La famiglia Soria a Gioia del Colle
L’Apprezzo della Terra di Gioia del 1640 dice: Fuori da detta terra dalla parte del Castello, accosto la Porta Maggiore, è un Convento di S. Domenico. Federico de Silva (nobile spagnolo sceso in Italia al seguito degli Aragonesi) nel sec. XVII sistemò il Convento e la Chiesa. Non è il solo personaggio spagnolo che troviamo […]
L’Apprezzo della Terra di Gioia del 1640 dice: Fuori da detta terra dalla parte del Castello, accosto la Porta Maggiore, è un Convento di S. Domenico. Federico de Silva (nobile spagnolo sceso in Italia al seguito degli Aragonesi) nel sec. XVII sistemò il Convento e la Chiesa.
Non è il solo personaggio spagnolo che troviamo a Gioia del Colle. All’ascesa al trono di Federico d’Aragona, zio di Ferrandino, il regno di Napoli viene conteso tra Luigi XI di Francia e Ferdinando il Cattolico, di Spagna. I Francesi vengono sconfitti e il Regno di Napoli resta in mano degli Spagnoli, diventando Vice Reame Spagnolo nel 1504.
Come gli Albanesi hanno lasciato traccia della loro presenza con il borgo cha da loro prende nome e dai toponimi e cognomi che si sono perpetuati, così anche gli spagnoli hanno lasciato il segno della loro presenza a Gioia attraverso i cognomi di numerose famiglie. Ricordiamo che molti cognomi terminanti in –is sono di provenienza spagnola ( De Leonardis, Jacobellis, ecc. ).Anche il cognome Soria è di origine spagnola, deriva dal paese di Soria, città nella Castiglia Leon, a confine con l’Aragona.
Con molta probabilità i Soria vengono in Italia meridionale, ormai dominio spagnolo, nella seconda metà del Cinquecento. La loro presenza a Gioia è attestata nell’ultimo ventennio del 1500, come si evince da alcuni atti di matrimonio, nozze celebrate nella Chiesa Madre.
L’abate Franceso Paolo Losapio nella Cornice al Quadro Istorico-poetico sulle vicende di Gioia in Bari detta anche Livia, pag.175, afferma: Altre famiglie emersero specchiate, / E perdurano ancora con non poche / Delle pria menzionate. Due fratelli / Nell’un dritto e nell’altro ambi dottori /Diè là Soria, canonico un Lonardo/ Ed un Donato: ma di questo tronco / Il più fiorito ed orgoglioso ramo / Fu Don Pasqual, genio sublime, ad essi / Nipote e d’essi più profondo e dotto / Nella scienza del dritto; franco ingegno, / Filosofo, orator, avea sul labbro / Di Demostene i fulmini e di Tullio / L’inessicabil, ricca e dolce vena; / Noto nelle Gran Corti e Tribunali / Di tutto il regno, ove sedea maestro / Di consigli e dottrine, che risalto / Avean maggior nella sua bocca e gesto: / Vivono i scritti suoi, le sue difese, / Alla studiosa gioventù modelli / Nel Foro, e vivran sempre; e col suo nome / Congiunto andrà nella natia sua terra / Il grido, abbenchè questa d’un tal figlio / Si duol, perché non sempre della madre / Il partito sostenne e la ragione.
L’arcidiacono Michele Garruba parlando dei Soria, come aveva fatto l’abate Losapio, afferma: Pasquale Soria, profondo filosofo ed eloquentissimo oratore: nei diversi tribunali della Capitale, ed in quelli segnatamente della nostra provincia, fe’ chiara com’ei possedea in grado eminente e la robustezza dello argomentare di Demostene, e la mellifluità ed abbondanza di Cicerone. Molte memorie legali ei mise a stampa, e ciascuna porta l’impronta del suo genio e della sua maschia eloquenza. Rapito precocemente ed in fresca età si moriva in Trani nell’anno 1821, ai 26 di marzo, lasciando vivo desiderio di sé.
Negli atti di vendita, effettuata nel 1664, del patrimonio del marchese Paride Pinnelli, che fu feudatario di Gioia dal 1614 al 1623, nel 1630, il quale si era aggiudicato all’asta le terre di Acquaviva e di Gioia, si cita un Diego Soria senior.
A Napoli nella Chiesa della Pietà dei Turchini una lapide risalente agli inizi del milleseicento cita un Diego Soria, avvocato, il cui figlio diventò marchese di Crispano (NA). Il marchese nel 1640 fu inviato a Gioia per favorire il prelievo di grano necessario ad approvvigionare Napoli.
Nel volume La Storia di Messina nello sviluppo della sua vita comunale (1939) il prof. Piero Chiari riporta la notizia di un Don Diego Soria che nel 1672 fu inviato dal Vicereame Spagnolo a Messina, in qualità di stratigoto (magistrato cittadino dotato di competenze essenzialmente giudiziarie), a causa di una discordia che era lì scoppiata. Per il suo atteggiamento intransigente il Soria venne dichiarato odioso dal Gran Consiglio di Messina.
Un Don Diego Soria Morales morì nel 1697.
Un altro Diego Soria visse nella metà dell’Ottocento. Era figlio di Cesare Soria e fratello di Carlo, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello delle Puglie. Fu uomo assai dotto, scrittore, patriota, che visse buona parte all’Estero, particolarmente a Bruxelles, ove dettò e pubblicò lezioni di Diritto Pubblico. Di lui ci rimangono le seguenti opere: Elogio storico di Luigi Chiaverini, Napoli 1834, – Storia della Grecia dal 1824 in poi, (tre volumi) Napoli, 1840, Histoire Générale d’Italie, Parigi, 1859, oltre ad opere tipicamente giuridiche.
Fanno parte della famiglia Soria: Francesco Soria senior, figlio di Leonardo Antonio e fratello del sacerdote, dott. Donatantonio, suo figlio Giuseppe Nicola Soria. Da quest’ultimo nella seconda metà del Settecento nacquero: Francesco junior, che morì a Napoli nel 1815, Cesare, che morì nel 1839, Domenico che morì nel 1829 e Pasquale che morì nel 1821.
Tra i figli di Francesco Soria va ricordato Donatantonio, bravo medico e onesto padre e cittadino, il quale esercitò la sua professione a Gioia e morì nel 1864, all’età di 73 anni, dopo aver ripianato i debiti ereditati dal padre e ricostituito il patrimonio familiare.
La famiglia Soria ha avuto un ruolo importante nella vita sociale e politica di Gioia del Colle. Alcuni membri di questa famiglia hanno ricoperto la massima carica istituzione cittadina: quella di Sindaco. Nel 1672-73 svolse la funzione di sindaco il notaio Vitantonio Soria. Negli anni 1738-39 viene eletto sindaco di Gioia Francesco Soria senior, figlio di Leonardo Antonio e fratello del sacerdote don Donatantonio.
Un altro Soria, Francesco junior, è stato sindaco dal 1792 al 1793 e dal 1796 al 1797. Negli anni 1889-90 ha svolto la funzione di sindaco il cav. Enrico Soria.
Un avvocato D. Vincenzo Soria lo troviamo nel 1793 come testimone ed accusatore di Emanuele De Deo; confermò il suo gesto compiuto durante il banchetto nella casa di Innocenza Sala-Buttiglione il 26 maggio 1793, durante il quale, dopo aver parlato del sistema politico-sociale attuato in Francia a seguito della Rivoluzione francese, affermò il diritto dei popoli a detronizzare e condannare i sovrani quando questi da garanti di libertà e giustizia, da promotori di benessere e di cultura diventavano despoti ed oppressori dei loro sudditi e che la sorte del re Ferdinando IV e di sua moglie Maria Carolina era segnata. Il Soria disse che De Deo, preso dalla eccitazione del discorso, dopo aver brandito un coltello da tavola, andò ad insultare il ritratto di S. Maestà, in atto di volerlo trafiggere.
La famiglia Soria ha dato due Onorevoli: Teodorico Soria, arrestato e perseguitato dai Borboni, terzo deputato gioiese al Parlamento nel 1870 e Michelangelo.
Adolfo Soria fu un valoroso generale durante la Prima Guerra Mondiale.
Carlo Soria, fu Primo Procuratore Generale del Re, presso la Corte di Appello di Trani, paese in cui andarono ad abitare i Soria; nei pressi del porto di Trani si può ammirare il loro sontuoso palazzo.
Numerosi esponenti di questa famiglia esercitarono la professione di avvocati, tra cui Francesco, Cesare e Pasquale.
I Soria nel 1742 intrapresero una lunga causa contro il Comune di Gioia e il Reverendo Capitolo della Chiesa Madre perché accusati di indebita appropriazione di un grosso demanio nella contrada Marzagaglia. La causa dopo alterne vicende fu vinta dal Comune. Con la legge del 2-8-1806 Giuseppe Napoleone sancì l’abolizione della feudalità. Con successiva legge del giorno 1-9-1806 si ordinò la ripartizione dei demani. Ma già nel 1807 ci sono una quindicina di proprietari che occupano abusivamente parte del territorio demaniale, circa 2500/2700 ha, tra cui i Cassano e i Soria, i quali erano disposti a pagare un canone. Alcuni proprietari, però, tra cui i Soria e i Cassano nel 1827 furono chiamati davanti alla Commissione di Rivendica, per aver occupato il demanio di Marzagaglia. Marcellino Cassano (il nonno del futuro sindaco) e Cesare Soria si opposero a qualsiasi conciliazione, come si legge negli Atti Demaniali presenti presso l’Archivio di Stato di Bari.
Con legge del 17-8-1809 veniva decretata la soppressione definitiva e radicale di tutti gli Ordini religiosi possidenti ( a Gioia il provvedimento riguardava il convento dei Domenicani e quello dei Francescani).
Nel 1810 il Comune di Gioia disponeva di 5.712 tomoli di terreni demaniali potenzialmente quotizzabili e da assegnarsi ai contadini poveri.
Vaste terre demaniali, feudali ed ecclesiastiche tenute in colonia dai grandi proprietari terrieri con le leggi eversive diventarono di loro diretta proprietà.
Mentre i terreni nell’agro di Gioia furono quotizzati e sorteggiati tra i proletari, quelli nelle vicinanze del paese, circa 800 ha, furono messi in vendita. Ne beneficiarono cinque famiglie della borghesia terriera di Gioia, tra cui i Bonavoglia, i Calabrese, i Soria, i Cassano, che avevano maggiori disponibilità finanziarie. Nel 1834 si addivenne ad un accordo: ritenere una discreta porzione di terreni occupati, pagando il canone al Comune e lasciando il resto libero.
Complessa è la vertenza promossa nel 1842 dal Comune di Gioia verso un membro della famiglia Soria, per varie usurpazioni.
Sulle questioni demaniali il Decurionato di Gioia insiste sullo scioglimento delle promiscuità fra Comune e Capitolo, come fra Comune e privati cittadini.
E infatti nel 1835 vengono notificati atti a 102 possessori occupatori del Demanio Comunale Parata e Marzagaglia, per tentare una conciliazione. Contro tali intimazioni reagiscono particolarmente i signori Marcellino Cassano e Cesare Soria, per cui il Comune è costretto ad adire le vie legali.
L’usurpazione delle terre demaniali da parte dei maggiorenti gioiesi, tra cui professionisti di chiara fama, benemeriti di istituzioni cittadine, patrioti insigni i cui nomi si leggono nei libri di storia e sono incisi nel marmo e hanno sofferto nelle patrie galere a causa delle loro idee di libertà e di giustizia, era stata trasformata nel 1842 in possesso di proprietà con il pagamento di un canone annuo al Comune di Gioia.
Poiché Carlo Soria, Sostituto Procuratore della Corte di Appello di Napoli, avendo la residenza a Trani, non pagava tale canone, il Sindaco si rivolse al Prefetto per ottenere quanto dovuto. Il Prefetto impose al Soria di eleggere il suo domicilio nel Comune di Gioia del Colle.
Con la vendita dei demani comunali si diede vita alla formazione della grande proprietà terriera.
Il 1800 si apre a Gioia con una svolta importante. Infatti il 2 gennaio la Suprema Giunta di Stato di Napoli ordina al Signor Ufficiale della Residenza doganale di Gioia, con l’assistenza fiscale del Capitano D. Francesco Soria, il sequestro dei beni posseduti dal Principe don Carlo De Mari, accusato da Francesco Soria quale reo di stato.
I Soria, forti del loro ruolo di prestigio in seno all’Amministrazione comunale, con il pretesto che l’Università di Gioia era fortemente debitrice nei loro confronti, occuparono quasi un quarto del demanio, su cui insistevano due loro masserie, cingendolo di pariete, cacciandone li cittadini che vi coltivavano le terre e proibendo ad altri che vi esercitassero i loro diritti civici. La causa con il Capitolo agli inizi dell’Ottocento, per il possesso di altre terre andò avanti per circa un secolo e si concluse con un accordo che nella sostanza era favorevole ai Soria.
Un ruolo di primo piano assunsero i Soria nelle tristi vicende che coinvolsero Gioia nel 1799, che portarono alla morte di alcuni Martiri.
Il 20 febbraio nel 1799 alcuni casali o Comuni strinsero tra di loro un patto di concordia e di alleanza per aiutare i Comuni rimasti fedeli ai Borboni per combattere contro coloro che si erano ribellati ai legittimi sovrani. Tra questi Comuni aderì anche Gioia, adesione, si disse, partita da Francesco Soria. In quella circostanza la famiglia Soria si schierò in parte con i Borboni e in parte con i rivoluzionari.
Con la proclamazione della Repubblica Partenopea nel 1799 il giurista Pasquale Soria, filorepubblicano, fu scarcerato e inviato in Puglia come Commissario organizzatore. Venne a Gioia, dove l’aveva preceduto il fratello Francesco, il quale aveva fatto piantare l’albero della libertà e si era espresso contro la monarchia borbonica. In un secondo momento Francesco Soria da simpatizzante della rivoluzione giacobina divenne capo del partito realista; accolse l’invito del filoborbonico principe De Mari, feudatario di Gioia, Acquaviva e Castellaneta, di organizzare la resistenza antifrancese. Fu probabilmente Francesco Soria ad abbattere l’albero della libertà che era stato issato anche da lui a Gioia qualche giorno prima e fece imprigionare coloro che avevano dato vita alla nuova municipalità repubblicana, appartenenti alla classe dei possidenti, tra cui i fratelli Del Re, suoi acerrimi nemici.
Il 12 febbraio 1799 il sacerdote laico Francesco Soria, ottimo oratore, parlando dal pulpito della Chiesa Madre incita i presenti alla controrivoluzione. Infatti il 13 febbraio una folla in tumulto, istigata probabilmente dai luogotenenti del Soria, si dirige nella piazza della Chiesa Madre e spianta e brucia l’albero della Libertà; di sera dà l’assalto alla case di alcuni giacobini e successivamente ne arrestano.
L’arresto di questi possidenti servì a scatenare la reazione e la vendetta del popolo che il 14 febbraio assaltò il carcere e uccise barbaramente i reclusi. Il sacerdote Francesco Soria si pone alla testa di un corteo che si dirige in Piazza Castello, luogo dell’eccidio. Dopo aver disperso al vento le ceneri dei rivoluzionari uccisi, il Soria dichiara conclusa la rivoluzione.
Dalla relazione che fu fatta di quegli avvenimenti alcuni testimoni filoborbonici scagionarono Francesco Soria dall’accusa di essere stato il fomentatore degli avvenimenti che portarono al saccheggio delle case e alla morte dei possidenti, addossandone la colpa alla rabbia, alla violenza e all’odio della popolazione nei loro confronti, rei di aver ridotto alla miseria il popolo gioiese. Il Soria non solo non avrebbe preso parte agli eccidi al saccheggio e all’uccisione dei filorepubblicani, ma avrebbe esercitato la sua influenza per sedare i tumulti, riportare la pace e l’ordine nel paese, servendosi, a questo scopo, anche di una esortazione, tenuta nella Chiesa Madre, con la quale invitava il popolo a desistere dal commettere azioni criminose e impugnare le armi al solo scopo di combattere contro i nemici. Queste conclusioni si basavano su dichiarazioni di parte: il sindaco Chimienti, suocero del Soria, e l’arciprete Catucci, acceso filoborbonico. Infatti Ciccio Soria lo troviamo il 21 febbraio a Santeramo a capo di alcuni uomini gioiesi intenzionati a dare una lezione ai giacobini locali, che chiedevano la spartizione delle terre, e abbattono l’albero della libertà, saccheggiano la casa di un rivoluzionario e issano la bandiera borbonica.
A Francesco Soria fu affidato, con il grado di Generale, il comando di un esercito improvvisato formato di elementi provenienti dai paesi circostanti, armati di attrezzi agricoli, come zappe e falcioni.
Il fratello Pasquale, invece, restò fedele agli ideali democratici e repubblicani e, per evitare di finire in carcere, lasciò il suo paese e si rifugiò presso l’Armata Francese
Pasquale Soria, che era stato imprigionato a Napoli nel 1797 per aver sposato la causa della libertà, da lui sempre sostenuta nello scrivere e nel parlare, dopo essere stato riimesso in libertà fu nuovamente imprigionato per aver ingiuriato il generale Acton, nella sua funzione di Primo Ministro del Governo borbonico. Nelle suppliche per la sua scarcerazione Pasquale Soria diceva: Sire, l’avvocato D. Pasquale Soria detenuto nel Carcere di Trani umiliato al vostro Real Trono viene a dolersi della lunga tirannica oppressione che soffre. Il Supplicante lotta da nove anni con un giudizio ingiusto… Perciò il Supplicante viene a chiederle due grazie: la prima che si ordini alla Commissione di dover subito procedere alla decisione della causa già trattata. La seconda che si ordini al signor Duca di Laurenzana di dover trasmettere, e senza alcun intervallo di tempo, tutte le carte.
Un ordine della Reale Segreteria di Stato a fine settembre del 1799 gli impose di tornare a vita privata e venne a Gioia, dove entrò in combutta con gli altri fratelli Cesare e Damiano.
Il re Ferdinando I nel 1816 accordò alla signora Apollonia Chimienti, vedova di don Ciccio Soria, una pensione di annui 120 ducati. A gennaio del 1818 il re accordò un sussidio mensile di ducati 10 al figlio del Soria, Donatantonio, per completare i suoi studi.
Troviamo un Ciccio Soria che guida un gruppo di briganti nell’assedio di Andria.
Tesi sono stati i rapporti tra Pasquale e Francesco Soria in quel periodo, come si evince da una supplica del 1806 di Pasquale, nella quale dichiara di essere fedele alla Monarchia, a tutti i monarchi destinati dal Cielo a regnare per la felicità dei popoli. In un altro momento afferma di essere fedelissimo al governo francese, sommo, immortale ed adorato da tutti. E ancora in un altro passo Pasquale, parlando del fratello Francesco afferma che con il quale il supplicante per 18 anni continui è stato sempre in aperta discordia, che non ha mai trattato, col quale non ha mai convissuto e che nella lunga prigionia sofferta mai è venuto una volta.
Il fratello viene poi definito celebre capomassa della Puglia, alla taglia più volte dai suoi nemici, lui che sostenne l’armata cristiana colla presa totale del Regno. Francesco Soria corse a colpire i giovani scellerati, dediti ad organizzare contro alla Maestà Vostra la gioventù gioiese, non potendo distruggerli, per cui caddero ad un proponimento d’infamia, dimenticando la di lui nascita e la di lui condizione lo fecero accusare nel tribunale di Trani, come ladro di strada pubblica, bersaglio di mille delitti immaginari per i quali fu atrocemente martirizzato e carcerato due anni, non restituito alla sua libertà che con un dispaccio gloriosissimo di Vostra Maestà il quale impose il silenzio a tutti gli insulti.
Qualche anno dopo troviamo Francesco, che era stato scagionato, di nuovo al potere con il fratello Cesare, accusato di molestie ad una quattordicenne domestica al suo servizio e di un tentativo di uccisione.
Seguirono accuse di usurpazione e occupazione di parchi demaniali e appartenenti al capitolo di Gioia, di aggressioni a mano armata, di appropriazioni indebite, di peculato e di altri delitti, che finirono nel nulla.
I Soria avevano numerose proprietà non solo in Gioia, ma anche nell’agro circostante. In paese sono da ricordare Villa Soria, ancora oggi visibile in via Teodorico Soria, inglobata in una moderna costruzione condominiale e quella che un tempo era un grosso palazzo seicentesco, probabilmente dotato di fossato e di ponte levatoio, ubicato all’angolo tra Via Giovanni Prati e Via Flora, abbattuto qualche anno fa per far posto ad una moderna costruzione.
Nel 1829, sindaco Favale, furono prosciugati e bonificati il Lago Magno e quello di S. Pietro, che rendevano assai malsana l’aria cittadina e fonte di malaria.
Il Decurionato accettò l’offerta di Francesco Saverio Indellicati (lo stesso che nel 1822 aveva chiesto di acquistare un suolo adiacente la Torretta per costruire un palazzo e bonificare il sito dalla palude esistente in quel luogo), di bonificare le terre di Lagomagno e di san Pietro, con la concessione in affitto di quelle terre così bonificate, per un periodo di 9 anni, con un canone annuale di 10 ducati per Lagomagno e di 7 per san Pietro.
Anche il dott. Donatantonio Soria presentò offerta per disseccamento di Lago Magno, fornito di malaria, riducendolo a colonia per suo privato uso, pagando al Comune in perpetuo 20 carlini a tumulo.
Ai più rappresentativi e benemeriti componenti della famiglia Soria: Carlo, Pasquale e Teodorico Soria il Comune di Gioia ha intitolato una strada cittadina.
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9 Giugno 2020