La “ngegne” ( la noria )
Uno degli strumenti utilizzati in passato dai nostri agricoltori e che fa ormai parte dell’archeologia agricola è senza dubbio la “ noria “. Fino a qualche anno fa, quando la falda acquifera del territorio gioiese era affiorante anche a meno di tre metri di profondità, si era soliti recuperare l’acqua sorgiva necessaria sia per l’alimentazione […]
Uno degli strumenti utilizzati in passato dai nostri agricoltori e che fa ormai parte dell’archeologia agricola è senza dubbio la “ noria “.
Fino a qualche anno fa, quando la falda acquifera del territorio gioiese era affiorante anche a meno di tre metri di profondità, si era soliti recuperare l’acqua sorgiva necessaria sia per l’alimentazione umana, sia per il bestiame, sia per le culture foraggiere ed ortofrutticole, attraverso pozzi scavati artigianalmente.
Infatti ancora oggi non solo nelle abitazioni del centro storico, in numerose abitazioni monofamiliari è presente un pozzo, generalmente scavato in un deposito quaternario e rivestito in pietra calcarea o con conci di tufo, attraverso il quale veniva prelevata dalla falda superficiale l’acqua necessaria per i fabbisogni giornalieri della famiglia.
Non era infrequente vedere, specie dalle cantine del centro storico, una fuoriuscita di rigagnoli di acqua; essa veniva emunta e scaricata all’esterno per liberare i locali nei quali affiorava dalle falde sottostanti, che ne impediva quindi la loro normale fruizione.
Nelle campagne in prossimità del paese l’acqua veniva estratta dalla falda freatica attraverso congegni artigianali, chiamati norie.
Sembra che siano stati i Saraceni, quindi popoli Arabi, nel periodo della loro occupazione e permanenza in Italia meridionale, tra i secoli VIII-IX , ad introdurre, alcuni secoli or sono, nella nostra terra la noria, questo congegno e il termine che lo definisce. Probabilmente il termine deriva dalla parola spagnola “ ne ura “.
La popolazione locale suole chiamarla “ la ngègne “ , la cui traduzione è ingegno o congegno.
Si tratta di un congegno o di una macchina semplice, ma nello stesso tempo ingegnosa, che serve a sollevare l’acqua da un pozzo o ad estrarla dalle falde freatiche.
Infatti elemento essenziale per l’utilizzo del congegno è la presenza del pozzo, che è generalmente una grossa cisterna a forma di parallelepipedo, al cui fondo si trova una conca centrale che raccoglie le acque della falda.
Altri elementi che caratterizzano la noria sono i boccapozzi, chiamati nel dialetto locale " vuccqual ", che generalmente sono in numero di 4: due sono presenti nella parte centrale e due ai margini o alle estremità del pozzo.
L’impianto di sollevamento o pompaggio dell’acqua, che generalmente è costituito da una struttura in ferro o ferro battuto, composta di una ruota orizzontale, due ruote verticali ed un asse, prende il nome di noria.
Il sistema di trasmissione, composto da una ruota conica orizzontale dentata, con pioli metallici, e due ruote circolari verticali, ha la funzione di trasformare il movimento circolare orizzontale, originato dal percorso routinario dell’animale, in movimento circolare verticale.
La ruota conica, alla quale è saldata un asse orizzontale a cui viene legato l’animale, è fissata a terra in un apposito alloggiamento mentre la parte superiore gira in un cuscinetto saldato ad una putrella metallica poggiata su due colonne costruite con conci di tufo locale. Le due ruote verticali parallele sono composte da due cerchi metallici collegati tra di loro da aste metalliche distanziatrici, che creano l’impressione di una scala a pioli.
Tutto il meccanismo è azionato e funziona grazie alla paziente opera di un asino, di un mulo o di un cavallo che, trainando un’asta metallica, mette in moto e fa girare la ruota conica, che mette in movimento il meccanismo che a sua volta dà luogo ad un processo continuo di riempimento e svuotamento dei contenitori d’acqua.
La ruota conica, con pioli sporgenti in ferro, è collegata ad una seconda ruota che gira in senso verticale e questa, tramite un asse di trasmissione in ferro lungo circa 4 metri, mette in movimento una terza ruota, sistemata a cavallo dei due boccapozzi centrali. L’asse di trasmissione poggia su due colonne di conci di tufo.
La ruota a cavallo delle due colonne e soprastante il boccapozzo presenta una catena metallica scorrevole e snodata, a maglie molto larghe, simile ad un nastro trasportatore senza fine, volgarmente chiamata " ssart ", di lunghezza variabile a seconda del livello dell’acqua del pozzo, sulla quale a distanza regolare sono fissati dei contenitori in legno o metallici simili a secchi, che i contadini chiamano " ialett ".
I secchi, scendendo nel pozzo pescano l’acqua presente nel fondo, si riempiono e, girando intorno alla puleggia, fanno defluire l’acqua in modo continuo attraverso un canaletto in pietra calcarea ( mmlicch ), nella vasca di accumulo, il palmento, ( palmidd ), costruita con conci di pietra calcarea e tufo locale di capacità variabile, fino a circa 10 metri cubi. I secchi spesso avevano l’apertura a forma di becco di clarino per evitare che l’acqua in essi raccolta si riversasse nuovamente nel pozzo nel momento in cui arrivavano al punto superiore della ruota prima di svuotarsi.
A volte, per impedire alla catena di slittare lungo la ruota verticale, veniva effettuata una intelaiatura della ruota con sottili ramoscelli d’ulivo, intrecciati tra di loro.
Con questo semplice ed artigianale accorgimento si riusciva a recuperare la maggiore quantità di acqua che era raccolta dai secchi mentre gli stessi si svuotavano.
Per evitare all’animale, cavallo, mulo o asino, di distrarsi o di fermarsi per recuperare le forze si era soliti applicare alla cavezza dei paraocchi ; questi oltre che a togliere loro la visuale impedivano che si rendessero conto del movimento circolare. per permettergli di girare in modo continuo intorno alla ruota conica e azionare l’argano. Spesso gli si legava intorno al collo una corda che reggeva un sacco contenente della paglia, per consentirgli di consumare un pasto nel momento del bisogno.
Molto spesso la quantità di acqua presente nei pozzi era insufficiente per i bisogni agricoli.
Quando i contadini si resero conto che la quantità di acqua che potevano emungere dal pozzo non dipendeva tanto dal volume della cisterna, quanto principalmente era correlata alla superficie delle pareti verticali del pozzo, misero in atto un’altra tecnica: la costruzione di pozzi o condotti secondari, in genere stretti e lunghi. Questi canali erano posti in comunicazione con il pozzo principale ed avevano il compito di aumentare la superficie drenante del terreno e convogliare l‘acqua nel pozzo principale. Questo accorgimento permetteva di aumentare fino a cinque volte la portata dell’acqua del pozzo principale e di disporre di una buona quantità di acqua in tutte le stagioni.
Tali sistemi di pompaggio dell’acqua della falda freatica erano adottati non solo dai singoli ortolani o contadini, ma era prerogativa anche delle Amministrazioni comunali provvedere all’impianto di tali congegni idraulici, per approvvigionare di acqua i cittadini, soprattutto nei periodi precedenti la costruzione dell’Acquedotto Pugliese.
Infatti, a titolo esemplificativo, si ricorda che il Consiglio comunale di Gioia il 12 maggio 1869 delibera la riparazione dell’ingegno del cortile di San Francesco e lo stesso Consiglio il 18 aprile 1874 delibera la costruzione di un ingegno idraulico a San Francesco, dove si trovava un pozzo da cui i cittadini attingevano acqua per i loro bisogni idrici.
Numerose in passato erano le norie impiantate anche nelle zone costiere della Puglia adriatica; in tale circostanza l’utilizzo delle acque dalla falda freatica, attraverso la noria si basava sul principio del “ taglio “ dell’acqua superficiale che era più dolce e galleggiava su quella salata del mare.
Verso la fine degli anni ’50 la Protezione degli animali fece approvare il divieto di utilizzo degli asini, dei muli e dei cavalli per questa attività e, conseguentemente, il lavoro animale venne sostituito dall’introduzione di pompe elettriche, che a loro volta riuscivano ad emungere maggiori quantità di acqua, una parte della quale era salata.
Anche in Sicilia è presente questo congegno idraulico, che presenta un ulteriore accessorio: una specie di pistola a molla che, a seguito della pressione di una piccola leva, mette in azione una lama metallica affilata. Tale congegno era poggiato sulla testa dell’animale ed era utilizzato allorquando questo, a seguito dell’incessante, logorante e monotono percorso circolare che effettuava per mettere in movimento la noria, finiva per essere affetto da una forma di nevrosi e quindi diventava irrequieto, se non pazzo o addirittura pericoloso. Una forma barbara di eliminazione dell'animale!
Ancora oggi alla periferia del nostro paese, soprattutto nella zona ovest, come in via Lagomagno, sono presenti alcuni di questi congegni o ingegni idraulici, che, dagli anziani, secondo la terminologia del dialetto popolare, continuano ad essere indicati come “ la ngegne “.
Una noria, in buono stato di conservazione e corredata dalla presenza di un mulo in cartapesta, è possibile osservarla anche nel Museo della civiltà contadina, nei locali in via G. Di Vittorio, siti di fronte all'Istituto Padre Semeria di Gioia.
Un'altra noria è stata ristrutturata in via Lagomagno, dove a breve sarà valorizzata e dotata di un info point che illustra la sua origine, la sua costruzione e il suo utilizzo.La noria in oggetto è quella riportata nell'ultima foto.
Un particolare ringraziamento va al geologo prof. Francesco Angelillo per il prezioso contributo tecnico che mi ha offerto.
La prima e la terza fotografia dell'articolo sono tratte dall'Archivio Editore Adda di Bari.
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24 Gennaio 2011