto, abbandonato e dimenticato.
Ricordare il resoconto del viaggio del Marschlins per il regista è lo spunto, un pretesto per imbastire una metafora della vita.
E’ un film documentario, un film poetico che dimostra l’amore del regista per la sua terra e la voglia di riscatto dopo essere stata sfruttata e abbandonata.
E’ un film documentario perché documenta il viaggio dell’uomo nella contrapposizione della realtà e della vita. Le prime scene e le ultime ci presentano, in campo lungo, un individuo non ben definito, che ognuno può identificare con se stesso: un uomo che nella sua giornata dal mattino, sotto la luce solare, fino alla sera inoltrata, alla luce di una torcia ( metafora del percorso terreno dell'uomo dalla sua alba al suo tramonto ), come novello Diogene con la lanterna, va ancora alla ricerca dell’uomo, della propria umanità.
E’ un film poetico poiché è il film dell’uomo alla ricerca del senso della vita nella nostra società; una vita che corre sui binari della contrapposizione, della contraddittorietà, della dualità, degli opposti, come le rotaie del binario, che anche se non le vediamo, si dice si incontrano all’infinito.
E’ un film che esalta le rovine, non intese come elementi di morte, ma come pietre vive; quelle rovine che l’uomo con la sua noncuranza provoca, lasciando che il tempo cancelli le tracce della sua storia, del suo progresso ( anche il cippo del duca, distrutto da un fulmine, è frutto, conseguenza dell’inoperosità dell’uomo che avrebbe potuto conservarlo solo se vi avesse installato un parafulmine ) e contemporaneamente è il film dei ricordi e delle pietre che vivono e parlano.
E’ un film in cui alle rovine causate dal tempo, dall’abbandono, dall’incuria dell’uomo, cioè a quello che potrebbe essere segno di morte, si contrappone il richiamo alla vita, sottolineato dal racconto del viaggiatore che accenna all’operosità degli uomini che popolavano la masseria; alle rovine su cui indugia l’occhio della macchina da presa fa da contrasto il richiamo a pietre vive, segno incancellabile della laboriosità umana.
E’ una contrapposizione rovine/morte. In questo gioco è la vita che si fa spazio tra le rovine, sottolineata da numerose presenze: le piante rampicanti che la macchina da presa ci consegna, il tronco di una pianta che si insinua all’interno di quelle rovine con la sua prepotente voglia di vivere, il cinguettio degli uccelli il cui canto anima quegli ambienti, che sembrano abbandonati e destinati a scomparire definitivamente col tempo.
L’apertura del film è contraddistinta da un mobile con documenti sparsi, posto nella cripta fatiscente della dimora signorile, in penombra senza finestre, in stato di abbandono; persino l’affresco, ormai impercettibile, di una Madonna con bambino, simulacro dell'Anapeson, su cui indugia l'obiettivo cinematografico, sembra aver subito gli attacchi del tempo e dell'incuria umana. Alla vitalità e signorolità che un tempo vegliava su questa masseria-fortezza è contrapposto l’abbandono e il degrado odierno.
La contraddittorietà dell’esistenza è espressa sia nelle prime scene che in quella finale: al silenzio iniziale delle rovine fa da contrasto l’assordante rumore degli autoveicoli che percorrono la SS. 100 nei pressi di S. Basilio di Mottola.
E’ la contrapposizione tra la voce narrante, che richiama la vita, l’operosità di un tempo felice e florido, e i silenzi che ci richiamano al pensiero la morte, con le sequenze del degrado della masseria del duca Caracciolo.
E ancora all’esterno spesso regna il silenzio, rotto dal sibilo del vento che fa piegare le messi tenere, che sembra spingere l’uomo fino a travolgerlo, senza permettergli di fermarsi per essere lui a decidere il da farsi e non essere travolto dal vertiginoso ritmo della vita moderna.
E’ un film che riflette l’esperienza del regista, che dà al suo lavoro un fine didattico, quello stesso fine che è alla base della sua attività professionale di docente.
E’ un film didattico che vuole insegnarci che nella vita ogni tanto bisogna fermarsi, per riappropriarsi della propria umanità, per chiedersi chi siamo, come stiamo operando e porre un freno ai disumani ritmi della vita, concetto sottolineato dai ritmi lenti della ripresa cinematografica. E’ un richiamo a recuperare le pietre vive, pietre che parlano anche nella loro staticità, nella loro situazione di apparente degrado, per portarci indietro nel passato non per rimpiangerlo rispetto al mondo che viviamo, ma per trovare la chiave per poter progredire senza perdere di vista la propria umanità. E la chiave è l’impegno è l’operosità è continuare l’opera già iniziata da altri prima di noi, per non lasciare che le pietre siano morte, ma continuino a parlarci e a dare a noi e agli altri un messaggio di vita, di impegno, di solidarietà. E le pietre nel film ci parlano non solo della maestria di coloro che hanno costruito masseria, cappella, silos, cippo, stalle, recinti, ma anche di coloro che ne hanno abbellito le strutture con affreschi e con scene della vita contadina.
E' un film di grande spessore culturale poiché, come il regista prima di dare l'avvio al suo lavoro si è documentato non solo leggendo il Viaggio nel Regno di Napoli, ma rovistando negli Archivi della famiglia Caracciolo, così lo stesso autore ci fa comprendere che solo il ritorno alla cultura, per abbeverarsi alle fonti storiche, alle nostre tradizioni, può farci riappropriare della nostra storia, farci apprezzare ciò che abbiamo ereditato dall'operosità di chi ci ha preceduto e indirizzare i nostri sforzi per salvare il mondo dalla rovina e dal diffuso propagarsi del malvezzo dell' usa e getta.
E’ un’opera di poesia perché attraverso le sequenze della narrazione il regista sollecita i nostri sentimenti, ci invita a prendere coscienza del ruolo importante che ognuno di noi ha, la responsabilità di godere non solo delle bellezze del paesaggio, ma a coltivare il frutto del ben operare per lasciare agli altri ciò che abbiamo ereditato e consegnare loro un insegnamento positivo, di continuare a lavorare nel rispetto dell’uomo e della natura.
Anche il sottotitolo: Senza sonno, è un invito ad essere svegli e a non far addormentare o morire i segni del passato glorioso della nostra terra e dei nostri uomini. La vita dell'uomo è rappresentata come un attimo fuggente, è come una giornata che inizia il mattino e termina al crepuscolo in continua attività, vita resa ancora pià fuggente dal vento che ci traporta velocemente alla meta finale; per questo motivo la vita va vissuta intensamente, quasi insonne: ' Anapeson '.
Il regista si è avvalso delle seguenti professionalità: scrittura che condivide con di Marco Cardetta, voce e presenza Salvatore Marci, camera e fotografia Vincenzo Pastore, montaggio ad opera dello stesso regista, elettricista Filippo Losacco, sound designer Salahaddin Roberto Re David assistente Sound design Graziano Cammisa, musiche Pino Basile, produttore esecutivo Marco Cardetta, coordinatore produzione Rosario Milano.
Il film, della durata di 40 minuti, è stato prodotto da APULIA FILM COMMISSION (RUP – Cristina Piscitelli; Project Manager – Giovanni Antelmi; Delegate producer – Massimo Modugno), produzione esecutiva Murex Production, distribuzione The Open Reel, fotografo di scena Graziano Milano.
Il film ha partecipato ai seguenti Festival:
2015
Filmmaker Festival, Milano
Torino Film Festival, Torino
2016
Cast Film Fest, Castellaneta
American Documentary Film Festival and Film Fund, Palm Springs ( USA ).
© E’ consentito l’utilizzo del contenuto di questo articolo per soli fini non commerciali, citando la fonte e il nome dell’autore.
11 Settembre 2016