I ‘portatori’
Da tempo immemorabile a Gioia quasi ogni mese si festeggiava un avvenimento religioso legato alla ricorrenza liturgica di un Santo. Tre erano i momenti forti di queste ricorrenze: la celebrazione della Messa in onore del Santo, la processione della statua del Santo e la festa civile che era imperniata sull’ascolto della Banda musicale e sullo […]
Da tempo immemorabile a Gioia quasi ogni mese si festeggiava un avvenimento religioso legato alla ricorrenza liturgica di un Santo. Tre erano i momenti forti di queste ricorrenze: la celebrazione della Messa in onore del Santo, la processione della statua del Santo e la festa civile che era imperniata sull’ascolto della Banda musicale e sullo ‘sparo’ dei fuochi d’artificio.
Tra queste tradizioni quella più coreografica e maggiormente partecipata è senz’altro la processione del Santo o della Santa, che, portato a spalla da quattro individui, attraversava le vie della città accompagnata dalle Confraternite e dai sacerdoti locali, dagli amministratori comunali, da un folto numero di fedeli, mentre numerosi cittadini facevano ala al passaggio della processione, ed altri dai balconi, addobbati con drappi preziosi, lanciavano petali di fiori all’arrivo della statua del Santo.
Fino agli inizi del secolo scorso, nella ricorrenza delle feste dei Santi, per portare a spalla le statue dei Santi durante le relative processioni si ricorreva all’affidamento attraverso una ‘licita’: coloro che offrivano una somma superiore a quella degli altri partecipanti all’asta si aggiudicavano quel privilegio.
Con il passare degli anni e fino alla fine del secolo scorso toccava anche ad alcuni confratelli o ad alcuni fedeli il compito e l’onore di portare in processione le statue attraverso le vie del paese.A volte erano gli stessi componenti della Commissione delle Feste Patronali ad assumersi l’onere di portare in spalla la statua del Santo Patrono.
Circa un decennio fa è stata costituita una ‘Compagnia di portatori’, con il compito di portare in spalla, durante le processioni, le statue dei diversi Santi. Ciò che contraddistingue gli aderenti a tale Compagnia è la ‘divisa’ ossia lo stesso abito che indossano, con camicia, cravatta e costume, e l’utilizzo di un paio di guanti di colore bianco.
Di seguito riporto una ricerca del nostro concittadino, l’insegnante Giuseppe Montanarelli, dal titolo I cavalieri di San Filippo Neri a Gioia del Colle.
La ricerca utilizza le seguenti fonti: sac. don Vincenzo Angelillo, signora Titina Battaglia, sac. don Filippo De Crescenzo, arciprete don Franco Di Maggio, prof. Mario Girardi, cav. Francesco Montanarelli presidente della Deputazione Patronale di San Filippo Neri e della Deputazione Compatronale di San Rocco, sig. Stefano Montanarelli, cultore amatoriale delle tradizioni gioiesi e sac. Don Rocco Travers
Anticamente a Gioia del Colle venivano investiti solennemente i ‘Cavalieri di San Filippo Neri’, cioè i portatori ufficiali delle statue del Santo Patrono durante le processioni urbane, extra urbane, ordinarie, straordinarie, festive, di gala, votive e penitenziali.
I portatori venivano chiamati cavalieri, perché inizialmente quattro unità a cavallo scortavano la statua grande del Santo, durante la processione di gala. Il numero dei portatori era di quarantotto uomini, ripartiti in dodici gruppi composti da quattro persone, chiamate squadre. Il numero dodici richiamava quello degli Apostoli di Gesù.
I portatori erano guidati da un capo timoniere e due assistenti che coordinavano il cambio dei cavalieri e la loro sostituzione, assicurandosi che la lunghezza del percorso fosse uguale per tutti e ben ripartito in relazione alla stanchezza, allo stato della strada e allo sforzo sopportato. Ogni ripartenza della statua veniva preannunciata dalla parola ‘ suez!’, esclamata dal capo timoniere, che esortava alla forza.
La statua, fissata sulla base, definita trono effimero, era sostenuta da due stanghe robuste di sei metri ciascuna, numero che indicava il doppio di tre, simbolo della Santissima Trinità, di legno e poggiate senza cuscini protettivi sulle spalle di quattro portatori di uguale altezza. La base dorata, al suo interno, veniva appesantita da lastre metalliche in numero dispari, che ricordavano il peso della Croce portata da Gesù verso il Calvario, aiutato da Simone di Cirene. L’appesantimento della base rappresentava la penitenza che permetteva l’espiazione dei peccati.
Molti fedeli volevano diventare portatori, non solo per motivi devozionali e per essere ammirati ed onorati dal Popolo, ma anche per espiare i peccati imbarazzanti, evitando così la Confessione.
Per motivi salutari, morali e di sicurezza il Capitolo della Chiesa Madre eliminò le lastre, alleggerendo la base, garantendo un percorso più agevole e meno gravoso.
Solitamente a turno, i portatori erano impiegati per portare i sei lampari ed il baldacchino. Quattro portatori avevano in dotazione quattro aste lignee sormontate da forcine metalliche, che sorreggevano la base durante le soste e le fermate della statua durante le processioni. I quattro astati sostenevano anche con le loro mani le stanghe per garantire i cambi con sicurezza e stabilità.
Ad un portatore veniva affidato lo stendardo maggiore, alto sette metri, numero simbolico del perdono, che presentava in cima un globo metallico sormontato da una croce e conteneva dei sonagli che venivano agitati quando la Banda delle Fave Bianche smetteva di suonare, procedendo all’inizio della processione. Lo stendardo a forma triangolare, di colore bianco e rosso, aveva un ovale dorato in cui era rappresenta l’immagine del Santo Patrono.
Quattro portatori avevano il compito di controllare, durante il percorso, che la statua non cadesse, urtasse o barcollasse, soprattutto durante lo spostamento della stessa dall’apparato effimero, le soste, le fermate e la sua ricollocazione nel medesimo trono al rientro della processione. I portatori avevano anche compiti di servizio d’ordine e vigilanza volontaria e si schieravano sempre a gruppi di quattro dietro il baldacchino, al comando del capo timoniere.
Ad ogni cambio i nuovi avanzavano lateralmente a coppia dalla prima fila dietro il baldacchino e si affiancavano alla statua, che, fermandosi, garantiva la sostituzione. Chi si liberava dalle stanghe si posizionava ai lati, faceva passare il Santo e ritornava all’ultima fila dietro il baldacchino.
I portatori salutavano la statua con un inchino e svolgevano le operazioni sostitutive in silenzio. Le possibili contrarietà venivano risolte alla fine della processione. Chi si lamentava durante il sacro corteo veniva, al termine della manifestazione, sospeso ed in base alla gravità del dissenso poteva essere cacciato dal gruppo e sostituito da un nuovo componente, inserito in una sorta di graduatoria dei portatori supplenti, che assicuravano le eventuali defezioni per giustificati motivi e pertanto si rendevano sempre disponibili e reperibili nei periodi festivi.
I cavalieri di San Filippo Neri erano comunque fedeli di sacri principi e cristiani praticanti di manifesta pura condotta morale, che venivano presentati all’Arciprete dal Presidente della Deputazione Patronale, previa richiesta personale. In casi particolari, come i voti devozionali o le grazie ricevute, la domanda di adesione al cavalierato poteva essere inoltrata direttamente all’Arciprete o al Priore della Confraternita di San Filippo Neri.
I portatori, che erano ammirati da tutti e con orgoglio portavano in solenne trionfo le statue del Santo Patrono, venivano investiti durante la Santa Messa solenne in onore di Ognissanti il primo Novembre, prestando fedeltà con un apposito giuramento, rimanendo in carica per tutto l’anno, previa riconferma da parte del Capitolo della Chiesa Madre che poteva revocare l’incarico, stigmatizzava pubblicamente il portatore.
Inizialmente i cavalieri, senza barba, indossavano una vestitura liturgica, composta da un camice e guanti bianchi, cingolo e fascia diagonale rossa con bordi e frangia dorata con al centro un medaglione metallico del Santo, che in seguito venne sostituito da uno in panno dipinto.
Durante le processioni votive o penitenziali i portatori, su richiesta, potevano procedere anche a piedi scalzi. Ogni squadra di portatori era composta da quattro persone di uguale altezza e corporatura, per garantir una sicura stabilità alla statua durante le processioni.
Erano previste anche delle prove tecniche in Chiesa, per garantire l’efficacia delle squadre scelte. All’inizio tutti i buoni cristiani potevano aderire al cavalierato, dimostrando doti morali e fisiche di resistenza e buona salute. In seguito il gruppo divenne sempre più chiuso e l’incarico trasmissibile solo tra i parenti o gli amici intimi, escludendo chiunque volesse partecipare. Queste dinamiche interne portarono a critiche e malcontento generale. I portatori realizzavano tra loro una sorta di gara a chi facesse l’offerta più cospicua al Santo.
Nel tempo i cavalieri divennero autoritari e sempre più autonomi dagli accordi ecclesiastici. Per tali motivi e per evitare critiche ed esempi poco corretti, verso il 1906 il Clero locale pensò di sciogliere i cavalieri, dando la possibilità a tutti i devoti uomini e perfino alle donne capaci, di portare le immagini del Santo Patrono, ridefinendo i portatori come ‘le gambe umane di San Filippo Neri’. Solitamente le ‘Figlie Spirituali del Santo della Gioia’, sostenevano i lacci posti ai lati della base, simbolo del legame di fedeltà, filialità e devozione, richiamo al sacro cingolo francescano. Venne eliminata la divisa e chi voleva poteva portare il Santo con gli abiti festivi, che venivano confezionati per l’occasione. Venne ripristinata l’antica ‘licita’ o asta a pagamento, precedente alla creazione dei cavalieri, che permetteva al miglior offerente di aggiudicarsi il trasporto a spalle del Santo, anche per conto terzi. Si giunse anche a versare offerte proporzionali al metraggio del cammino processionale. Queste iniziative vantaggiose divennero motivo di litigi, invidie, scandali e contrasti, perciò con la prima guerra mondiale, i portatori potettero partecipare liberamente al trasporto delle statue del Santo lasciando un personale contributo e prenotandosi non più presso l’Arciprete, ma rivolgendosi direttamente alla Deputazione Patronale, che raccoglieva le offerte.
Dopo la seconda guerra mondiale i portatori divennero liberi volontari diretti dalla Deputazione Patronale. Più recentemente stato costituito un ben organizzato e disciplinato gruppo di portatori chiamato ‘ La Compagnia di San Filippo Neri’, guidati da un capo squadra e dotati di vestito nero di rappresentanza costituito da giacca, pantaloni e scarpe, camicia e guanti bianchi, con cravatta rossa raffigurante l’effigie del Santo Patrono.
I nuovi Cavalieri di San Filippo Neri operano garantendo una proficua e seria collaborazione con il Comitato Festa Patronale.
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26 Maggio 2023