Per una raccomandazione speciale…
… conviene puntare molto in alto. Il fenomeno è sempre esistito, a maggior ragione in tempo di crisi e scarsità di mezzi. Nella società romana antica, ad esempio, molti uomini liberi, ma di modesta condizione sociale, per sopravvivere si riducevano allo stato di clientes, quotidianamente alla ricerca di uno o più generosi patroni. Tale fu […]
… conviene puntare molto in alto. Il fenomeno è sempre esistito, a maggior ragione in tempo di crisi e scarsità di mezzi. Nella società romana antica, ad esempio, molti uomini liberi, ma di modesta condizione sociale, per sopravvivere si riducevano allo stato di clientes, quotidianamente alla ricerca di uno o più generosi patroni. Tale fu anche Giovenale, autore latino della prima metà del I sec. d.C., dopo aver esercitato per un periodo l'avvocatura: nelle sue satire descrisse efficacemente la vita amara del cliente, che ogni giorno all'alba e con qualunque tempo era costretto ad aggirarsi per le strade della città, pur di essere tra i primi a salutare il suo signore. Il patronus, se particolarmente ricco, aveva infatti uno stuolo di clientes, i quali al mattino affollavano l'atrio della sua casa per il rituale saluto, la salutatio matutina, e per rendersi disponibili a svolgere incarichi di vario tipo (dal disbrigo di pratiche burocratiche alla cura degli affari economici e patrimoniali, all'organizzazione della campagna elettorale in caso di candidatura del patrono), ricevendone in cambio innanzitutto la sportula, una cesta piena di vivande per il vitto giornaliero, poi sostituita da piccole somme di denaro, quindi protezione e assistenza giuridica in tribunale.
Una condizione decisamente umiliante quella del cliente romano, di totale subordinazione al patrono, per una pretesa superiorità di quest'ultimo dovuta a motivi di prestigio economico – sociale. Eppure non tutte le raccomandazioni sono uguali. Ve n'è una assolutamente dignitosa, anzi auspicabile, che non manca di avere buoni frutti, se abbinata ad onestà, impegno personale e spirito d'iniziativa, il tutto all'insegna di una fede sincera ed incondizionata, che comporti l'affidamento fiducioso della propria persona, in maniera diretta o indiretta, ad un'Entità trascendente, questa sì davvero superiore… L'intermediazione in questione è quella che definiamo "intercessione dei Santi", persone come noi, che ad un certo punto del loro percorso terreno hanno deciso di cambiare radicalmente rotta, facendosi guidare dal Sommo Bene nelle scelte della vita quotidiana.
A questi patroni celesti i genitori, spesso inconsapevolmente, affidano i propri neonati con l'attribuzione del nome di battesimo, proseguendo una tradizione che affonda le sue radici nel diritto romano, secondo cui il cliens ed il libertus, l'ex schiavo, assumevano accanto al loro nome quello del patronus, al quale restavano vincolati per il resto della vita.
Quando e perché sorse il culto dei Santi? Non subito, ma nel corso del IV-V secolo, un'epoca terribile, funestata dalle invasioni barbariche: ci si rivolgeva loro per invocare protezione e aiuto. Ambrogio, vescovo di Milano, e Paolino da Nola raccomandavano di affidarsi ai martiri e agli apostoli, perché straordinari difensori davanti al tribunale di Dio. In questo periodo si affermò l'usanza di farsi seppellire ad sanctos, cioè vicino alle tombe dei martiri, anche perché si riteneva che il loro sangue sarebbe fluito sulle proprie spoglie, purificandole.
Gradualmente il patrocinio del Santo si estese dalla sfera individuale a quella pubblica, sia religiosa, sia profana, coinvolgendo da un lato chiese ed istituzioni religiose, dall'altro associazioni di arti e mestieri e persino intere città. Si pensi in ambito profano alle vicende del culto di san Foca, che ha dato il suo nome ad una cittadina del Salento. Si diceva che Foca fosse figlio di un pescatore, per cui lo scelsero come protettore i pescatori, e forse anche i marinai: ciascuno gli offriva un pugno di farina durante la navigazione (ne portavano sempre un po' con sé sulla nave, da impastare e cuocere per i loro pasti frugali), e al termine del viaggio la farina così accumulata era donata ai poveri.
Nel Medioevo si fece incetta di reliquie di santi, una gara a chi ne possedesse di più, e gli altari pullulavano di reliquiari. Fu papa Urbano VIII (1623-1644) a fissare le modalità di scelta del Patrono: non un santo qualsiasi, ma qualcuno che fosse stato canonizzato dal Papa, se contemporaneo, o che fosse presente nel Martirologio romano universale, se vissuto in epoche passate; poteva essere scelto per antica tradizione o per legittima elezione, ottenuta a scrutinio segreto dei notabili e ratificata dalla Sacra congregatio dei riti, che si occupava anche delle cause dei santi. Per diventare Patrono di una città, la figura del Santo doveva, però, rispondere a determinati requisiti: in quella data città doveva esser nato, morto o aver compiuto un miracolo straordinario, oppure motivo della designazione poteva essere la presenza in loco di sue reliquie insigni (le parti nobili del corpo: testa, cuore, mani).
Al Santo prescelto si dedicava la porta della città, che poteva contare anche su più patroni, uno principale e gli altri secondari, come fu nel ‘600 a Napoli, a Lecce, a Matera. Quest'ultima situazione si riprodusse anche a Gioia: dal XIII secolo ne era patrona santa Sofia, alla quale si affiancò san Filippo come patrono secondario dal 1703, ma aequo principaliter, cioè sullo stesso piano, nel 1890. Qualche decennio prima, nel gennaio del 1860, il Decurionato (l'amministrazione locale) aveva chiesto a papa Pio IX e al re Francesco II il compatronato del sacerdote fiorentino, Filippo Neri, e del giovane laico francese, Rocco di Montpellier, entrambi invocati come protettori dalla popolazione gioiese, il primo dai terremoti, il secondo contro la peste, secondo la tradizione raccolta dall'abate Losapio.
Le motivazioni di queste due devozioni popolari non sembrano, però, corrispondere a verità storiche. Il culto di s. Rocco a Gioia, ad esempio, è anteriore all'epidemia di peste del 1656, cui si faceva risalire, poichè l'originaria cappella di S. Rocco "fuori le mura", nel sito dell'attuale chiesa, riedificata dalle fondamenta nel XIX secolo, esisteva già nel ‘500, come attestano gli Atti della Visita Pastorale, compiuta dall'arcivescovo Giulio Cesare Riccardi nel 1593, e la stessa statua di culto in pietra policromata del Santo, opera di Stefano da Putignano, scolpita nel 1530, come si legge nell'iscrizione alla base. Alla richiesta avanzata dai nostri amministratori, comunque, non seguì nessuna dichiarazione canonica; nel 1899 si ebbe la proclamazione del solo s. Filippo Neri a patrono di Gioia, mentre s. Rocco, pur venerato e solennemente festeggiato, non fu mai dichiarato compatrono.
Momento qualificante di ogni festa patronale è la cerimonia simbolica della consegna al Patrono delle chiavi della città. Di quest'antica usanza non si conoscono le origini, né il promotore o il significato; si possono solo formulare alcune ipotesi. La relativa rappresentazione è frequente nell'arte cristiana antica, in pittura come nella scultura: Gesù consegna a Pietro le chiavi, a Paolo il libro; le chiavi d'oro simboleggiano il cielo, quelle d'argento la terra.
Secondo il diritto romano le chiavi, spesso in riferimento ad un magazzino di merci, erano date dal proprietario ad una persona di fiducia, cui era affidata la mansione di custode. Risalendo indietro di parecchi secoli si ritrova una consuetudine simile nell'amministrazione patrimoniale della reggia o della casa greca aristocratica in epoca arcaica: se non proprio la moglie, era un'ancella di fiducia a ricevere in consegna dal padrone le chiavi della stanza del "tesoro", dove si conservavano le provviste alimentari e gli oggetti preziosi. Se ne deduce che da sempre le chiavi simboleggiano protezione e custodia, non potere.
Le chiavi sottendono, inoltre, un rapporto quotidiano e continuo col Santo, una relazione che viene esaltata nella festa patronale in maniera simbolica e che è tuttora operante nell'immaginario collettivo: ne è una conferma la folla che ogni anno si accalca per assistere all'evento della consegna, che per giovani ed anziani assolve ancora la funzione di scandire la successione del tempo laico nel tempo ecclesiastico. Esse vengono non solo consegnate, ma anche "imposte" al Santo, cioè materialmente collocate sul simulacro, non dal parroco ma dal legittimo detentore del potere laico, il Sindaco o un suo delegato. Anche il luogo ed il momento in cui si svolge la cerimonia, sul sagrato della chiesa principale, prima dell'avvio della processione nelle vie cittadine, sono significativi: essi rappresentano la conferma dell'affidamento e della custodia della città; è come se inconsciamente la gente chiedesse il rinnovo della consegna, ed il passaggio fisico del Santo ne fosse la risposta.
Il Patrono non esce dallo spazio sacro, il sagrato appunto, se non con le chiavi che lo autorizzano a percorrere lo spazio laico. Ciò implica che le città furono sempre laiche ed autonome, e tali rimasero anche nel Medioevo, poiché il Santo patrono non era certo considerato il padrone della città, bensì il custode dell'integrità fisica e poi morale dei suoi abitanti. Il sagrato era allo stesso tempo parte integrante dello spazio profano. Tra l'altro, la piazza principale, ovvero il centro propulsore della cittadina di Gioia nei secoli passati, non era Piazza Plebiscito, ma il largo prospicente la Chiesa Madre, un tempo molto più esteso, tanto che, ad esempio nel ‘500, vi si svolgevano le assemblee cittadine ed il mercato.
Con questo contributo, estratto da appunti e ricordi personali, si è inteso riproporre, per condividere con un'utenza più ampia, il contenuto dell'entusiasmante relazione dal titolo "Il Santo Patrono cittadino: origini e significato di un rapporto millenario", tenuta dal prof. Mario Girardi ìl 26 febbraio 2009 nel salone parrocchiale della Chiesa Madre, con il patrocinio del Consiglio Pastorale, della Commissione Cultura e del Comitato Festa Patronale S. Filippo Neri.
1 Novembre 2009