La Chiesa di San Francesco

Da un testamento, rogato in Gioia dal notaio Nicola De Capite il 14 settembre 1292, risulta che Reone Guarnita, di Gioia, morendo lasciò alla Chiesa di S. Francesco un bue tra i migliori. Tale testamento era firmato  dal frate Angelo e dal  Padre Guardiano dei Frati Minori, che si chiamava Fra’ Giacomo, il quale nel 1349 […]

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chiesadisfrancescoDa un testamento, rogato in Gioia dal notaio Nicola De Capite il 14 settembre 1292, risulta che Reone Guarnita, di Gioia, morendo lasciò alla Chiesa di S. Francesco un bue tra i migliori. Tale testamento era firmato  dal frate Angelo e dal  Padre Guardiano dei Frati Minori, che si chiamava Fra’ Giacomo, il quale nel 1349 fu eletto vescovo della soppressa Chiesa di Lettere, in provincia di Napoli.

Un diploma del 1363 ci dice che nella Chiesa di S. Francesco vi era il sarcofago della famiglia D’Andrano, che era chiuso da una lastra di marmo raffigurante la moglie di Nicolò D’Andrano, Giacchina, in posizione supina e con le mani giunte.

” La famiglia D’Andrano diede alla nostra città cavalieri, capitani, magistrati e con il suo mecenatismo l’arricchì di chiese, conventi e ospedali. Niccolò D’Andrano, padre di Luca, fece erigere la Chiesa ed il Convento di S. Francesco. All’interno della Chiesa vi era una cappella, detta Arca D’Andrano, in cui venivano sepolti i membri di quella famiglia.

Il figlio Luca, nato a Gioia alla fine del secolo XIII, personaggio illustre della corte del principe di Taranto, Filippo d’Angiò, del quale era Vicario, Giustiziere ed Erario, abbellì notevolmente queste opere recintandole ed aggiungendovi un ospedale.  Inoltre, abbiamo notizia di Roberto D’Andrano, testimone in un documento   rogato a Gioia nel 1267, e del figlio Angelo, in una transazione privata del 1301, entrambi gioiesi “. ( N. Bitetti, V.U. Celiberti, Onomastica stradale di Gioia del Colle e del suo agro,De Robertis, Putignano, 1969 ).

Anche Padre Bonaventura da Lama ricorda che  nella Chiesa  vi era l’altro sepolcro di marmo di nobil lavori per ordine di Luca D’Andrano, con un altare a modo di cappella vicino al sepolcro, piantato alla parte sinistra, prima di entrare alla porta del Choro, dove fu sepolta Jachina de Rebarbaro, moglie di Nicolò e consanguinea di re Roberto.

Il tabulario Federico Pinto nell’Apprezzo del 1611 afferma che  dentro la Terra (di Gioia)  vi è abbondanza di sorgente acque… e  si bene quelle, che se retrovano dentro la Terra sono salate, fuore di quella e non molto distante vi sono due sorgenze di fresche pure e cristalline acque, l’una detta di S. Francesco e l’altra nominata di S. Antonio. Lo stesso Pinto nella descrizione delle Chiese negli apprezzi di Gioia, il 1611 così riporta: … L’altra Chiesa nominata di S. Francesco servita da Frati conventuali…nella quale assistono cinque Frati  da  messa con un Guardiano. Vi è nella detta Chiesa un altare maggiore con un’altra Cona della Madonna. Vi sono ancora dell’altri altari Padronali sotto vocabulo di diversi Santi, con molti Tumoli Antiqui, dinotando molta antiquità; ci si celebra ogni giorno, ed è detta Chiesa di molta devozione e vi è concorso e frequenzia di molta gente, a divozione delle quali si celebrano da detti Frati Messe di  divozione;  e, oltre l’intrate, che detto Convento tiene per mantenimento di detti Frati, concorrono anche dalli benefattori di detto luoco molte elemosine…

L’architetto e tabulario Honofrio Tangho nel 1640 così scrive: Fuori detta Terra  ( Gioia ) è un convento de padri di S. Francesco con l’istesso titolo di S. Francesco della Scarpa, dove risiedono 4 padri sacerdoti, et 3 laici, qual vivono d’intrate comodamente, tenendo le stanze necessarie con tutta comodità, et giardino murato intorno. Vi è la Chiesa grande coverta con tetti. In testa è l’altare maggiore, dove risiede il santissimo, tene l’apparati necessari, con campanile con tre campane, et sacrestia…

L’abate Francesco Paolo Losapio nel canto III del suo Quadro Istorico-poetico sulle vicende di Gioia in Bari, detta anche Livia, afferma che a dovizia fondarono gli Andrani Ospedali, Cappelle e Monasteri… di tanti il Monaster di S. Francesco restò: tutto l’altro sparve… nel 1729 nel rifarsi la Chiesa del Convento… il suolo del palagio e l’ospedale, non men che le due Chiese  incorporaro i Frati nel giardino, e ‘l materiale formò il muro d’intorno ed il riparo: Di tutto non rimase orma o segnale: Tutto scomparve allor.

Pur ritenendo poco attendibile quest’ultimo documento molti studiosi fanno risalire la costruzione della Chiesa di S. Francesco al secolo XIII, voluta dal Santo, a spese della famiglia D’Andrano. A ciò contribuisce anche la leggenda del passaggio da Gioia di S. Francesco d’Assisi nel 1222 e del miracolo o dei miracoli qui operati dal Santo.

Nel Decreto (Resoconto) riferito alla Santa Visita effettuata a Gioia nel 1578  si dice che partendo dal Giardino del Convento di S. Francesco fuori le mura, in direzione sud-ovest, l’antica via per Matera sulla fine del sec. XVI presentava subito le chiese di S. Maria degli Angeli e dei SS. Caterina e Gregorio, dei D’Andrano.

Anche Padre Bonaventura   da Lama, farebbe risalire la fondazione del Convento ai primi anni del secolo XIII; mancano però documenti certi a sostegno di tale affermazione.

A seguito della ricognizione da lui effettuata dei conventi della Provincia di S. Nicolò ( Bari ), il 1724 veniva pubblicato a Lecce il libro: Cronica de’ Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò.

piazzaplebiscitoseraEgli così descrive la fondazione della Chiesa di S. Francesco:  In questi tempi di Federigo gionse  qua il mio Serafico Padriarca, allor che ritornato dalla Soria, e scorsa tutta la Reggion Salentina, cioè Terra d’Otranto, pose piede in questa di Peucetia, ch’è Terra di Bari, e ‘l primo luogo Gioia, dove cavando un pozzo per bisogno de Frati, si transe un dito, e lasciò il sangue, che ancora si vede indelebile nella pietra. Vi piantò un Albero, ed innestò al picciol ramo il segno Sagrosanto di nostra Salute, mentre tolta via la corteccia si vede il frutto a modo di Croce. Divenuta adunque la Terra diporto d’Imperatori, si lascia all’arbitrio de Savj formar conseguenze di nobile, ricca, Savia e prudente, né averli mancati Uomini Illustri, che l’abbiano decorata, come fu Nicola D’Andrano Dottore dell’una, e l’altra Legge, Maestro Razionale della Gran Curia, e Luogotenente di Protonotario del Regno di Sicilia, con Luca D’Andrano suo figlio, familiare, Consigliere, e Segretario di Roberto Imperatore di Costantinopoli, e Principe di Taranto, creatolo Capitano di 123 Cavalieri dello Spron d’oro, conforme appare nel privilegio. Questi fu, che appena creato Cavaliere colla medesima spada donatali da Ruperto, designò la Chiesa da fabbricar ad onor di Maria col titolo: La Madonna degli Angeli, e fu vicino al Palazzo, ov’egli abitava; e si vedono al presente gli segni presso al Giardino de’ Padri Conventuali, nella strada, ch’è guida alla Chiesa di Santa Sofia, donandoli per pompa del grande amor li portava la sua medesima Impresa, accoppiando alle tre rose degli Andrani, le cinque sbarre di Ruperto, ch’erano due sopra a man sinistra, e tre a basso alla man destra, e fu l’anno del Signore 1363 alle II di Marzo in Taranto, conforme. Questi due, Padre e figlio della nobilissima Casa d’Andrano, furono i due luminari maggiori e minore che illustrarono il picciol mondo di Gioja; con tante Chiese da loro fondate, chi l’Ospedale; chi il Monastero, e fu quello de’ Padri Conventuali a spese di Nicolò, il Padre, colla Cappella del Santo del suo nome, ornata di varie pitture e coll’armi di detta Casa; fabbricatovi, ed eredi; oltre l’altro sepolcro di marmo di nobil lavori per ordine di Luca d’Andrano, con un Altare a modo di Cappella vicino al sepolcro, piantato alla parte sinistra, prima di entrate alla porta del Choro, dove fu sepolta Jachina de Rabarbaro, moglie di Nicolò e consanguinea del Re Roberto. Fece ancora il predetto Luca fabbricare un’Ospedale, ed una Chiesa ad onore di Santa Caterina fuori delle mura, oggi Beneficio dell’ill.mo D. Saverio Fontana Vescovo di Campagna nativo di detta Terra. Sulla porta di detta Chiesa si vedono intagliate le armi del Re donate agli Andrani, ed un Angelo che tiene in mano un cartellone.  Oggi estinta questa famiglia sin da quel tempo, che fu la guerra del Trecco .

Nel secolo XVII la Chiesa manteneva ancora intatta la sua struttura e presentava un campanile con tre campane. All’interno c’era un’immagine della Madonna e, oltre all’altare maggiore, altri altari padronali, sotto il nome di diversi santi, con numerose tombe antiche, anche principesche. Delle numerose tombe antiche, compresa quella di Luca  D’Andrano, condottiero al servizio di Roberto, Principe di Taranto, più nulla rimane, tranne il grande marmo tombale policromo  con lo stemma gentilizio del principe Carlo I De’ Mari, posto davanti l’altare maggiore portato a Gioia agli inizi del secolo scorso, ed un ” Cristo morto ” in legno, sicuramente del primo Cinquecento. Nell’interno attira l’attenzione di chi entra una bella immagine della Madonna del Rosario a calco di cartapesta, dall’artigianato leccese posta sul secondo altare, a sinistra di chi entra. Oltre all’altare maggiore, si notano altri altari padronali e preziosi dipinti del 600 e del 700 oggi in grande abbandono.

Il 30 settembre 1719, a seguito di una controversia tra il Comune di Gioia e il Convento dei Francescani circa l’ampliamento del Convento e della Chiesa, forse a causa della chiusura di una strada che portava ad un pozzo di acqua potabile utilizzato dalla popolazione, fu stipulato un accordo tra la Curia Arcivescovile di Bari i Frati del Convento ed il Sindaco. Tale accordo prevedeva l’ampliamento della Chiesa in quanto quella esistente  presentava una sacrestia ricavata in un locale angusto umido, profondo e oscuro dove si conservano male gli arredi sacri e che sarebbero stati utilizzati un palmo e mezza di terra lungo la strada che portava  al pozzo di S. Francesco. Erano previsti altresì l’ampliamento della scala del Convento per l’angustia della quale son cascati due religiosi, successivamente deceduti, e la ricostruzione del campanile in quanto assolutamente necessario non solo a detta Chiesa ma ad ornamento della intera terra.  Il documento è corredato di un disegno che mostra la Chiesa così come appariva all’epoca dell’accordo: una piccola Chiesa a forma di capanna che presenta sul prospetto un piccolo rosone e un portale  ogivale e sulla facciata orientale un’altra porta ogivale in pietra. Nella parte posteriore della Chiesa è presente un piccolo campanile a vela e un giardino dal quale si accedeva ad un pozzo, che veniva chiamato pozzo  di S. Francesco.

Nel 1727  essendosi il Convento sottratto alla giurisdizione ordinaria, il Padre Donato Antonio Alberico da Gioia provvide subito ad ampi restauri, che portarono alla distruzione di quasi tutte le antichità che la Chiesa racchiudeva.

Il dott. Paolo Losito dice: Nella Chiesa di esso Monistero vi era ai tempi nostri ( sec. XVIII ) l’Altare e Cappella sotto il titolo di S. Nicola degli Andrani, man sinistra, quando si entra per la porta maggiore della Chiesa, e, propriamente, contigua alla porta piccola, con l’Arma di  essi Andrani e col Sepolcro detto L’Arca di Messer Luca D’Andrano, e con l’effigie, in faccia al muro di detta Cappella, di Giacchina, moglie del Fondatore Nicolò D’Andrano. V’erano in detta Chiesa altri antichi Monumenti e Mausolei, ma, essendosi rinnovata e modernata essa Chiesa nel 1739, i buoni e devoti Frati, come i Vandali e Goti, distrussero ed abbatterono qualunque antica memoria così del Fondatore Andrano, come di altri, ed a nostra insinuazione si mosse a fare una lapide con la memoria incisa in essa del Fondatore del di loro Monistero, Nicolò D’Andrano, olim M. R. C. Maestro Razionale e Luogotenete e Protonotario del Regno di Sicilia.

Infine sempre in riguardo alla stessa località, il Losito ci informa con precisione che dal Palazzo del predetto Andrano non se ne vede al giorno d’oggi memoria veruna, essendo addivenuto giardino posseduto dai Frati Conventuali; solamente rimasti vi sono in piedi le pure quattro mura laterali, scoverte, dalla Chiesa detta della Madonna degli Angeli ch’erano accanto ad esso palazzo; in faccia alle quali mura vi si vedono intagliate le Imprese di Roberto coi figli, e di Andrano.  L’Ospedale di Santa Caterina anco addivenuto giardino; ed erano in piedi anni addietro le sole quattro mura laterali, scoverte, col campanile, fatte abbattere dal Clerico Filippo Iacobellis, ed il materiale lo vendé  ai suddetti Frati Conventuali, che l’applicarono al parete del di loro giardino, detto l’Ingegne.

Lo stesso dott. P. Losito ricorda che per la edificazione dell’attuale Chiesa di San Francesco nel 1732 il suolo fu dato dal nostro concittadino don Francesco Saverio Fontana, Vescovo di Campagna  e Satriano.

Sulla riedificazione della Chiesa ci sono pareri discordanti. Sulla porta principale della Chiesa, infatti,  si legge la seguente iscrizione: D.O.M.  TEMPLUM HOC IN DIVI FRANCISCI HONOREM AN. A DOM. INCUNABILIS MDCCXXXVIII RIEDIFICANDUM CURAVIT HUIUS COENOBII GUAR. P. DONATUS ANT. ALBERICO A JOVIA. Questa  iscrizione riporta il 1738, il Losito segna il 1739 ed il Losapio il 1729. Probabilmente il Losapio segna la data dell’inizio dei lavori, mentre la iscrizione riporterebbe la data del compimento dei medesimi ed il 1738 segnerebbe l’apertura della nuova Chiesa al pubblico culto.

Nella  ricostruzione della Chiesa, parte del vecchio materiale venne reimpiegato. Ancora oggi, infatti, possiamo ammirare una porta a sesto rialzato sul lato est ed avanzi di stipiti  di un’altra finestra antica alle spalle della chiesa, in piazza Luca D’Andrano. In sagrestia, oltre ad una lapide del 1718, a ricordo del rettore Panessa, valente per dottrina e prestigio, vi sono due colonnine  in pietra aventi per basi due teste umane scolpite a rilievo. Del sepolcro dei D’Andrano ci è pervenuta solo una lastra scolpita, che rappresenta la porta del Paradiso, sormontata da una stella a cinque punte, simbolo del Paradiso, con l’Arcangelo S. Michele e S. Pietro. Alle estremità della lastra vi è scolpito lo stemma gentilizio dei D’Andrano. A seguito dei lavori di ampliamento della chiesa la lastra fu utilizzata come base di un altare e successivamente a seguito di altri lavori fu asportata andò dispersa, finché fu ritrovata nel palazzo della famiglia Magnini, a Taranto, in Via Virgilio, n. 1.  Delle numerose tombe antiche  non  rimane che il grande marmo policromo tombale del principe Carlo I De’ Mari.

Anche la Chiesa di S. Francesco con Decreto murattiano del 1809 fu concessa al nostro Comune. Dopo la ricostruzione  della Cappella del Santissimo in via Le Torri, effettuata  nel 1768, dalla Congregazione del Purgatorio, Ferdinando I di Borbone, con Regio Assenso n. 320 del 16 luglio 1822, autorizzò il  ristabilimento dell’antica Congregazione, appunto sotto il titolo di Congrega del Purgatorio nella Chiesa di S. Francesco, e  lo svolgimento delle proprie funzioni, secondo le regole annesse all’indicato decreto, nella Cappella del S.S. , adiacente alla Chiesa Matrice, al lato Nord. Successivamente, nel 1845 il Comune concesse alla Congregazione del Purgatorio la Chiesa di S. Francesco in cambio della Cappella del Santissimo, che fu aggregata alla Chiesa Madre.

Nel 1847, essendo Priore don Domenico Losito fu Antonio, fu rifatta la campana, perché quella esistente  si era rotta.  Il terribile terremoto della notte del 16 al 17 dicembre 1857, lesionò gravemente la Chiesa di S, Francesco, che fu chiusa ai fedeli. Essa fu restaurata nel 1858-59 su progetto e sotto la direzione dell’Architetto Don Donatantonio Milano ( Mezzabotta ), con la spesa di circa mille ducati, somma consistente in quei tempi.

Il 1961 furono riscontrate parecchie lesioni nella parte superiore del campanile settecentesco, per cui l’Amministrazione Comunale provvide, con un onere finanziario di circa due milioni, a rinforzarlo con le dovute opere in cemento armato. La Confraternita del Purgatorio in seguito ha portato a termine vari restauri nell’interno della chiesa, che hanno alterato alcune delle decorazioni pittoriche preesistenti, con l’aggiunta si stucchi  eseguiti dal confratello e decoratore Filippo Dentico. Inoltre, essa aveva deliberato di traslare in forma solenne la salma di don Vincenzo Angelillo dal Cimitero comunale, per inumarla nella chiesa che lui aveva amministrato come di rettore dal 1903 al 1963, deliberazione che non ha ancora trovato attuazione.

Restauri ulteriori sono stati eseguiti a seguito del terremoto degli anni 90.

Da rilevare, infine, che di tutte le manifestazioni religiose che si svolgono annualmente, a devozione di S. Antonio, della Madonna del Pozzo, della Vergine di Pompei, di S. Salvatore, delle anime del Purgatorio, solo ultimamente è stata celebrata una funzione religiosa dedicata al Santo di cui porta il nome la Chiesa.

Durante le festività natalizie si può visitare un artistico presepe, da poco restaurato, con figure di uomini ed animali in cartapesta, di notevole proporzione.

La facciata è stata rifatta nel sec. XVIII. Dell’antica costruzione restano tre monofore murate sul fianco sinistro e una finestra con cornice scolpita a foglie di acanto nella zona absidale.

L’interno presenta una navata unica con volta a botte, divisa in tre zone da quattro archi trasversali, centinati su ogni lato divisi da pilastri sormontati da capitelli. In ciascun arcone è posizionato un altare, meno nel secondo di sinistra in cui da qualche anno è stata riaperta una porta laterale, sulla quale è stata posta la lastra sepolcrale detta Arca di Messer Luca D’Andrano, che è stata riportata nella Chiesa il 2002,  grazie al restauro voluto dal Rotary Club Acquaviva-Gioia, dopo il recupero effettuato dalla speciale sezione dei Carabinieri. Sia questo arco che il secondo a destra sono di altezza minore rispetto agli altri. La volta sulle prime tre campate posa su tre grandi lunette, su ciascun lato, ed in una lunetta si apre una finestra. La quarta campata è coperta da volta circolare che poggia su 4 archi centinati ed è illuminata da 2 finestre. L’arco trionfale, a sesto acuto, poggia su semicolonna addossata a pilastro su cui è un semi capitello ad aquile affrontate.

Le cortine  perimetrali a forma di arco susseguenti tra di loro  sono caratterizzate dalla presenza di numerose tele, quattro intorno all’altare maggiore, uno dei quali del 1689, e presentano oltre a 7 altari anche numerose statue. Il transetto è coperto da una volta a cupola, che, insieme ad un grande arco trionfale di tipo gotico, è l’elemento che collega la zona destinata ai fedeli con il presbiterio. Dietro l’altare, intorno all’abside, vi è  un coro ligneo con 26 stalli. Dal presbiterio si accede alla sagrestia. Da ammirare sono alcune tele, come quella di S. Giuseppe da Copertino del 1740 e alcune statue, come quella di S. Antonio da Padova e di Cristo morto. Nei pressi del presbiterio sul lato destro  vi è un quadro raffigurante la Madonna di Cestochova, Regina della Polonia, icona donata dai soldati polacchi della 13° Compagnia si trasporto della 3° Divisione, al momento di rientrare in patria nel 1946.

Dal presbiterio, attraverso una botola si accede ad alcuni ipogei. Nel 1995, infatti, alcuni componenti del Gruppo Speleologico Gioiese, di concerto con l’Associazione Italia Nostra e l’Autorità religiosa, hanno effettuato una ricognizione degli ambienti sottostanti la Chiesa, partendo da una botola presente dietro l’altare maggiore. L’esplorazione ha evidenziato la presenza di una ambiente rettangolare della dimensione di circa mt.4×2,60, con volte a botte, dal quale si diparte un corridoio che porta ad altri tre piccioli vani, tutti in asse con la zona superiore del coro e dell’altare maggiore. Nel primo ambiente esplorato sono state costruite, in materiale tufaceo, sette tombe del tipo ” a sedile “, che servivano per la sepoltura di altrettanti frati conventuali. L’esplorazione, infatti,  ha evidenziato la presenza di resti ossei, oltre al fatto che gli ambienti, se non devastati, erano stati profanati da ignoti visitatori.

All’interno della Chiesa si possono leggere alcune iscrizioni.

Davanti all’altare maggiore: CAROLUS DE MARI AQUAVIVA PRINCEPS GENUAE PATRITIUS NEAPOLI MILES FLUXAM MORTALITATEM EX GENERE DOCTU ET LOCO    AEDE HANC SEPULCHRALE EX ANTE SIBI SUIS Q. CONSTRUI VOLUIT MOLITU IN SACRO PORTU UT NULLU EXTIMESCERET E MORTE NAUFRAGIU A. D. MDCLXXVIII

A sinistra del coro  D.O.M.  MISSAE OMNES AD ALTARIA HUIUS ECCLESIAE PRO SVIVIIS PONTIFICIBUS: HUIUS REGNI PRINCIPIBUS SUPREMIS.  CARDINALIBUS PROTECTORIBUS ORDINIS, AC FRATRIBUS DEFUNCTIS, AB EIUSDEM DUTAXAT SACERDOTIB. QUANDOCUE, CELEBRATAE. INDULTO ALTARIS PRIVILEGTO PERP. GAUDET, VIG. BREVIS BENEDIC. PAPAE XIII DIE XXXIJANUARIJ MDCCXXV. INSUPER MISSAE OMNES IN OBITUS VEL ALIO DIE, PRO IISDE ENUNCIATIS PERSONIS. AC ETIA PRO VICE PROTECTORIB., ORDINARRIIS LOCI. PATRONIS LOCI INTEPORALIB. BENEFACTORIB. IPSIQ. FRATRIB., ET MONIALIB. ORDI. SUBIECTIS, HORUQ, TATU GENITORIB., AQUOVIS SACERDOTE CELEB. EODE PERP. ALTARIS PRIVILEGIO GAUDET, EX INDULTO BENEDIC. PAPAE XIV DIE IV SEPTEB.  MDCCLI +

A destra del coro: D.O.M.  TEMPLU  HOC  CU  ASCETERYO A’ DIVO  FRANCISC  ASSISIE  SI  IN  RELIGIONIS  CULTUM  FUNDATUM  TEMPORIS  INIURIA  DESTITUTUM,  ATQUE  DESERTUM  ITERUM  DONATI  AN. ALBERICO  GUANI,  ALIORUMVE  P. P.  INDUSTRIA  AC  PIETATIS  STUDIO  A  FUNDAMENTIS  EXCITATUM,  EXORNATUMQUE  ANDREAAS  VINDITTI  POLUMNIANI EPISCOPUS  AD SANCTI  FUNDATORIS  NOMEN,  ET  MEMORIA   SOLENNI RITU  CUM  OMNIBUS  ALTARIBUS  V.  KAL  NOVEMBRIS  A. D. MDCCXXXIX  CONSECRAVIT

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23 Giugno 2008

  • Scuola di Politica

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