Lo Scriptor Iohensis
Sia nel passato che al presente le Scuole di Gioia si sono distinte per impegno degli studenti, per professionalità dei docenti, per l’ampia offerta formativa realizzata. In passato Gioia è stata all’avanguardia in vari settori della vita pubblica e sociale e si è distinta per la presenza di uomini che hanno lasciato un segno in […]
Sia nel passato che al presente le Scuole di Gioia si sono distinte per impegno degli studenti, per professionalità dei docenti, per l’ampia offerta formativa realizzata.
In passato Gioia è stata all’avanguardia in vari settori della vita pubblica e sociale e si è distinta per la presenza di uomini che hanno lasciato un segno in ambito locale, regionale ed extraregionale.
Nella Biblioteca Vaticana è presente la cosiddetta Bibbia di Manfredi, opera manoscritta firmata dallo scriptor Iohensis, uno scrittore di Gioia che operava alla corte del principe Manfredi. Lo stesso Iohensis ha firmato una Bibbia presente nella Biblioteca Nazionale di Parigi.
Non sappiamo con certezza se una scuola di scrittori amanuensi fosse presente a Gioia in epoca sveva; è certo però che nel Duecento un gioiese svolgeva il compito di scrittore e amanuense e probabilmente anche di miniaturista.
Tra i primi studiosi ad interessarsi dello scriptor Johensis va ricordato il prof. Antonio Donvito.
Veniamo a conoscenza dell’esistenza di questo personaggio da un lavoro completato dallo stesso amanuense che si firma non con il suo nome e cognome, ma con il solo appellativo Iohensis, sicuro di essere identificato correttamente in presenza di quell’unica indicazione.L’amanuense, infatti, dopo aver completato il compito assegnatogli si rivolge al suo datore di lavoro o mecenate, il principe Manfredi, figlio di Federico II, con queste parole: Princeps Mainfride regali styrpe create accipe quod scrpsit Iohensis scriptor et ipsum digneris solita letificare manu. Iohensis.
Sottolinea ben due volte che si tratta dello scrittore Iohense, indicazione che ci riporta ad un abitante di Ioha, nome con cui nel XIII secolo, era denominato il nostro Comune.
L’opera in questione è appunto la cosiddetta Bibbia di Manfredi, che viene conservata nella Biblioteca Vaticana.
La stessa firma la ritroviamo in calce al colofone della Bibbia conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi: Explicit, expliceat, ludere scriptor eat Iohensis.
Il nome Iohensis compare anche nel poema di Pietro da Eboli, manoscritto palatino 236, Nomina et virtutes balneorum seu de Balneis Puteolorum et Baiarum.
La studiosa Angela Daneu Lattanzi, la quale ha dedicato al manoscritto un approfondito studio, ritiene che il copista sia originario di Gioia del Colle.
Lo studioso C. M. Kauffmann, afferma che è verosimile che il termine Iohensis derivi da Gioia del Colle non solo perché era il paese più grande rispetto a Gioia Sannitica, ma anche perché, a differenza di quella, per Gioia del Colle c’è una prova sufficiente per dimostrare che nel tredicesimo secolo veniva chiamata sicuramente Ioha. Dello stesso parere sono gli studiosi A. Daneu-Lattanzi, N. Spinoza e H. Toubert, i quali sostengono che Iohensis si riferisce a Gioia del Colle.
Nella tesi di laurea “Descrizione del Codice Angelicano 1474” l’autrice giunge alle seguenti conclusioni.
L’analisi del codice Angelicano 1474 ha posto in evidenza alcune problematiche connesse, in senso più generale, alla metodica paleografica relativa a codici del tardo Medioevo privi di precise indicazioni topiche e cronologiche.
Nonostante infatti il manoscritto rechi in fine la sottoscrizione del copista, questa si limita ad indicarne soltanto il nome, senza ulteriori specificazioni. Tuttavia questa sia pur minima traccia è servita a delimitare almeno l’ambiente nel quale il codice è stato prodotto: si tratta difatti di una mano di scrivente professionista attivo circa nella metà del secolo XIII e attivo presso la corte Sveva. Tali conclusioni sono suggerite da numerosi indizi:
- il copista Johensis è conosciuto come trascrittore di altri due codici, uno dei quali è la cosiddetta «Bibbia di Manfredi» e dunque prodotta nell’ambiente della corte;
- il manoscritto è riccamente illustrato e, sebbene non è possibile attribuire l’opera del miniatore ad una precisa scuola, essa si inserisce nel panorama coevo dell’Italia meridionale;
- la presenza di una così ricca serie di illustrazioni presuppone un fruitore facoltoso che ben si accorda con l’ipotesi di una committenza reale;
- la scrittura di Johensis, seppure con le difficoltà di individuare caratteristiche locali nell’insieme delle litterae textualis prodotte in Italia, si inserisce anch’essa bene nell’insieme grafico testimoniato da vari codici che per ragioni diverse sono stati attribuiti a questa zona e a questo periodo cronologico;
- il testo infine, per i suoi puntuali riferimenti geografici a località precisamente ubicate nell’entroterra napoletano, per la dedica all’imperatore, per le traduzioni in volgare meridionale che caratterizzano la sua tradizione; per i legami testuali con gli insegnamenti medici impartiti dalla prestigiosa Scuola medica salernitana, è anch’esso da ritenersi prodotto di quella zona.
Più in particolare per quanto riguarda la scrittura utilizzata da Johensis sono stati istituiti confronti con due manoscritti contenenti la traduzioni del trattato medico conosciuto come Al–Hawi, Vat. lat. 2398-2399 e Par. lat. 6912 (1-5), entrambi più tardi ma sempre di area italomeridionale e anzi probabilmente napoletani. Il confronto dell’insieme di questi codici ci indica nuovamente l’assenza di una tipizzazione locale della gotica in area meridionale, nonché l’influenza esercitata da un lato dalla Scuola medica salernitana, dall’altro dagli eclettici interessi di natura scientifica peculiari di Federico II. E’ noto infatti l’interesse che provava Federico II verso tutte le forme di cultura scientifica e la curiosità nonché l’attenzione che dedicava ai fenomeni naturali, tanto che non si può escludere che egli stesso sia rimasto impressionato dalla singolare attività fumarolica e idrominerale della zona dei Campi Flegrei.
In conclusione, lo studio paleografico e codicologico di questo manoscritto ha proposto anche un indagine condotta sotto diverse prospettive tutte finalizzate ad una maggiore valutazione del codice nel suo complesso.
È singolare la presenza della connotazione Iohensis in opere manoscritte, che in genere erano riservate ad amanuensi in gran parte provenienti da ambienti religiosi, i quali consuetudinariamente mantenevano l’anonimato.
Al di là del racconto leggendario della nascita di Manfredi nel castello di Gioia, non abbiamo notizie di una presenza stabile del Principe a Gioia e quindi dell’esistenza di una Schola scriptoria nel nostro Comune.
Sembra improbabile che una Schola scriptoria fosse presente a Gioia nel secolo XIII, nonostante il tessuto socio-culturale di un certo rilievo in essa presente.
Iohensis, dunque, potrebbe indicare la città di nascita dello scriptor, il quale però operava presso la corte di re Manfredi in altro paese, forse Palermo, sede della corte federiciana e della prima Scuola poetica, oppure Napoli, sede della Università fondata da Federico II o una città campana, come farebbe ipotizzare il codice De balneis Puteolorum, o anche Foggia, residenza imperiale preferita di Federico e sede regale di incontri e di conviti anche sotto il regno di Manfredi, tanto da nel 1260 a Foggia si tenne la Curia solemnis, o persino Lucera, una delle più importanti residenze fortificate federiciane.
È pur vero che Federico II scrisse o fece scrivere in Gioia, su sua indicazione, sette lettere, ma da sole queste non ci danno la certezza di una presenza a Gioia di una Schola scriptoria.
Il 22 novembre 1222, infatti, Federico II scrive alcune lettere (datum apud Ioham XXII novembris, XI indicatione), con le quali si affretta a sconfessare la condotta di Gonzalino, suo legato nella Marca Anconetana e nel Ducato di Spoleto, intimandogli di revocare qualsiasi disposizione emanata contro la sua volontà a danno della Chiesa Romana ed esprimeva il suo rammarico al Papa ed ai Cardinali per quanto era accaduto. Le sette lettere sono indirizzate: 1- Al Sacro Collegio dei Cardinali, 2- agli Spoletani, 3- al suo dapifer Gonzalino, 4- a Bertoldo, figlio del defunto duca di Spoleto, 5- al Papa Onorio III, 6- ai marchesi e Vescovi di Fermo, 7- ai marchesi e Vescovi di Assisi.
Lo scriptor era una figura di grande rilevanza sociale nel Medioevo e se effettivamente era nativo di Gioia del Colle, questa ipotesi rafforzerebbe la certezza, già palesemente accreditata, che in quel periodo in Gioia vi era una classe sociale di tutto rispetto, che la rendeva un centro all’avanguardia nel contesto regionale.
Dai pochi documenti del passato (il Codice Diplomatico Barese, IV, 45, del 1071, il Codice Diplomatico Barese, I, 32 del 1087 e il Codice Diplomatico Barese V, 50 del 1108) attingiamo notizie che in quei periodi il casalis Ioha era un abitato conosciuto nel quale si stava affermando una classe emergente di cittadini in grado di occupare posti di rilievo non solo all’interno della vita cittadina, ma anche in quella dei casali limitrofi. Nel periodo in cui visse Federico II, come è attestato dal Codice Diplomatico Barese I, Gioia era già passata al dominio regio, alle dirette dipendenze dell’imperatore; un periodo che ha visto la presenza di una classe sociale di prestigio formata da compluribus bonis hominibus: notai, cavalieri, artigiani, giudici, baiuli, sacerdoti, proprietari terrieri e proprietari di case.
Infatti nel 1242, Federico II con l’emanazione di alcuni bandi e con la coscrizione civile mirava al ripopolamento di Altamura, garantendo alcune concessioni a coloro che avessero voluto trasferirsi in quella città. I numerosi gioiesi che accettarono di trasferirsi ad Altamura ottennero l’esonero decennale dalla colletta. Come apprendiamo dal Codice Diplomatico Barese, XII, molti gioiesi, tra cui notai, avvocati, sacerdoti di rito latino e greco, uomini di cultura e esperti di attività agricole si trasferirono ad Altamura per formare il nuovo ceto dirigente cittadino sia civile che religioso, anche se, trascorsi i dieci anni, solo alcuni di essi fecero ritorno a Gioia.
La dedica che lo Iohensis fa a Manfredi, l’immagine di Manfredi riportata nella miniatura e la richiesta di ricompensa al Principe fanno ritenere la sua vicinanza alla corte e al sovrano, che da mecenate proteggeva gli artisti, gli amanuensi e miniaturisti.
Nella stessa miniatura sarebbe stata disegnata l’immagine dello scriptor Iohensis, quella più piccola delle tre, ritratta in ginocchio con in una mano una penna intinta nell’inchiostro e nell’altra una pergamena, il quale assiste alla consegna della Bibbia a Manfredi da parte di un dignitario di corte.
La presenza della sua immagine e la firma sono il segno dell’importanza che nel Duecento rivestiva l’amanuense in generale, e lo Iohensis in particolare, non solo nella società cittadina, ma anche presso il sovrano, che aveva una grande considerazione del suo ruolo, avvalorata anche dalla sua spiccata cura ed eleganza scriptoria che lo portava a competere ad armi pari, se non ad essere superiore, con i rappresentanti delle altre Scholae scriptoriae all’avanguardia nell’Europa duecentesca.
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12 Ottobre 2020