L’arciprete Spada
Duecento sessanta anni fa moriva l’arciprete gioiese Onofrio Spada. Una strada del Centro Storico, che parte da Via Del Mercato, dalla quale si accede per mezzo di alcuni gradini adiacenti un panificio, e termina all’incrocio di Via Bernal, dopo aver superato la piazzetta antistante la Chiesa di Sant’Andrea, è stata intitolata all’arciprete Spada. Il nostro […]
Duecento sessanta anni fa moriva l’arciprete gioiese Onofrio Spada.
Una strada del Centro Storico, che parte da Via Del Mercato, dalla quale si accede per mezzo di alcuni gradini adiacenti un panificio, e termina all’incrocio di Via Bernal, dopo aver superato la piazzetta antistante la Chiesa di Sant’Andrea, è stata intitolata all’arciprete Spada.
Il nostro concittadino e studioso della storia di Gioia, Vito Umberto Celiberti nella Storia documentaria di Gioia del Colle dalle origini a Roberto d’Angiò, rifacendosi ad una ricerca del padre Armando, riporta che una sessantina di anni fa, mentre si stava demolendo una decrepita abitazione ubicata quasi ai margini del centro storico gioiese (verosimilmente quella all’incrocio tra Via del Mercato e Via Spada), fu rinvenuta sotto l’intonaco una moneta bronzea bizantina dell’imperatore Giovanni Zemisce (969-975). Ricorda ancora che la consuetudine di cementare monete correnti nelle mura delle case in costruzione a scopo propiziatorio-religioso (il che serviva anche come datazione) è molto antica e non infrequente ancora oggi.
Lo stesso Vito Umberto Celiberti, inoltre, nel testo Onomastica stradale di Gioia del Colle e del suo agro ci dà notizia dell’arciprete don Antonio Spada.L’abate Francesco Paolo Losapio nel suo Quadro istorico-poetico sulle vicende di Gioia in Bari detta anche Livia, nella Galleria in sonetti di ritratti istorico-poetici della Collegiata insigne di Gioja in Bari, nel XIV sonetto ci presenta la figura dell’arciprete dottor D. Onofrio Spada. Si tratta dello stesso personaggio indicato dal Celiberti con il nome di Antonio, essendo coincidenti le date di nascita e di morte dei due Spada. Anche il Catasto onciario del 1750 cita l’arciprete Onofrio Spada, il quale possedeva un beneficio della Madonna del Carmine.
Così riporta il Losapio in due quartine e due terzine in rima: Spada aguzza a due tagli era di Spada / La lingua co’ spergiuri e co’ profani / Di sante feste, a tal ch’un de’ Germani / Egli espose alla gogna in su la strada. /Fugò di fornicarii la masnada, / E fuor le mura gli apportò lontani; / Di Cristo il patrimonio fatto in brani / Ai poveri partillo per contrada. / Come Elia, che salendo al ciel lasciò / Il suo mantello ad Eliseo, così / A Paolo il coniugale anel legò. / Parte del suo peculio distribuì / Per suffraggi, per messe, ed insegnò, / Che nudo venne, e nudo non partì. (*)
Dopo aver concluso il sonetto il Losapio si dilunga nel parlarci più approfonditamente dell’arciprete Spada, che descrive come un sacerdote inflessibile ed imparziale nei confronti di notabili, poveri concittadini e parenti, che infrangevano la pubblica morale o non ottemperavano ai precetti della Chiesa.
(*) Il dottor D. Onofrio Spada nato a Gioja nell’anno 1694, morì nel 1761. Fu successore a Gatta. Spada si distinse più particolarmente, e caratteristicamente nel forzar i peccatori pubblici e scandalosi ai sentimenti di ravvedimento, e di resipiscenza, mentre la sua divisa era: Compelle intrare, impiegando sovente i rigori ecclesiastici, e le censure canoniche contro i ribelli, e gli ostinati. Non risparmiava soprattutto i bestemmiatori, i sacrileghi, i profanatori delle sante feste, ed i concubinarii scandalosi, deferendo i primi alle persecuzioni giuridiche, e li secondi alla pubblica penitenza, ed alla separazione dalla società, e comunione della chiesa, senza riguardo a chicchesia, e senza veruna parzialità. Tra gli altri contravventori del precetto ecclesiastico di santificare le feste, essendovi incorso un di lui fratello germano per nome Francesco Spada che in giorno di domenica era stato colto nel bosco a far legna con un’animale da soma, egli stesso in persona gli andò all’incontro per farlo condurre insieme coll’animale da soma avanti la porta della chiesa; sordo ad ogni mediazione, e preghiera, senza curarsi dell’onta e vergogna, che ne ricadevano sulla propria famiglia, l’assoggettò alla gogna, ossia all’umiliazione di starsene in ginocchione, e colle mani carpone a terra a guisa di un quadrupede con un’imbasto sulla schiena, e con una sporta di paglia sotto il muso, durante tutta la celebrazione della messa commentuale avanti la porta della chiesa sudetta, il di cui atrio formava parte della pubblica piazza. Due pubblici, e notorii concubinarii, uno per nome D. Giuseppe de Felici, per soprannome detto Giuseppe Logiusto, e tavolario di regia camera, e l’altro chiamato D. Francesco Losito alfiere giubilato, ed in ritiro, entrambi appartenenti a famiglie riguardevoli, dopo i soliti munitorii furono espulsi dal paese, ed obbligati ad abitare fuori dell’abitato, cioè il primo in una casa isolata al largo del pizzo di S. Francesco, ed il secondo nella casa di campagna del monistero anche di S. Francesco a Tarantino, oggi de’ signori Losito fino a tanto che ravveduti, e contriti non abbandonarono le loro sgualdrine. Si avverte che l’alfiere giubilato dal servizio militare non apparteneva all’attuale famiglia Losito.
Questo arciprete col suo testamento stipolato da notar Gervasio Scarpetta a 28 ottobre 1759, due anni prima di morire, legò una somma da distribuirsi pubblicamente a’ poveri, communicò ad aures del suo confessore canonico D. Paolo Catucci le sue segrete disposizioni di beneficenza, e carità ai poveri vergognosi; legò al capitolo i suoi libri, arredi sagri, suppellettili ecclesiastiche, e personali, ed in punto di morte fe’ dono del suo anello arcipretile, che si tolse dal dito, e lo pose a quello del suo sudetto confessore Catucci, come se a guisa di Elia avesse lasciato il suo mantello ad Eliseo, per disegnarlo suo successore; profezia di fatto, che si verificò pienamente in persona di Catucci. Anche di lui si era verificata la profezia di Gatta, allorchè quel santo arciprete disse alla picciola nipote di Spada, che imparasse a stampare i biglietti di confessione dalla di lei maestra, che era la sorella dell’istesso Gatta, perché gli avrebbe fatto in mano al zio, il quale dovea succedergli nell’arcipretura.
Per mettere un cert’ordine nelle sue carità, ed elemosine, egli stesso le andava distribuendo per istrada, e per rioni, affinché non restassero trascurati gli stroppii, i valetudinarii, ed i vecchi, che non potevano sortire di casa. Serviva anche ciò per risparmiare i poveri vergognosi ai quali lasciava larghe distribuzioni sotto il colore di visita, di amicizia, e di familiarità, trattenendosi nelle case de’ medesimi.
La giurisdizione censoria del capitolo di infliggere pene correzionali, e leggiere ai canonici immorigerati ed altri chierici soggetti al medesimo, fu rigorosamente mantenuta sotto il governo di Spada. Egli stesso ne fu colpito mentr’era canonico per un caso curioso, e fu privato di due mesi di partecipazione.
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23 Gennaio 2021