Il 230° anniversario della morte di Emanuele De Deo

Ricorre quest’anno il 230° anniversario della morte di Emanuele De Deo, gioiese morto il 1794 per l’affermazione dei principi della Rivoluzione francese: libertà, fratellanza e uguaglianza e per la concessione di una Costituzione repubblicana che sancisse quei valori. Notizie su Emanuele De Deo è possibile reperirle consultando un articolo su questo sito digitando il seguente […]

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Emanuele De Deo

Ricorre quest’anno il 230° anniversario della morte di Emanuele De Deo, gioiese morto il 1794 per l’affermazione dei principi della Rivoluzione francese: libertà, fratellanza e uguaglianza e per la concessione di una Costituzione repubblicana che sancisse quei valori.

Notizie su Emanuele De Deo è possibile reperirle consultando un articolo su questo sito digitando il seguente link; https://www.gioiadelcolle.info/lasilo-dinfanzia- e-de- deo/.

Per aver partecipato alla congiura giacobina del 1794 De Deo fu condannato alla forca il 18 ottobre al Largo del Castello di Napoli. Così ce ne parla lo storico Pietro Colletta, nel suo libro Storia del Reame di Napoli: Alzato perciò il palco nella piazza detta del Castello, sotto i cannoni del forte, circondato il luogo di guardie, muniti di artiglierie gli sbocchi delle strade, ed avvicinate alla città numerose milizie, bandirono che ad ogni moto di popolo i cannoni tirerebbero a strage. Uffiziali di polizia travestiti, sgherri in abito, e spie a sciami si confusero nella folla. E tra tanti provvedimenti di sicurtà, stavano i principi nel palagio di Caserta, più timidi ed ansanti de’ tre giovinetti (E. De Deo, V. Galiani e V. Vitaliano), che rassegnati morivano.De Deo fu giustiziato perché si era fatto portatore di idee rivoluzionarie che avrebbero potuto portare alla morte dei regnanti borbonici. Nonostante le promesse di scarcerazione, in cambio della rivelazione dei nomi degli altri rivoluzionari, rifiutò la grazia perché credeva nella bontà delle sue idee, del suo operato e del suo sacrificio, che avrebbe dato i frutti sperati. Dimostrò una profonda fede in quel che compiva, una fede che, al di là di una sentita religiosità, gli dava la carica e la consapevolezza di un futuro migliore da consegnare alle future generazioni, quella fede che, a detta di sant’Agostino, ci consente di credere in ciò che non si vede e di vedere realizzato ciò in cui si crede.

Onde evitare ripetizioni, vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori l’ultima lettera che Emanuele De Deo scrisse al fratello Giuseppe, nella cappella della Vicaria, il 17 ottobre 1794, giorno precedente la sua morte, e che affidò ad uno dei Padri Teatini Confortatori della Compagnia di Sancta Maria Sucurre Miseris.

Di questa lettera abbiamo due versioni, apparentemente simili.

Molto probabilmente dalla lettera originale che fu consegnata al frate, costui estrasse una copia che fu ritrovata da Francesco Saverio Nitti e pubblicata per la prima volta nel 1885.  Nel 1961 fu rinvenuta un’altra copia, trascritta nel 1806. Durante la perquisizione domiciliare in casa del Canonico Seccia, tra gli altri documenti, furono trovate alcune lettere del De Deo al fratello Giuseppe, tra le quali quella da cui il frate aveva tratto la copia che poi fu ritrovata dal Nitti. Purtroppo non è possibile affermare quale sia l’originale perché il re Ferdinando, ritornato sul trono di Napoli, ordinò di distruggere tutto quello che riguardava gli avvenimenti rivoluzionari, tra cui quelli riferibili a De Deo.

Verosimilmente la copia più attendibile è la seconda, quella di seguito riportata, che è più in linea con lo stile espressivo, con il pensiero e con i sentimenti che nutriva De Deo.

Caro fratello. Perché dirmi disgraziato? Perché chiamarmi con questo nome? Se considerate la perdita di un fratello, io convengo con voi; ma se tale mi chiamate per lo destino che sieguo, voi v’ingannate. Io la mia sorte la invidierei negli altri. Ciò vi basti per farvi comprendere la tranquillità dell’animo mio nell’abbracciare il decreto della Suprema Giunta, e del mio e vostro Sovrano.

Inizio della lettera di De Deo al fratello Giuseppe. Copia rinvenuta da F. S. Nitti, presso la Biblioteca di San Martino

La morte reca orrore a chi non ha saputo ben vivere. Chi ha coscienza senza rimorsi gioisce in quel punto che i malfattori chiamerebbero terribile: e poi noi non siamo eterni, presto o tardi si muore. La durata della vita non la dovete misurare da vari giri di sole. Un anno di vita di un uomo onesto e socievole, eguaglia cento di un Misantropo, di un Egoista. E pure il paragone mi sembra incompatibile. Grazie al Signore Fattore del tutto, non vi è persona che possa chiamarsi oltraggiata da me.

Ho adempito alle mie obbligazioni verso chiunque aveva il diritto di esigerle e non mi sono mai dimenticato d’essere Cittadino ed uomo: se gli altri mi hanno offeso, o almeno mi hanno defraudato di quella grata corrispondenza che mi doveano, io li perdono e voi caro fratello perdonateli con me. Un fratello nell’ultimo momento di sua vita ve lo chiede, né dal vostro bel cuore ne attende il contrario.

Non giova più parlarmi di grazia: il mio fato è certo ed io l’attendo con intrepidezza e maschio coraggio, per farli comprendere che non ho potuto indebolire il mio cuore, e per umiliarli così.

Vorrei avere il piacere di parlarvi a solo oggetto di non farvi più affliggere, e di comunicarvi il mio ragionevole coraggio. Consultate la ragione; calmate l’immaginazione, ed il mio fato non vi sembrerà funesto.

Ho a caro che partite per Minervino. Consolate l’afflitta Madre: nascondetele in tutti i conti la mia disgrazia. Se poi col tratto di tempo venisse a scoprirla assicuratela che l’unico oggetto delle mie afflizioni in queste circostanze era il suo amore e quello delle amate sorelle, che a voi raccomando di amare con duplicato affetto; unite al vostro amore il mio, giacché la mia disgrazia sopra di esse piomberà più tosto. Baciate da parte mia le mani della signora Madre, e dimandatele scusa di qualche mia involontaria mancanza.

Fate felicissimo viaggio, e ricordatevi sempre del vostro fratello, ma non della sua morte.

Spetta a voi di ricompensare il comune Padre di tutte le amarezze che io li ho cagionato. Non trascurate ubbidirlo e compiacerlo in tutti li suoi voleri; sono sicuro che voi non sarete per mancare, ma voglio che lo facciate ancora per mia memoria.

Caro fratello, è inutile maggiormente diffondermi, sarebbe per più eccitare la vostra sensibilità.

Vi accludo un biglietto alla cara Madre, che servirà per deluderla; vi abbraccio e vi bacio e sono col cuore.

Al comun padre ho scritto, ed ivi ho acclusa un’altra lettera per la signora Madre; me la ritirerei, ma per altro mezzo so che è andata al suo destino, quantunque non ancora vi sarà pervenuta.

Vi taccio degli amici; essi che mi amano, comprenderanno bene quel che su questo punto vorrei dirgli. Domani, prima che partirete, fatemi pervenire l’ultimo vostro biglietto e l’estremo Addio. Vi stringo di nuovo al cuore. Vostro Fratello.

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18 Ottobre 2024

  • Scuola di Politica

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